• 23 Giu

    Stare presso la croce di Gesù: Maria nel mistero pasquale


    di p. R. Cantalamessa
    a cura di p. attilio franco fabris

     

    Maria è presente nei momenti centrali del mistero di Cristo: incarnazione, mistero pasquale, pentecoste.

    Cosa significa la croce? Per Giovanni è l”ora”: evento nel quale si rivela appieno la gloria di Cristo, la sua sovranità, e luogo dal quale Cristo dona lo Spirito. E’ il “tutto è compiuto”.  E’ già luogo in cui trionfa la vita e l’amore, e dunque di resurrezione. (in questo senso non è importante sapere di apparizioni o meno del Risorto alla madre).

    Presentandoci Maria ai piedi della croce, Giovanni pone Maria nel cuore del mistero pasquale. Ella non è presente solo alla sconfitta e alla morte del Figlio, bensì soprattutto alla sua glorificazione: “Abbiamo visto la sua gloria”.

    Maria la “pura agnella”

    Maria ha bevuto fino in fondo al calice della passione. Ella può dire: “ha bevuto dalla mano del signore il calice della sua ira, la coppa della vertigine: O voi tutti che passate per la via, considerate e osservate se c’è un dolore simile al mio dolore” (Lam). Le piaghe del Signore si sono impresse anche nel suo cuore!

    Maria è insieme ad un altro gruppo di donne. Non era sola. Tuttavia era lì come “sua madre” e questo cambia tutto, ponendo Maria in una situazione affatto diversa dalle altre.

    Ella accompagna il Figlio nella passione fa suoi i suoi sentimenti. Quando sente il Figlio pregare dicendo: “Padre perdonali….”, capisce che il Padre le chiede di fare la medesima cosa: anch’ella perdona.

    Maria ai piedi della croce non dice una sola parola, ella è puro silenzio.

    Se Maria potè essere tentata come lo fu Gesù nel deserto questo avvenne sotto la croce: il motivo era che lei credeva alle promesse. E la croce sembrava sconfessarle. Ma vede che Gesù non fa nulla. Liberando se stesso dalla croce libererebbe anche lei dal suo dolore straziante, ma non lo fa. Maria non grida come tutti: “scendi dalla croce, salva te stesso e me” “Hai salvato altri salva ora te stesso figlio mio e me”. Maria tace. Dice il concilio: “Maria acconsente amorosamente all’immolazione della vittima da lei generata”.

    Ella sta accanto all’Agnello come agnella a sua volta come dicono alcuni antichi testi: “la bella agnella”.

    Dice ancora il concilio: “Anche la beata vergine Maria ha avanzato nel cammino della fede e ha conservato fedelmente la sua unione con il Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette ritta, soffrì profondamente col suo Figlio unigenito e si associò con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei stessa generata”.

    Maria dunque non sta presso la croce del Figlio solo fisicamente, ma soprattutto spiritualmente.  Soffriva nel suo cuore quello che il Figlio soffriva nella sua carne: “Una spada ti trafiggerà l’anima”.

    A forza di fare attenzione a non mettere sullo stesso piano Maria e cristo una certa teologia corre il pericolo di vanificare l’incarnazione, dimenticando che Cristo si è fatto “in tutto simile a noi, fuorché nel peccato”. Non è certo peccato che un figlio morente in quelle condizioni, rifiutato da tutti, cerchi un rifugio nel cuore e negli occhi della madre che l’ha generato e che conosce bene la sua innocenza. La differenza infinita tra il Figlio e la madre non deve far dimenticare la somiglianza anch’essa infinita che c’è tra loro: questo sarebbe docetismo.

    Gesù non dice più: “che c’è tra me e te o donna? Non è ancora giunta la mia ora!”: ora c’è un’unione profondissima data dalla stessa sofferenza.

    Chi potrà penetrare il mistero di quello sguardo tra madre e Figlio, in un’ora simile? Erano divenuti una sola cosa con il dolore e il peccato del mondo: Gesù direttamente, Maria indirettamente per la sua unione carnale e spirituale.

    Quando Gesù dice: “Padre nelle tua mani affido la mia vita”, adorando profondamente la volontà del Padre e affidandosi completamente a lui, Maria comprende che deve seguire Cristo anche in questo passaggio: anche lei è chiamata ad adorare la volontà di Dio e a confidare totalmente in essa.

    Stare presso la croce di Gesù

    Maria che sta sotto la croce ci dice quale deve essere l’atteggiamento del credente quando viene a contatto con la sofferenza fisica, spirituale, psichica.

    Quello che avvenne in quel venerdì santo deve avvenire anche per noi ogni giorno: bisogna stare accanto a Maria presso la croce di Gesù, come ci stette il discepolo che egli amava.

    Ci sono due aspetti da rilevare nel testo di san Giovanni:
    primo: bisogna stare “accanto alla croce”
    secondo: bisogna stare accanto alla croce “di Gesù”.

    La prima cosa da fare non è stare presso la croce in genere, ma stare presso la croce di gesù. Non basta stare presso la croce, cioè nella sofferenza, starci anche in silenzio con rassegnazione. No! Questo forse sarebbe eroismo ma nulla più, non contiene nessun annuncio di speranza, di gioia, di vita, di salvezza.
    la cosa decisiva è stare presso la croce di Gesù.

    Ciò che conta non è la propria croce, questa non ci salva! La croce che ci salva è solo quella di gesù.

    Non è il soffrire che conta, ma il credere, ovvero l’unirsi a Cristo, il vivere con lui. La cosa fondamentale è credere stando nella sofferenza a Cristo. La fede che passa attraverso la sofferenza è la vera fede!

    La cosa più grande e importante per Maria che stava presso la croce non era il suo soffrire, ma il suo credere nonostante tutto, l’unirsi alla sofferenza di Cristo suo figlio. La sua fede fu più grande della sua sofferenza: questa non la schiacciò!

    Ma qual è il segno e la prova che si crede realmente nella croce di Cristo? È il portare la nostra croce, la nostra sofferenza, dietro a Gesù, accettare di “prendere parte alle sue sofferenze”, di “essere crocifissi con lui”, di “completare nella nostra carne la passione di Cristo per il bene della Chiesa e del mondo”.

    La nostra vita allora si trasforma in “sacrificio vivente”, in un’offerta come quella di Cristo.

    Non si tratta più dunque di una sofferenza subita passivamente, ma accolta e vissuta con amore. Se vissuta così anche la nostra sofferenza partecipa della dimensione salvifica della sofferenza di Cristo.

    La nostra croce non è in se stessa salvezza, non è potenza, né sapienza. Diviene tutto questo quando ci uniamo alla croce di cristo.

    Soffrire unisce alla croce di Cristo in modo non solo intellettuale, ma esistenziale, concreto è una sorta di canale, di strada, che ci conduce con maria sul Calvario ai piedi della croce, dove la fede si unisce al dolore in un tutt’uno.

    Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze…mi compiaccio nelle mie infermità e nelle angosce sofferete per Cristo (2 Cor 12).

    Posted by attilio @ 15:08

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