• 30 Gen

    NON CI INDURRE IN TENTAZIONE

    di p. Attilio Franco Fabris

    Una conclusione questa della preghiera del Signore che apparve subito alquanto strana se paragonata a tutte le preghiere giudaiche. Esse non terminano mai, per così dire, al negativo, ma sempre con una benedizione o una richiesta di pace. Nel Padre Nostro, quasi si discendesse una china sempre più profonda, al termine ritroviamo il richiamo alla tentazione e al maligno!

    Un disagio dimostrato già in alcuni manoscritti del N.T. e apostolici. La Didaché, un documento importantissimo databile alla stessa epoca degli ultimi scritti canonici, testimonia l’aggiunta di alcune comunità di una solenne esaltazione della regalità di Dio: Poiché tuo è il Regno, tua la potenza e la gloria nei secoli (8,3).

    UN DIO CHE CI TENTA?

    Come se non bastasse questo la stessa richiesta di “non indurci in tentazione” risulta poco chiara. Immeditamente viene da domandarsi: come mai Dio metterebbe alla prova l’uomo?

    Diamo uno sguardo ai testi biblici e notiamo un fatto sconcertante: vi è detto che sono i giusti ad essere provati, mai gli empi. La tentazione è un “privilegio”, un appannaggio solo dei “giusti” e dei pii, di cui Giobbe è il primo rappresentante.

    Figlio , preparati alla tentazione. Accetta quanto ti capita, sii paziente nelle vicende dolorose, perché Dio prova gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore (Sir 2,1.4-5).

    Ringraziamo il Signore Dio nostro che ci mette alla prova, come ha già fatto con Abramo, quali prove ha fatto passare ad Isacco e quanto è avvenuto a Giacobbe (Gdt 9,25-26).

    Dio può tentare con la prova sofferta ma anche col benessere:

    Quando ti sarai saziato, quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento ed il tuo oro e abbondare ogni cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dmenticare il Signore tuo Dio (Dt 8,12-14).

    A questo punto ci domndiamo: se allora le tentazioni sono utili alla crescita della fede dei giusti e dei “pii”, perché domandare a Dio di “non indurci in tentazione”?

    A questo punto occorre farci una domanda: qual’è la tentazione e il male dal quale chiediamo di essere liberati? Sono forse le contrarietà, le difficoltà della vita, le malattie, le disgrazie, la vecchiaia? E ancora: Perché chiedere di essere liberati dal male se lui lo può fare in un attimo?

    Dio è presentato talvolta nelle vesti del “tentatore”.

    Un esempio classico è il confronto con 2Sam 24,1 nel quale si dice che è Dio ad incitare Davide al censimento. In  1Cr 21,1 si interprterà lo stesso gesto come proveniente dallo spirito cattivo avversario di Dio.

    Con questo si vuole affermare una verità di fondo: che nulla sfugge al progetto di Dio e che anche le azioni malvage sono da lui utilizzate al fine di compiere i suoi disegni (es Iil Signore indurì il cuore del faraone” Es 4,21, ovvero “Dio permise che il cuore del faraone si indurisse”).

    Sono molti i testi in cui Dio è presentato come colui che “mette alla prova” (cf Gn 22,1-19; Es 15,25; 16,4; Dt 8,2; Gd 2,22…). In questi testi si dice che Dio “mette alla prova”, ma non per provocare al male.  Si vuole affermare che Dio vuol far crescere nella fedeltà il suo popolo e i suoi eletti attraverso tutti gli avvenimenti in cui si trovavano coinvolti. Pur trattandosi di fatti provocati da fattori umani, la Scrittura li presenta come “tentazioni” di Dio in quanto situazioni che imponevano scelte decisive e sofferte in suo favore o contro di Lui.

    E’ DIO O IL DIAVOLO?

    Nel VI sec. Israele viene a contatto con le culture e religioni persiane.

    Si fa strada la concezione che il male esistente nel mondo sia causato dall’avversario di Dio: Satana. Una figura che aiuterà a purificare notevolmente il linguaggio teologico della Bibbia.

    Si comprende che situazioni di male, di peccato non possono essere imputate a Dio ma al suo avversario: è questi che diviene allora il “tentatore” per eccellenza (cf Sp 2,24; Gb 1-2;…)

    Rimane sì una tentazione che costantemente viene attribuita a Dio: quella derivante dalla sofferenza, dalle disgrazie, dalle contrarietà della vita:

    Figlio, se cominci a servire il Signore, preparati alla prova (Sir 2,1)

    Dopo essere stati castigati un poco saranno largamente premiati, poiché Dio li ha provati come oro nel crogiulo e li ha trovati degni di sé (Sap 3,5).

    Per questo si giungerà addirittura a chiedere la prova come occasione di crescita di fede:

    Saggiami, Signore, e mettimi alla prova, esamina col fuoco le mie reni (Sal 26,2).

    Una preghiera rischiosa e da farsi con molto discernimento.

    Esiste un racconto ebraico molto esplicativo al riguardo di rabbi Jehuda: “Un giorno Davide si lamentò con Dio dicendo: “Signore del mondo, perché si dice: Dio di Abramo, Dio d’Isacco e Dio di Giacobbe e non Dio di Davide?”. Il Signore rispose: “Perché essi sono stati messi  alla prova e tu no”. Allora Davide gli disse: “Signore, metti alla prova anche me, tentami, come dice il salmo”. Dio acconsentì alla preghiera, gli fece incontrare Bersabea moglie di Uria e…”.

    Nel Nuovo Testamento l’immagine di un Dio che “tenta” l’uomo è completamente abbandonata:

    Nessuno, quando è tentato, dica: Sono tentato da Dio! Perché Dio non tenta nessuno al male. Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce” (Gc 1,13-14).

    Così la tentazione è attribuita alle seduzioni dello spirito del male (cf 1Pt 5,5-9; 1Cor 7,5; Lc 8,13).

    Certo rimane saempre la convinzione che la prova svolge un ruolo importante nel cammino di purificazione della fede:

    Considerate motivo di perfetta letizia il fatto di essere sottoposti a ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la costanza… Beato l’uomo che sopporta la prova, perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita” ( Gc 1,2-3.12).

    Esultate pur essendo afflitti da svariate prove… Non stupitevi della persecuzione che si è accesa in mezzo a voi per provarvi, quasi che vi succedesse qualcosa di strano. Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi (1Pt 1,6; 4,12-13).

    Teniamo però presente che anche in questo caso le “tentazioni” non sono attrbuite a Dio. E’ la fede in lui  che aiuta ad affrontarle e superarle.

    COS’E’ LA TENTAZIONE?

    Il termine “tentazione” nell’accezzione comune richiama immeditamente una provocazione al male, al peccato. Da qui la difficoltà a capire come Dio possa “indurre” al male.

    Ma un’analisi dei testi biblici fa risaltare chiaramente che esistono diversi tipi di tentazione.

    C’è quella che ha come scopo quello di farci cadere, e Dio non ne può essere l’autore.

    Vi è una seconda tentazione il più delle volte tesa dall’uomo a Dio che si presenta come una volontà negativa di verifica: “Se… allora….”. Dio non si sottomette mai ad essa.

    C’ un’altra tentazione che non presenta caratteristiche di occasione di male e scelta del bene. E’ quella che si offre all’uomo come un’opportunità di crescita, di purificazione, di miglioramento. Questa tentazione contiene sì implicitamente il rischio della caduta nel male o nell’errore ma è pure passaggio obbligato per una crescita. Questa tentazione, nel Nuovo Testamento, non è presentata come proveniente da Dio. Dio ne insegna invece la via d’uscita, dona la forza per affrontarla e superarla (cf 1Cor 10,13).

    La medesima situazione che da parte di Satana è sfruttata come “tentazione”, cioè insidia per trascinarci all’infedeltà, rappresenta una “purificazione” da parte di Dio per consolidare la stessa nostra fedeltà.

    Facciamo poi attenzione che la lingua ebraica non distingue tra volontà causativa e volontà permissiva. Quando la Scrittura dice che Dio “tenta”, ciò equivale a “permette la tentazione”. E quindi anche l’espressione del Pater traducendola va intesa correttamente così: Non permettere che siamo indotti in tentazione.

    Nel Pater non chiediamo solo di non cadere, ma addirittura di “neppure entrare” nella tentazione di abbandonare la sequela di Gesù. “Una richiesta questa che implora lo Spirito di discernimento e di fortezza” (CCC 2846).

    Un’antica preghiera ebraica contemporanea a Gesù diceva: Non indurmi al potere del peccato, né alla forza della colpa, né alla violenza della tentazione, né al disprezzo. Fa’ in modo che io sia guidato dall’istinto buono e che l’istinto cattivo non mi domini (Ber.b. 60b).

    LA GRANDE TENTAZIONE

    Ancora una volta vediamo come il Padre Nostro ci riaggancia alla preghiera di Gesù nel Gethsemani. Significativamente l’ambito in cui il Pater viene a collocarsi in modo perfetto, ci dicono gli esegeti, sembra essere proprio il racconto della dolorosa passione del Signore.

    Se Gesù ci fa chiedere di “non essere indotti in tentazione” questo è perché lui stesso ha provato la violenza della tentazione: Sa compatire le nostre infermità perché è stato tentato in tutto come noi (Ebr 4,15)

    Nel Padre nostro non chiediamo al Padre che prepari per noi un cammino diverso, più comodo e meno rischioso di quello del Figlio suo Gesù. Imploriamo da lui invece di non essere lasciati a soccombere tristemente e mortalmente alla tentazione.

    Quale tentazione in modo particolare? Non certo dalla nostre piccole colpe o difetti quotidiani anzitutto! La grande tentazione è quella delle defezione, dell’abbandono della sequela di Cristo, della sua sapienza al fine di abbracciare quella del mondo. Non scorderemo che ogni cristiano sarà inevitabilemnte tentato dalle tentazioni che furono già di Gesù nel deserto e nell’orto degli Ulivi.

    E’ questa la “prova”, la “tentazione” per antonomasia. Tutte le altre tentazioni in fin dei conti sono relative a questa: quella di tracciare un nostro cammino, lontano da quello corrispondente alla volontà del Padre. In fin dei conti è un voler uscire dalla sequela crucis.

    Scrive O. Clèment: La grande tentazione sarebbe piuttosto di sentirsi guariti dalla malattia di Dio, guariti dall’interrogativo, alleggeriti del mistero, senza angoscia né stupore”

    La nostra scelta di Cristo non è fatta una volta per tutte, deve essere rinnovata e attualizzata in ogni momento e circostanza della vita.

    Il tempo dell’attesa del ritorno del Signore nella gloria è doloroso tempo di prova per la comunità dei discepoli.

    “Allora vi consegueranno ai supplizi e vi uccieeranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. Molti ne resteranno scandalizzati, ed essi si tradiranno e odieranno a vicenda” (Mt 24,9-10)

    Questo anzitutto dovete sapere, che verranno negli ultimi giorni schernitori beffardi, i quali si comporteranno secondo le proprie passioni e diranno: Dov’è la promessa della sua venuta? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane come al principio della creazione” (2Pt 3,3-4)

    Gesù disse loro: Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore del gregge saranno disperse” (Mc 14,27)

    L’esistenza della comunità cristiana è e sarà continuamente minacciata dal male fuori e dentro di lei; guai se il Padre non intervenisse col dono dello Spirito di fortezza. “Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo” (Ef 6,11); “Il Signore sastrappare dalla prova gli uomini pii” (2Pt 2,9) (nb qui si parla di una prova non tanto di prova particolari); “Dio è fedele e non permetterà che siate tentati al di sopra delle vostre forze, ma insieme alla tentazione vi darà anche il modo di uscirne bene, con la possibilità di sostenerla” (1Cor 10,13).

    Gli eletti sono i discepoli che sono stati “provati” dalla tentazione, sono passati “attraverso la grande tribolazione”, e che “hanno perseverato sino alla fine” (Mc 13,13).

    Così la tentazione è paragonata al vaglio: “Simone, Simone, ecco che Satana ha ottenuto di vagliavi come il grano” (Lc 22,31).

    Vediamo che questa richiesta della preghiera del Signore si aggancia direttamente al desiderio dell’attuarsi definitivo del Regno: “La nostra domanda s’inserisce interamente nell’aspirazione di desiderio per la venuta del regno, che fa di essa una preghiera piena di fiducia nella vittoria” (H. Schurmann).

    L’ARMA DEL CRISTIANO

    Quale l’arma affidata da Gesù al discepolo contro l’insidia di questa tentazione? E’ la preghiera: Vegliate e pregate per non entrare in tentazione (Mc 14,38). Si chiede di neppure entrare e non solo di non cadere nella tentazione!

    La preghiera incessante manifesta la nostra fiducia nella fedeltà incrollabile del Padre che non lascia il proprio figlio soccombere alla prova(“Ti basta la mia grazia” si sente dire Paolo 2Cor 12,7-9). La tentazione diviene pericolo quando si tralascia la preghiera. La prova sarà “troppo forte” soltanto se, venendo meno la preghiera, non otteniamo quell’aiuto  che Dio ha predisposto ottenessimo tramite essa.

    “La tentazione c’è: il cristiano deve sapere che c’è e pregare di non cadere in una situazione fatale per la sua vocazione di figlio di Dio. Il discepolo di Gesù, il povero sempre minacciato da colui che è “forte”, deve domandare a Dio ogni giorno, dome domanda il pane, la forza per non essere travolto nella prova, la forza per restare fedele alla sua vocazione di figlio di Dio; la domanda per sé e per gli altri, che possono essere tentati come lui” (M. Ledrus).

    Afferma il Catechismo: Il combattimento e la vittoria sono possibili solo nella preghiera. E’ per mezzo della sua preghiera che Gesù è vittorioso sul tentatore fin dall’inizio e nell’ultimo combattimento della sua agonia. Ed è al suo combattimento e alla sua agonia che Cristo ci unisce in questa domanda al Padre nostro. La vigilanza del cuore, in unione alla sua, è richiamata insistentemente. La vigilanza è “custodia del cuore” e Gesù chiede al Padre di custodirci nel suo Nome. Lo Spirito Santo opera per suscitare in noi, senza posa, questa vigilanza” (n. 2849).

    La nostra vigilanza è in vista della “lotta contro un nemico insidioso, non “contro carne e sangue, ma contro i principati e le potestà, contro le insidie del diavolo” (Ef 6,11-12), il quale non mira ad altro che a renderci disattenti, a tenerci addormentati per farci perdere la speranza e farci cadere nei gorghi di morte. Chi può lusingarsi di non esserne avviluppato” (M. Ledrus)


    SCHEDA DI LAVORO

    *        Come reagisci dinanzi alla tentazione? Ricorri alla preghiera?

    *        La tentazione trova il suo terreno di crescita nella nostra debolezza, nel nostro orgoglio, e nel voler fare a notro modo rivendicando una “nostra” libertà.

    Come vivi la tua libertà? Come la concepisci?

    Come sperimenti la lotta in te tra la “l’uomo carnale e lo spirituale”, tra il “vecchio e nuovo Adamo”?

    *        Riesci a leggere la prova, la tentazione, come occasione di crescita umana e spirituale? Ne vedi gli aspetti positivi?

    *        Beato chi persevererà sino alla fine. Così è stato per Gesù, gli apostoli e tutti i santi. Possiedi questa fede? La nutri con la preghiera, la meditazione della Parola, la carità attiva?

    *        Sai essere vicino con la preghiera e la carità a chi attraversa la prova, la tentazione? Sei portato a giudicarlo, a condannarlo? Trovi difficile accoglierlo nella sua debolezza?

    *        Leggi e medita Mc 14,32-42. Cosa ti suggerisce per il tuo cammino di fede? Cosa ti senti chiamato a cambiare nella tua vita?

    • Alla fine scrivi una preghiera di commento a questa penultima richiesta del Padre Nostro.

    Posted by attilio @ 11:55

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