• 03 Apr

    LA DECISIONE DI METTERSI IN CAMMINO:

    LA CONVERSIONE

    Se nel mio cuore desidero incontrare Dio devo mettermi nella disponibilità a lasciare, a cambiare ciò che ingombra, appesantisce, ostacola: in una parola a convertirmi.

    Conversione è processo lento, discreto, faticoso che ha luogo lungo il nostro cammino verso Dio, scoperto sempre più come realtà trascendente.

    Conversione dunque è cammino, condizione abituale: non può essere ridotto ad un momento singolo e limitato nel tempo. “Disse un anziano: C’è una voce che grida all’uomo fino al suo ultimo respiro: Oggi convertiti!” (Detti).

    Si tratta di conservare nel cammino la spinta alla fedeltà e alla costanza, superando le facili tentazioni dell’arrestarsi nella comodità di una determinata situazione, o in quella che gli antichi definivano come aurea mediocritas.

    (Nella teologia si parla di una duplice conversione:

    una prima è data dal proposito di dedicarsi al servizio di Dio

    una seconda è data dal donarsi interamente incamminandosi nella via della santità.

    Molti si fermano solo alla prima)

    Perché è difficile convertirsi? Perché è facile subito riternersi nella categoria dei giusti che non più necessitano di conversione? Quali sono le componenti della conversione?

    Conversione e trascendenza

    Impegnati come siamo a divenire sempre più esperti sulle cose di Dio, va a finire che ci abituiamo ad esse: non siamo più capaci di meravigliarci per ciò che Dio compie in noi e attorno a noi.

    Facciamo l’abitudine alla sua Parola di modo che essa non ci provoca più. Non sentiamo perciò il bisogno di cambiare.

    Abbiamo ridotto Dio a nostra misura, in modo che Egli non possa avanzare più di tante pretese.

    La vera conversione smantella questa presunzione. Il cammino di chi si converte inizia con la scoperta che Dio è al di là delle cose, è più grande dei nostri progetti e ideali. E’ radicalmente diverso dalle immagini che ci siamo fatti di lui. Egli ci trascende infinitamente: “Le mie vie non sono le vostre vie, i miei pensieri non sono i vostri pensieri” (Is).

    Quando si percepisce realmente Dio come il Totalmente Altro questo di conseguenza modifica il nostro cammino, l’idea di noi stessi, del nostro rapporto con Dio. Di fronte a questo Dio trascendente si scopre che l’unica risposta vera è la trascendenza di sé stessi e del proprio mondo. Ossia la conversione: un processo di trasformazione della propria storia.

    “Appena credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo fare altrimenti che vivere solo per lui: Dio è così grande, c’è una tale differenza tra Dio e tutto ciò che non è lui” (Ch de Foucauld)

    “Tutto io reputo una perdita…”

    La trascendenza divina illumina la vacuità e inconsistenza e i propri dei del passato:

    criteri di azione,

    gerarchie di valori

    interpretazione della realtà

    attaccamenti

    ….

    Tutto può funzionare nella nostra vita come idolo!

    Quanto più entriamo in contatto con il vero Dio, tanto più diventiamo sensibili a tutto ciò che da lui in qualche modo ci allontana ( è questa l’esperienza di tutti i santi: più entravano nel mistero più avevano coscienza del proprio peccato e del bisogno di conversione)

    Non si tratta qui di perfezionismo morale, Né di sforzi di volontà. E’ conseguenza logica dell’esperienza di Dio nella propria vita.

    Quando Dio si rivela tutto il resto perde valore o assume un valore nuovo.

    E’ l’esperienza travolgente di Saulo: “Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura…” (Fil 3,7-8).

    C’è un momento del nostro cammino in cui “le cose di prima” devono sembrarci spazzatura: se questo non avviene corriamo il rischio di non convertirci mai, e di non rinascere a nuova vera vita.

    Perché le cose di prima devono essere considerate “spazzatura”? “A motivo di Gesù Cristo” risponde Paolo.

    A questo motivo fondamentale potremmo aggiungerne un altro più terra: perché una falsa impostazione del proprio cammino alla fine risulta frustrante anche nei riguardi della gratificazione dei nostri bisogni.

    Quando si vive in funzione dei propri bisogni scatta inevitabilmente un conflitto, la gratificazione di certi bisogni è un pozzo senza fondo: non sazia la fame anzi l’aumenta.

    Continuando a vivere in questa direzione ci si fa del male, si vive in modo sconclusionato: è importante arrivare a questa constatazione.

    Quando ci si sente traditi da ciò che sembrava prometterci felicità, si perde il gusto per quanto prima attraeva irresistibilmente, si comincia a provare nausea e disprezzo per le vecchie abitudini: le cose di prima diventano spazzatura; un tempo desiderate ora sono considerate nullità. “La trasformazione non è solo un sentimento morale di colpa, ma la consapevolezza del nostro desiderio insaziabile, di quel desiderio che è in noi come un vuoto che diviene richiamo, come l’incavo di una pienezza sconosciuta” (O. Clement).

    Conversione è sentire ormai impellente il bisogno di sbarazzarsi di una falsa struttura di impostazione del proprio cammino.

    La provocazione del Trascendente e l’esperienza fallimentare di un certo stile di vita hanno creato una esigenza profonda di cambiamento. “Il pentimento – la metanoia – nel suo senso più forte deve essere portato alle radici di tutte le facoltà mentali, volitive ed affettive, fino al centro dell’essere intero: corpo e anima. Si tratta di una seconda nascita” (P. Evdokimov)

    E’ una fase certamente negativa, ma d’altra parte il cammino di conversione non è una cura di bellezza spirituale, un leifting, non è un riaggiustamento alla bene meglio, ma è trasformazione, rinascita che comporta inevitabilmente una morte: “distrugge una vita e ne produce un’altra… noi lasciamo la tunica di pelle per rivestire un mantello regale” (N. Cabasilas)

    Posted by attilio @ 08:25

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