• 25 Gen

    CHE SEI NEI CIELI

    di p. Attilio Franco Fabris

    L’espressione “che sei nei cieli” non indica evidentemente un luogo ma un modo d’essere.

    Era questa un’espressione comunissima al tempo in cui Matteo scrisse il suo vangelo. Ad esempio un rabbino contemporaneo degli apostoli dice: “Le pietre dell’altare fanno nascere la pace fra Israele e il Padre suo che è nei cieli”.

    Quale il significato di questa espressione?

    Gli antichi erano meravigliati dalla profondità del cielo a loro inacessibile che rievocava il mistero, la trascendenza, linfinito.

    Nella loro cosmologia il cielo appariva loro come una realtà solida, costituito da acque trattenute da un’immenso velo costellato di stelle. Nel cielo erano i depositi dell’acqua, della grandine e della neve (cf Gb 37,9; 38,22). Tutta la costruzione del cielo poggiava su solidissime colonne (“Io tengo salde le sue colonne”).

    Al di sopra di tutto il trono di Dio, la sua dimora, la sua corte celeste, il suo palazzo (cf Sal 2,2s; 104,2; Gb 1,6-12).

    Dio comunicava con la terra tramite gli angeli; essi scendevano tramite scale (cf Gn 28,12); in seguito per influsso delle raffigurazioni persiane essi si serviranno di ali.

    L’espressione “che sei nei cieli” sta ad indicare dunque la totale trascendenza di Dio, ma non la sua lontananza! Evitando anche la banalizzazione e la proiezione di false immagini di Dio.

    Ma collocata subito all’inizio dopo la parola Padre essa vuole anzitutto eliminare ogni possibile confusione tra i “padri terreni” e il “Padre” da cui proviene ogni paternità.

    Certo l’espressione che “sei nei cieli” unita a “Padre”, può generare in noi un certo disagio: un vero padre non è mai lontano, staccato, inacessibile.

    Tuttavia nella fede cristiana siamo chiamati a conciliare questi due aspetti di Dio; la sua paternità non esclude la sua trascendenza e viceversa.

    E’ un mistero di amore che ci avvolge e che nello stesso tempo ci trascende infinitamente.

    Il peccato ci ha allontanato “dai cieli”, sono essi la “nostra patria”. Viviamo come esiliati: Sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste (2Cor 5,2).

    La nostra conversione potrebbe essere letta come un ritorno al cielo. E’ un cielo ormai aperto: “si spalancarono i cieli” durante il battesimo di Gesù, e da allora non sono più richiusi all’uomo. In lui cielo e terra sono ormai eternamente riconciliati. Paolo dirà: Il Padre ci ha fatti sedere (ovvero possiamo rimanervi, sono ormai nostra dimora) nei cieli in Cristo (Ef 3,6).

    La Lettera a Diogneto riporta la stessa riflessione: I cristiani sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Passano la loro vita sulla terra, ma sono cittadini del cielo (5,8).

    LA PREGHIERA CRISTIANA

    Guardando tre gesti con cui accompagnamo la nostra preghiera cogliamo alcuni elementi della nostra fede, ovvero della nostra relazione con Dio.

    Anzitutto vediamo che i cristiani pregano il Pater stando in piedi

    I mussulmani invece pregano stesi a terra rivelando la loro sottomissione a Dio. Pregando coì essi sottolineano la sua assoluta trascendenza e lontananza.

    Noi preghiamo il Padre nostro stando in piedi. E’ la posizione di Colui che è risorto, è il nostro identificarci con Cristo.

    Nel battesimo siamo infatti passati da morte a vita. Gesù ci ha fatto dono del suo stesso Spirito. Cristo risorto così vive in noi (cf Gal 2,20).

    Non ci sentiamo poi schiacciati dalla trascendenza di Dio, siamo costituiti nella libertà e nella filiolanza nei suoi confronti.

    Preghiamo volgendo lo sguardo in alto, verso il cielo. Luogo della trascendenza di Dio.

    Vogliamo vedere le cose con gli occhi di Cristo sempre rivolti al Padre (cf Canone Romano): infatti è in Lui che sta la verità di noi stessi, della realtà che ci circonda e della storia che attraversiamo.

    Così diciamo  che egli è Padre che è nei cieli, vicino ma nello stesso tempo avvolto nel suo mistero.

    Scrive sant’Ambrogio: “ O uomo tu non osavi levare il tuo volto verso il cielo, rivolgevi i tuoi occhi verso terra, e, ad un tratto, hai ricevuto la grazia di Cristo: ti sono stati rimessi tutti i tuoi peccati. Da servo malvagio sei diventato un figlio buono… Leva, dunque, gli occhi tuoi al Padre… che ti ha redento per mezzo del Figlio e di: Padre nostro!… Ma non rivendicare per te un rapporto particolare. Del solo Cristo è Padre in modo speciale, per noi tutti è Padre in comune, perhé ha generato lui solo, noi invece, ci ha creati. Dì anche tu per grazia: Padre nostro, per meritare di essere suo figlio” (De Sacram. 5,19).

    Si prega con le braccia allargate.

    Ed è questo il gesto spontaneo con cui il bambino corre incontro al papà o alla mamma.

    E’ pure il gesto indicante una disponibilità incondizionata, come quella di Gesù sulla croce: “Tu non hai voluto né sacrificio, né offerta, un corpo invece mi hai preparato… Allora ho detto: Ecco io vengo per fare o Dio la tua volontà”(Ebr 10,5-7)

    E’ gesto di invocazione e di intercessione non solo per noi ma per il mondo intero.

    Non chiediamo con questo gesto che la volontà del Padre si pieghi alla nostra: al contrario è segno di apertura, disponibilità alla sua volontà; è la consegna di noi stessi.


    SCHEDA DI LAVORO

    1.       Ciascuno di noi lungo la sua storia, attraverso l’educazione e l’ambiente, viene a configurarsi un’immagine di Dio con dei tratti positivi e negativi. Si tratta di un’immagine il più delle volte “inconscia” ma che  proprio per questo rischia di arrestare o di facilitare l’incontro con Dio.

    Non bisogna avere paura di queste immagini, determinante invece è prenderne coscienza. Senza scandalizzarsi se ci accorgiamo che esse sono forse ben lontane dal volto del Padre rivelatoci da Gesù.

    Prova a guardare il tuo mondo interiore, soprattutto quello dei sentimenti, l’idea di Dio da quali sentimenti è accompagnata, quali idee ed immagini suscita?

    Sotto quali tratti è vicina all’immagine del Padre di Gesù?

    Per quali ne è invece lontana?

    2.       Quale esperienze ricordi come fondamentali nella tua esperienza di Dio?

    3.       Quale immagine di Dio e di uomo emerge dalla preghiera di Gesù presentata  in Mc 14,36-37? Prova a richiamare altri testi in cui Gesù rivela il volto di Dio come Padre.

    4.       Quale gesto spontaneamente saresti portato a fare recitando il Padre nostro?

    5.       Gesù insegnando il Padre nostro ci invita ad uscire dal nostro individualismo e da una concezione gretta di Dio. Dio è Padre di tutti, e in una famiglia uno ha a cuore i bisogni dell’altro.

    Prendo in considerazione la mia preghiera e quella della mia famiglia-comunità.

    Essa possiede la caratteristiche di essere costantemente aperta a tutta la Chiesa e al mondo intero?

    Ti sforzi di superare la tentazione di una preghiera ripiegata solo su te stesso e le tue necessità?

    6.       Dio è vicino e nello stesso tempo costantemente trascendente. Sempre da ricercare e scoprire. Il suo mistero è insondabile.

    Per me Dio Padre è vicino o lontano? La sua trascendenza mi allontana da lui, oppure diviene spinta alla ricerca umile e fiduciosa della preghiera?

    7.       I “cieli” in cui ha dimora il Padre sono oggetto del tuo desiderio. Il tuo cuore è rivolto là dove sta assiso Cristo Gesù alla destra del Padre?

    8.        Prega lentamente il Pater immedesimandoti in Gesù.

    Esprimi questa tua conformazione a lui con dei gesti:

    – le braccia allargate che ti ricordano l’offerta della sua vita sulla croce e la sua disponibilità

    – in piedi facendo memoria della sua risurrezione dai morti.

    – gli occhi rivolti al cielo dove è  la dimora del Padre.

    – il cuore aperto a tutto il mondo presentato al Padre nell’intercessione.

    Posted by attilio @ 10:51

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