• 23 Nov

     LE VIE ALLA CONOSCENZA DI DIO

    OBIETTIVO DEL CORSO:

    EVIDENZIARE LE DIFFICOLTA’ IN ORDINE ALLA COMUNICAZIONE UMANA E SPIRITUALE

     


    L’approccio al Kerigma non è sufficiente per aprire alla comunicazione spirituale.

    Questa problematica s’inserisce nel processo più vasto della

    • Consegna della Parola
    • Risonanza della Parola

    Questa tematica sta diventando d’attualità; è il servizio della Parola scandito dalla Traditio e dalla Redditio. Essa si propone come Premessa al Primo Annuncio.

    E’ possibile una Traditio Verbi senza una Redditio? La prassi consiste in una proposta d’ascolto, ma non prevede la redditio. Ciò può essere valido nella pastorale ordinaria, ma è senz’altro insufficiente per un’Iniziazione alla fede.

    Come si organizza la Redditio? Nella tradizione cristiana dell’Effatà.

    Nell’ultimo incontro CEI, Mon. Chiarinelli ha rilevato come, nonostante tutti gli aggiornamenti e gli sforzi fatti in ordine ad una catechesi rinnovata, non si è approdati a nulla.

    COME DIRE GESU’ CRISTO AGLI UOMINI DEL NOSTRO TEMPO?

     Il problema non è solo dottrinale, ma operativo.

    L’annuncio della Buona Notizia  propone un’esperienza d’ascolto. Cosa significa Ascoltare?

    Risponde la Santa Scrittura? L’ascolto è la via alla conoscenza di Dio.

    Ma questo è vero per ogni esperienza religiosa? No! L’affermare che la conoscenza di Dio passa attraverso l’ascolto è una scelta culturale che va rispettata; non si tratta di una parola in un senso metaforico, è una parola “acustica”. Privilegia l’orecchio rispetto all’occhio. La forma si coglie: questo ci richiama a quel filone di filosofia che contrapponeva l’epistemologia di tipo occidentale centrata sulla vista, a quella di tipo semitico centrata, invece, sull’ascolto.

    Attraverso lo sguardo cosifico la realtà e la possiedo, perciò anche Dio diventa oggetto. L’udito “si tende”a cogliere una Parola che gli è rivolta.

    L’occhio tende a possedere la verità e spersonalizza il rapporto. Anche nei rapporti interpersonali quando “si scruta con gli occhi” c’è il tentativo di possedere la personalità dell’altro. In questo modo non si costruisce sicuramente una fraternità; essa nasce da un ascolto umile, che pone quindi lo sguardo verso il basso, in atteggiamento di accoglienza dell’altro così com’è e come si manifesta.

    Il primo approccio (fondato sullo sguardo) è quello della tradizione greco/latina, il secondo è quello della tradizione biblica.

    Nell’impostazione semitica la conoscenza dell’oggetto naturale, ha come modello la conoscenza interpersonale che rispetta il soggetto e non lo assimila ad un oggetto da esplorare e possedere.

    La nostra educazione, scolastica e non, è tutta di tipo occidentale; l’apprendimento è stato fondato sull’occhio e sulla ragione, piuttosto che sull’ascolto.

    Alla luce della nostra esperienza di conoscenza e di riflessione religiosa, quali sono le vie della conoscenza di Dio?

    • La contemplazione della natura
    • L’interiorità
    • L’intelligenza
    • La mediazione della tradizione

    LA CONTEMPLAZIONE DELLA NATURA

    E’ la via universale alla conoscenza di Dio; Dio s’identifica con una manifestazione della natura: il vulcano, il tuono, il turbine ecc…

    La conoscenza di Dio a livello universale passa attraverso la contemplazione (sguardo che insiste, che si sofferma sulla realtà e la interpreta); da qui nasce il mito.

    Chiediamoci: quanto ha inciso nell’evoluzione della nostra esperienza religiosa l’incontro con Dio attraverso la natura?

    • La dolcezza della natura
    • La maestosità della natura
    • L’immensità del mare, la distesa placida delle acque illuminate dall’alba o dal tramonto
    • Il mormorio della risacca sulla riva del mare
    • Il mare in burrasca

    La montagna è il luogo dell’incontro con Dio; sulle alture si respira il mondo di Dio.

    Ma perché il senso religioso mette Dio nella natura? Si tratta di un’oggettivazione cosmologica che evidenzia la percezione della trascendenza di Dio. Dio E’ in alto e non lo posso raggiungere. Che cosa mi è inesplorabile? Il cielo.

    Pensate:

    • Al silenzio
    • Al fruscio del vento
    • Al miracolo della primavera: sui rami secchi e spogli spunta una gemma verde
    • Alla nascita di un bambino….

    Vi siete ricordati alcuni particolari nella vostra storia? Quegli incontri con la natura sono stati mediazioni dell’incontro con Dio?

    Come può la nostra pastorale ricuperare quel patrimonio che è legato al vissuto di fede e di provvidenza vissuto dalle nostre persone anziane?

    • Pastorale delle stelle: “I cieli narrano la gloria di Dio…”
    • Pastorale della montagna “Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto?”

    Purtroppo il recupero di questi valori è affidato ai movimenti ambientalisti, così che la natura è proposta in chiave antireligiosa:

    Che cosa dice l’esperienza di fede al riguardo? Che il Signore prende l’iniziativa attraverso queste manifestazioni della natura, per toccarci, per visitarci; è come se il Signore aspettasse il momento in cui la nostra attenzione si posa su un particolare e una voce interiore c’invitasse:”Guarda, solleva lo sguardo, mi manifesto a te attraverso un riflesso della gloria del mio Volto”.

    Il contatto con la natura ha un aspetto particolare, ma non sempre questo ha un seguito di tipo religioso….

    Dall’analisi delle vostre esperienze si comprende che attraverso la contemplazione della natura possiamo vivere sentimenti contrastanti:

    • Sintonia, pace, armonia che acquieta, placa (in questo senso possiamo parlare di un’efficacia sacramentale).
    • Senso d’estraneità, di lontananza, d’esilio.

    Risonanze contrastanti, antagoniste, ambivalenti:le stelle affascinanti possono essere molto calde e molto fredde; l’universo sterminato segno di un Assoluto vicino, prossimo, è nello stesso tempo infinitamente lontano…A volte accanto alla sensazione di essere protetti e custoditi, sperimentiamo l’esperienza del naufrago, dell’abbandonato, del derelitto alla deriva.

    “Sono qui su questa terra, trafitto da un raggio di sole”.

    La natura svela l’infinito; è cifra e icona dell’infinito, ma Dio è al di là.

    Ma chi è Dio? Che cosa è il mio quotidiano che nello stesso tempo è prevedibile e imprevedibile?

    In questo contrasto si colloca il momento religioso.

    Dio merita fiducia oppure no?

    Quest’esperienza dell’incontro con Dio nella natura è segnata DALL’AMBIGUITA’: bellissima la natura, ma questa si trasforma in orrore; incantevole il paesaggio fino a che tutto va e non si trasforma in disagio…

    Bella la vita, ma  poi c’è la morte! Chi ha l’ultima parola, la vita o la morte?

    Dio chi è? Nostro creatore e anche nostro carnefice, Colui che ci ha creato a termine? Ma perché la vita è segnata dalla morte?

    Queste sono le grandi tematiche in cui la nostra coscienza deve addentrarsi! Noi non svegliamo gli interrogativi perché viviamo di rendita delle risposte che ormai sono diventate nostre.

    Mi lascio interrogare dalle angosce dell’uomo del nostro tempo il quale dice: ma DIO DOVE E’?Che cosa  può dire ad un malato terminale l’esuberanza della natura?Da una parte contempla i fiori spuntare su un ramo secco e, dall’altra, sperimenta il disfacimento della carne nel suo fisico

    ABBIAMO UN’ALTRA RISPOSTA ATTRAVERSO QUELLO CHE CI VIENE CONSEGNATO CON LA MORTE E LA RISSURREZIONE DI GESU’

    La vita è per la morte? Se si, la vita è la celebrazione della morte!

    Israele ha vissuto molto quest’interrogativo e non ha mai sviluppato in proprio la credenza dell’immortalità dell’anima. La risposta a quest’interrogativo era: La generazione, i figli!

    Oggi la nostra società ha abolito questa risposta;

    e allora cosa resta agli uomini del nostro tempo? La speranza cristiana no, la risposta della generazione neppure e così restiamo con la nostra incertezza, tiriamo avanti con la nostra vista corta per poi cadere nella voragine della solitudine e della vecchiaia, con la prospettiva dell’eutanasia.

    Oggi ci si proietta nella prospettiva del CARPE DIEM dove va a finire l’amore? Diventa solo una rapina. La vita è una benedizione o una maledizione? (cfr. Giobbe).

    Nel nuovo Testamento troviamo spunti del genere (cfr. Rom. 1 ecc…) Ma le riflessioni che abbiamo fatto sull’ambiguità della conoscenza di Dio attraverso la natura non smentiscono, ma completano la riflessione di S. Paolo.

    Oggi si deve pretendere che una conoscenza naturale di Dio trasferisca sul piano della teologia biblica. C’è o non c’è Dio!Il vero problema è quello di sempre: chi è Dio. La nostra tradizione culturale si è intestardita per mostrare l’esistenza di Dio, all’uomo biblico interessa sapere CHI E’ DIO!

    LA VIA DELL’INTERIORITA’= VIA DELLA COSCIENZA

    Le quattro vie della conoscenza di Dio non sono separate tra loro ma si intersecano, portano a dare a ciascuno di noi un particolare volto di Dio; un forte legame esiste tra la via della conoscenza di Dio attraverso la natura e la via della conoscenza di Dio nell’interiorità. Il contatto con la natura porta l’uomo a contatto con Dio: il nostro desiderio di contemplare Dio attraverso la natura si trasforma in un desiderio interiore: sentire Dio dentro di sé, nel profondo del proprio cuore, un dolore acuto, una necessità che se non consumata ci porta ad una consumazione.

    Nel cuore dell’uomo abita la verità. Ascolta la profondità della tua coscienza e nel profondo coglierai la voce di Dio: Già nel tempio di Gerusalemme la parte più interna è la CELLA; nel Santo dei Santi abitava Dio. La presenza del Signore nel tempio di Gerusalemme era legata al fatto che lì vi erano conservate le Tavole della Legge, la Verga d’Aronne, un vasetto con la manna….

    La nostra coscienza è un tempio e, nella sua parte più intima, vi abita Dio.

    Fare silenzio…fare vuoto…Interiorità abissale! Nella notte del profondo della coscienza si accende l’alba della verità! l’interiorità è una via sapienziale.

    “Anche di notte il mio cuore m’ istruisce…” E S: Paolo “…Lo Spirito prega dentro di noi con gemiti inesprimibili!” Sono inesprimibili proprio perché veniamo associati alla preghiera dello Spirito che prega così: sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno….

    L’interiorità comporta delle condizioni:

    • Il silenzio: dove c’è confusione è difficile raggiungere quello stato necessario per guardare dentro di sé
    • Il raccoglimento
    • La separazione dalla vita ordinaria troppo chiassosa e dispersiva : l’effetto delle preoccupazioni disperdono la nostra vita, occorre quindi fare ordine, trovare il tempo dello stare con e non del fare.                     
    • La guida di un compagno di cammino, di una guida più esperta di noi: fare luce nel cuore attraverso l’esperienza di un altro cuore; nel cuore c’è il bene e il male, abbiamo bisogno di aiuto perché quello che abbiamo dentro può essere il tutto o il contrario del tutto.
    • L’iniziazione alla vita dello Spirito

    La coscienza è una realtà sacra, perché nel profondo di essa scopro di Dio

    La domanda che facciamo è questa:

    Quanto ciascuno di noi ha conosciuto il Signore attraverso la via dell’interiorità?

    L’allontanamento dagli uomini, dal chiasso, ecc… comporta sempre uno strappo; tale strappo è compensato dalla presenza di Dio. Il Sapiente è colui che “riconosce i sapori”, “tasta” il gusto interiore della coscienza; conosce il sapore delle cose, le cose che valgono e quelle che non valgono.

    La tradizione cristiana dice: di Dio non si dice nulla, quindi mettiamoci in ascolto.

    Molti sono gli interrogativi che sorgono nell’animo umano. Io chi sono? Una realtà definita o l’avventura del mio essere io? Più cresco nella conoscenza di me e più mi accorgo di non conoscermi; più so chi sono e più io so di non sapere chi sono.Questo comporta dolore, perché è una profonda sofferenza. L’identità è un dono, non è una conquista. Per crescere ognuno di noi ha bisogno di assumere il rischio della propria soggettività: è il rischio della solitudine e la strada per arrivarvi è quella dell’interiorità.

      • Se comincio a aderire al cammino della verità, dove andrò a finire?
      • Mi troverò d’accordo con quello che sono stato, con quello che credo di essere?Ma è possibile che la nostra pastorale, portatrice di tanti tesori, debba essere sopraffatta dall’ultimo guru

    L’umanità del nostro tempo, così superficiale, ha abbandonato la via dell’interiorità, così che chiunque venga dall’Oriente può aprire una sua scuola e trova ADEPTI proprio perché risponde ad un bisogno.

    Le questioni di tipo psicologico e spirituale si sovrappongono. Nella realtà del nostro tempo la coscienza è talmente poco coltivata che nessuna proposta di tipo spirituale può essere fatta senza una presa di coscienza di carattere psicologico.

    Il bisogno di fare branco è così grande che i giovani sono sempre più incapaci di stare da soli, “farsela con sé è sempre una gran fatica”.Questo porta a una gran povertà interiore.

    Attraverso l’animazione di gruppo è possibile portare ad una scoperta dell’interiorità e da lì, poi, si farà gustare il poter stare da soli.

    Una grande operazione culturale sarebbe quella di aiutare gli uomini del nostro tempo a ritrovare una coscienza, proprio perché i mezzi d’evasione di cui si dispone sono potenti e pericolosi.

    • Quanto credito merita il mio sentire?
    • La mia percezione interiore di Dio è autentica oppure è una mia costruzione?
    • Sto davvero parlando con qualcuno, o il mio è un monologo?

    Anche questa via, però, è segnata da ambiguità e ambivalenza!

    Resta però sempre il dubbio e se anche per quanto ci riguarda, viviamo serenamente questo dubbio, di fronte al mondo la nostra esperienza interiore non dice nulla.

    Il credente deve imparare a stare al mondo in umiltà, per portare con mansuetudine i sospetti e i dubbi degli altri. Dobbiamo riconoscere questa difesa, per permettere al mondo di sospettare e di diffidare della nostra esperienza. L’esperienza interiore si dà, è antitrionfalistica e non è arrogante!

    Attraverso questa via sperimentiamo quindi che Dio è buono e cattivo, è presenza amorosa ed accogliente e, nello stesso tempo, giudice rigoroso e severo.

    San Giovanni dice: “se la tua coscienza ti rimprovera, ricordati che Dio è più grande del tuo cuore! (Cfr. Ps. 138-63)

    L’interiorità spirituale ci interroga sulla nostra identità, ma al fondo della verità di noi stessi non arriveremo mai; non potremo mai conoscerci come siamo conosciuti.

    Nolite judicare! Il processo conclusivo della conoscenza è il giudizio, quando Gesù dice: non giudicate! ci sollecita a non tirare delle conclusioni, perché gli elementi che noi abbiamo delle persone non sono mai esaustivi. La maturità sapienziale della coscienza porta ad usare verbi tipo “mi sembra, mi pare…”, nel senso che nelle decisioni bisogna procedere, ma in punta di piedi, consapevoli della precarietà delle nostre conoscenze.

    Le nostre non sono mai conclusioni assolute, ma sempre provvisorie, aperte alla verifica. Nella parrusia vedremo più chiaro e conosceremo così come siamo conosciuti.

    LA VIA DELL’INTELLIGENZA

    L’intelligenza è lo strumento privilegiato per ogni tipo di conoscenza, anche attraverso l’intelligenza, la coscienza s’interroga:

    • Qual è il senso della vita?
    • Da dove vengo?
    • Dove vado?

    Una coscienza superficiale chiaramente si pone questi interrogativi in modo superficiale.

    Questo è un problema di consapevolezza antropologica, di serietà, di maturità. Questi interrogativi a volte si conciliano con un’esperienza di fede, altre volte si scontrano. “Dio è un rischio” dice Prezzolino. Come spiegare questo? Dio, attraverso la sua assenza, confonde la sapienza degli intelligenti.

    Chiediamoci :

    • Che ruolo ha avuto l’intelligenza nella nostra esperienza di fede? (Nel passato)
    • Che ruolo ha oggi l’intelligenza nella mia esperienza di fede?
    • L’intelligenza è un appoggio o uno strumento?
    • Prima il credere per capire o prima il capire per credere?
    • La presentazione del Kerigma esige di avere davanti delle persone credenti o non credenti?

     

     

     

    Se rispondiamo “credo ut intelligam” siamo in una posizione pre-biblica. La fede è una questione di livelli.

    • Cosmo-biologico (panteista)
    • Dio trascendente e personale (teista)
    • Teismo veterotestamentario
    • Teismo biblico pre-pasquale (N.T.: Dio incarnato)
    • Teismo biblico post-pasquale (N.T.: Gesù Cristo morto e risorto)

    La nostra formazione teologica è servita a supportare in maniera organizzativa la nostra fede preesistente, oppure è venuta a seminare scompiglio?

    Oggi ci troviamo in un contesto del tutto particolare che possiamo così definire:

    la cultura attuale non ha punti fermi, ci troviamo a confronto con un pensiero debole.

    Come si usa l’intelligenza? Esiste un’intelligenza di tipo sapienziale laico che prende Dio sul serio, ed è premessa per l’esperienza sapienziale di tipo biblico.

    Esiste anche un’esperienza sapienziale di tipo laico, che comporta una “ riverenza” per la verità

    E una scelta di tipo morale. L’intelligenza non ha da essere superba, perché quando si pone con superbia siamo alle prese con un’intelligenza stupida, proprio perché non riconosce i suoi limiti.

    L’umile non è colui che si fa piccolo, ma colui che riconosce d’ essere piccolo. L’umiltà non è un processo di “abbassamento”, ma il riconoscimento del proprio essere limitati. La superbia è la perdita del senso della misura, quindi l’intellettuale superbo è uno stupido.  

    ,         Il luogo in cui si realizza la conoscenza della verità oggettiva è l’intersoggettività! Per cui

    • La coscienza credente ricorre all’intelligenza per comunicare quanto ha imparato e non solo attraverso l’intelligenza
    • La coscienza non credente ricorre all’intelligenza per riuscire a dimostrare le proprie tesi

    Nella tradizione biblica l’importanza dell’intelligenza è attestata: confronta il libro di Giobbe, in particolare i capp. 6-16. L’uomo non difende Dio, ma difende se stesso e le sue posizioni.

    La sapienza di Dio è insondabile…ma Dio ascolta l’uomo nella sofferenza, non lo censura come fa l’apologeta.Forse gli uomini del nostro tempo non ci ascoltano perché trovano in noi solo dei difensori della fede e non dei consolatori  

    LA VIA DELLA TRADIZIONE

    Comprende tutto quanto è legato al contesto in cui siamo inseriti, alla cultura dominante, alla testimonianza degli altri. A questo si possono aggiungere le rappresentazioni sacre, gli oggetti religiosi, gli edifici religiosi, ecc…

    La nostra esperienza di fede è stata alimentata dal contesto delle persone con le quali abbiamo vissuto.

    Ci possiamo chiedere:

    • Quello che vivo, in che misura è mio e in che misura mi è stato dato dall’ambiente?
    • Riusciamo ad evidenziare che la nostra esperienza personale è “indotta”, alimentata, nutrita dalla realtà circostante, al punto che diventa difficile distinguere quello che è della nostra coscienza e quello che ci è mediato dall’esterno?
    • Come, dove e quando posso essere davvero me stesso? Da solo? No! Ma attraverso la comunione.

      

     

    Il saggio è colui che ha la bocca sul cuore; lo stolto è colui che ha il cuore sulla bocca. Non c’è una parola senza un cuore, non c’è un cuore senza una parola!

    Le ambiguità e l’ambivalenza sono presenti anche in quest’ultima via, come del resto, lo sono anche quelle precedenti.

    Per convincerci è sufficiente che ci chiediamo:

    • I miei contenuti mentali sono o non sono autentici?
    • Le mediazioni ambientali che ho ricevuto sono o no autentiche?
    • In che misura sono presenti gli uni o le altre e come faccio a stabilirlo?

     Queste quattro vie della conoscenze di Dio, comuni all’uomo universale, sono state segnate dall’ambiguità e dall’ambivalenza.

    Possiamo ora stendere una piccola tabella avendo a disposizione 100 punti che suddivideremo in base all’incidenza che le quattro vie hanno avuto IERI ed OGGI, NELLA NOSTRA ESPERIENZA DI FEDE:

    IERI (ANNO ORIENTATIVO)                                   OGGI

     . natura _____________                                               ___________

    . interiorità __________                                           ___________

    . intelligenza _________                                          ___________

    . tradizione __________                                             ___________

     

    Conclusioni 
    Dai confronti fatti usciamo tutti confermati sia nella conoscenza di queste quattro vie come pure nella solidarietà con qualsiasi credente sulla faccia della terra.Non c’è credente in questo mondo che non arrivi alla conoscenza di Dio attraverso la mediazione della natura, l’interiorità, l’esercizio della ragione e la mediazione dell’ambiente.Queste quattro vie, comunque, portano in sé l’ambiguità e l’ambivalenza. C’è quindi nella nostra vita il momento dello strappo; costa molto dolore e comporta pure il rischio di “ buttare il bambino con l’acqua sporca”.Ps. 27 : “Mio Padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto”

    Applicazioni

    Sono stato generato dall’ambiente in cui sono nato, cresciuto e poi mi sono distaccato; io sono stato generato sotto tanti punti di vista, ma all’esperienza di generazione si accompagna sempre l’esperienza d’abbandono. Ciò è indispensabile per passare ad un atteggiamento adulto e dire: Signore, fammi assumere la responsabilità di portare il mio mattoncino.

    E’ l’esperienza del compromesso istituzionale. Fino a quando siamo soli coltiviamo la fede ma in modo molto idealista, quando entriamo in confronto ci accorgiamo dello scarto che esiste tra l’ideale e il reale.

    Ad es: Quando io annuncio la Buona Notizia, chi mi ascolta può dire “che bravo, eccezionale…”, quando vivo nella comunità cosa diranno i miei confratelli?

    Quando presentiamo la Buona Notizia ad un catecumeno rimane entusiasta; quando entra nella Chiesa (istituzione) coglie la profonda distanza tra Vangelo e vita.

    E’ difficile trovare un credente che faccia Chiesa con sé stesso! Il credente vuole condividere con gli altri la sua esperienza di fede. Il rapporto con Dio passa attraverso il rapporto con i defunti! La prima divinità che l’uomo conosce sono gli antenati; attraverso il rapporto affettivo con i trapassati si apre alla percezione divina. Ecco perché il culto dei morti è la matrice d’ogni esperienza religiosa. Qual è il primo invisibile di cui si fa esperienza? La persona cara defunta!

    Le quattro vie appena analizzate usano un linguaggio particolare:

    • La natura
    • L’interiorità
    • L’intelligenza
    • La tradizione
    La tradizione biblica ci presenta la via particolare dell’incontro con la PAROLA E IN PARTICOLARE CON LA PAROLA DEL PROFETA. Questa via s’inserisce nella quarta (quella della tradizione), ma si differenzia da essa. La differenza tra questa Parola e quella dell’ambiente è che questa Parola è l’unica capace di risolvere il dramma dell’ambivalenza e dell’ambiguità delle quattro vie. Il fenomeno della profezia è tipico della cultura biblica.

    Posted by attilio @ 11:26

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