• 18 Apr

    Dall’amore di sé al servizio all’altro

    Jean Vanier, La comunità luogo di festa e di perdono, Jaka Book


    Una comunità non è tale che quando la maggioranza dei membri sta facendo il passaggio da “la comunità per me” a “io per la comunità”, cioè quando il cuore di ognuno si sta aprendo ad ogni membro, senza escludere nessuno. E’ il passaggio dall’egoismo all’amore, dalla morte alla resurrezione: è la Pasqua, il passaggio del Signore, ma anche il passaggio da una terra di schiavitù a una terra promessa, quella della liberazione interiore.

    La comunità non è coabitazione, perché questo è una caserma o un albergo. Non è una squadra di lavoro e ancor meno un nido di vipere! E’ quel luogo in cui ciascuno, o piuttosto la maggioranza (bisogna essere realisti!), sta emergendo dalle tenebre dell’egocentrismo alla luce dell’amore vero. “Non concedete nulla allo spirito di partito, nulla alla vanagloria, ma ognuno per umiltà stimi gli altri superiori a sé; nessuno ricerchi i propri interessi, ma piuttosto ognuno pensi a quelli degli altri” (Fil 2,3-4).

    L’amore non è né sentimentale né un’emozione passeggera; è una attenzione all’altro che a poco a poco diviene impegno, riconoscimento di un legame, di un’apparenza vicendevole; è ascoltare l’altro, mettersi al suo posto, capirlo, interessarsene; è rispondere alla sua chiamata e ai suoi bisogni più profondi; è compatirlo, soffrire con lui, piangere quando piange, rallegrarsi quando si rallegra. Amare vuol dire anche essere felici quando l’altro è lì, tristi quando è assente; è restare vicendevolmente uno nell’altro, prendendo rifugio uno nell’altro. “L’amore è una potenza unificatrice” dice Dionigi l’Areopagita.

    Se l’amore è essere teso uno verso l’altro, è anche e soprattutto tendere entrambi verso le stesse realtà; è sperare e volere le stesse cose; partecipare della stessa visione, dello stesso ideale. E, con questo, è volere che l’altro si realizzi pienamente secondo le vie di Dio e al servizio degli altri; è volere che sia fedele alla sua chiamata, libero di amare in tutte le dimensioni dell’essere suo.

    Abbiamo qui i due poli della comunità: un senso di appartenenza gli uni agli altri ma anche un desiderio che l’altro vada oltre nel suo dono a Dio e agli altri, che sia più luminoso, più profondamente nella verità e nella pace. “L’amore è longanime; l’amore è servizievole; non è invidioso; l’amore non si gonfia, non si vanta; non fa nulla di sconveniente, non cerca il suo interesse, non si irrita, non tiene conto del male ricevuto, ma mette la sua gioia nella verità. Scusa tutto, crede tutto, sopporta tutto” (1Cor 13,4-7).

    Perché un cuore faccia questo passo dall’egoismo all’amore, dalla “comunità per me” a “io per la comunità”, e la comunità per Dio e per quelli che sono nel bisogno, occorrono tempo e molteplici purificazioni, delle morti costanti e nuove risurrezioni. Per amare, bisogna incessantemente morire alle proprie idee, alle proprie suscettibilità, alle proprie comodità. La via dell’amore è tessuta di sacrifici.

    Posted by attilio @ 12:44

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