• 20 Ago

    Il tempo dell’antibabele

    Lectio di Isaia 2,1-5

    di p. Attilio Franco Fabris

    Il mondo sta camminando a passi sempre più spediti verso una trasformazione globale. Sta cambiando la cultura, la vita e le strutture sociali e di comunicazione, cambia l’economia sempre più globale: il mondo è realmente diventato più piccolo, un “villaggio globale” come alcuni amano dire. Vediamo le nostre città, e non solo, trasformare il loro volto. Viviamo, volenti o nolenti, uno dei cambiamenti più grandi della storia dell’umanità che segnerà sicuramente una svolta.

    Questo cambiamento è percepito con sentimenti diversi e spesso contrastanti: se ne avvertono le immense potenzialità di bene e di sviluppo per tutti, ma d’altra parte lo si teme perché esso comporta inevitabilmente lo smantellamento di strutture economiche, sociali, politiche, che per secoli avevano assicurato un orizzonte di sicurezza e stabilità.

    Uno dei segni più evidenti di questo cambiamento è dato dal fatto che, sempre più spesso, camminando per strada, salendo sul tram o al supermercato incontriamo donne col velo islamico, volti  neri, occhi a mandorla, sentiamo parlare lingue perfettamente sconosciute, vengono aperti negozi stranieri e inaugurati nuovi luoghi di culto per le religioni più disparate. In alcune scuole e quartieri si sta ponendo il problema di una minoranza fatta di… italiani! Un grande movimento di popoli sta avvenendo sotto i nostri cuori, obbligando ad un incontro, che può purtroppo come sta avvenendo in diverse parti del mondo e anche in Italia degenerare in scontro, di culture.

    Anche il volto delle comunità cristiane e religiose sta cambiando di conseguenza. Alla messa domenicale è facile scambiare il segno della pace a destra con l’africano e a sinistra con una filippina. Tanti istituti religiosi hanno scelto di integrare (talvolta importare!), per motivi più o meno validi, vocazioni provenienti dall’Africa e dall’Asia: per cui nel paesino più sperduto delle montagne dell’Abruzzo non è difficile intravedere l’anziana suora italiana che si accompagna a una giovane consorella indonesiana per andare alla messa celebrata dal prete indiano!

    Ci domandiamo: quale il ruolo della società, della chiesa, della vita religiosa, in questo frangente storico così delicato? Cosa Dio ci sta chiedendo? Quale il segno dei tempi che ci fa scorgere?

    Il profeta Isaia ha la forza e il coraggio di aprire il credente ad una visione di straordinaria bellezza: Dio annuncia che tutti i popoli sono chiamati a percorrere una via di riconciliazione e di pace che li faccia sempre più incontrare e unificare. Si tratta di una via che non passa attraverso i meschini calcoli politici o interessi economici, ma attraverso il riconoscimento che vi è una realtà più grande di ogni singolo popolo, lingua, cultura, religione. Questa realtà noi la chiamiamo Regno di Dio verso il quale tutti siamo incamminati per raggiungerlo in pienezza alla fine dei tempi. Nel frattempo la provvidenza di Dio ci pone nella condizione di pregustarne gli anticipi.

    Nel frattempo a noi collaborare con lo Spirito che fa percorrere alla storia sentieri ancora inesplorati: “Vieni Spirito Santo,scendi come rugiada dal cielo. Fa’ sentire la tua presenza mite, dolce e forte, nel profondo della coscienza. Apri i nostri occhi, fa’ che siano fissi sul volto di Cristo. Apri le nostre orecchie perché ascoltino solo le sue parole. Rendici suoi discepoli. Prepara il nostro cuore all’incontro sempre nuovo con il Signore risorto, in attesa di conoscerlo pienamente accanto a te, con tutti i nostri fratelli nella gioia del Padre, che non avrà mai fine. Allora ogni parola del Signore ci apparirà chiara e luminosa. E noi saremo introdotti nella vita della Trinità. Per tutti i secoli dei secoli. Amen”.

    Lectio

    La cittadella di Sion raccoglie in sé il Tempio, dimora di Dio, e il palazzo del re suo luogotenente. Sia il tempio che il palazzo reale sono segni che rimandano costantemente all’elezione d’Israele da parte di JWHW e alle sue promesse.  Numerosi testi dell’AT si premurano di ricordare che JWHW abita in Sion: “Il Signore degli eserciti abita sul monte Sion” (Is 8,18), che è lui che “ha fondato Sion e in essa si rifugiano gli oppressi del suo popolo” (Is 14,32). “Sul monte della sua eredità, santuario che le sue mani hanno fondato” (Es 15,17). È da questa sede da lui scelta che JHWH vuole da sempre incontrare e parlare, tramite il profeta, al suo popolo.

    Il profeta Isaia abita proprio in Gerusalemme, e nei suoi oracoli si intravede un grande innamorato della sua città: egli è sempre pronto a decantarne tutta la bellezza che scaturisce dal fatto che Dio stesso abita in essa:“Eccelso è il Signore poiché dimora lassù; egli riempie Sion di diritto e di giustizia”  (33,5).

    Isaia ogni anno ha modo di contemplare il continuo confluire di tutti gli israeliti che in pellegrinaggio, in occasione delle grandi feste, si recano al monte di Sion cantando i “Salmi delle Ascensioni” “in mezzo ai canti di gioia di una moltitudine in festa” (Sal 42,5). Era questo certamente uno spettacolo capace di suscitare memorie antiche e speranze sempre nuove. Una speranza necessaria in quanto il tempo in cui Isaia annuncia il suo oracolo è difficile: la situazione del regno di Giuda è drammatica. Esso è aggredito e strattonato da ogni lato dalle spinte politiche dei paesi circonvicini che lo vorrebbero obbligare ad alleanze in vista di un suo coinvolgimento in una impossibile guerra contro l’Assiria (Is 7,2). Mentre le truppe nemiche si apprestano ad assediare la capitale per ridurla alla sottomissione Isaia rimane fermo nella speranza che la salvezza starà unicamente nell’affidarsi a Dio, non nei poveri e umani calcoli politici. Se Israele confiderà unicamente nel suo Dio Gerusalemme non potrà essere conquistata. Ma il suo annuncio profetico non si ferma qui; egli va oltre offrendo un’ulteriore e sconcertante promessa, quella contenuta nel nostro testo.

    “Ciò che Isaia, figlio di Amoz, vide riguardo a Giuda e a Gerusalemme” (v.1). Isaia “vede” ciò che deve dire, o meglio annuncia ciò che Dio gli mostra. La sua parola sarà perciò infallibile in quanto Parola di Dio! Ciò che Isaia dice non è una sua intuizione, un suo ragionamento ma è “visione”, ovvero capacità/dono di leggere la storia e le vicende con lo sguardo di Dio stesso. Dio stesso che “mostra” il suo disegno servendosi del profeta. E ciò che egli “vede” è in riferimento al regno di Giuda e della sua capitale: la città santa di Gerusalemme.

    “Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti” (v.2). Troviamo anzitutto una precisazione riguardante il tempo. Quando avverrà ciò che vede? “Alla fine dei giorni”. Espressione enigmatica che non comporta tuttavia necessariamente la fine della storia. Può stare ad indicare il tempo di un nuovo inizio nel quale il Regno di Dio sarà sperimentato come realtà concreta e nel quale l’umanità potrà sperimentare un cambiamento radicale.

    Una nuova era che inizierà con l’esaltazione del monte di Sion sopra tutti gli altri monti. Isaia vede il monte di Sion – sul quale si erge il grande Tempio costruito da Salomone – elevarsi divenendo il monte più alto della terra. Questo non per suoi meriti… orografici! Ma perché luogo scelto da Dio a sua dimora. Il luogo cui Dio ha legato la propria presenza verrà elevato dalla sua attuale posizione nella quale passa pressoché inosservato cosicché tutto il mondo lo potrà vedere nella sua vera realtà di “monte di Dio”.

    Immediatamente dopo il profeta scorge una folla immensa di pellegrini di ogni razza, popolo e lingua e nazione che si dirige unanimemente verso il santuario di Dio. Se in precedenti oracoli Isaia annunciava lo sterminio dei popoli ribelli (cfr 10,24-34; 17,12-14; 30,19) qui manifesta che Gerusalemme diverrà luogo di incontro per tutti i popoli (lo stesso tema verrà ripreso dal contemporaneo Michea: 4,1-5). Al termine della storia Dio non annienterà dunque i popoli pagani ma ad essi offrirà la conversione, la possibilità della loro spontanea sottomissione all’autorità di Dio: “Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe,perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore”(v.3).

    Sorge inevitabile la domanda: qual è il motivo di questa comune e inattesa attrazione? Questa fiumana di popoli diversi non si reca al monte di Dio per offrire sacrifici o sciogliere voti o per altri scopi cultuali quanto per porsi in ascolto della Parola di JHWH. Da questo ascolto potranno tutti apprendere a camminare nelle vie del Signore: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 118,105).

    Dunque la forza di attrazione, il punto di convergenza e di comunione tra tutti i popoli, sarà rappresentato dalla Parola che Dio rivela e che “esce” dal tempio, non vi rimane!, per andare incontro all’uomo. È solo la Parola che può attrarre e unificare i cuori un tempo divisi in un comune desiderio, nella misura in cui la “legge” sarà riconosciuta come verità dal cuore di ciascuno. Ciò significa che al dono della Legge deve far riscontro la disponibilità dell’orecchio all’ascolto e della volontà per realizzare la parola udita cosicché “possiamo camminanare per i suoi sentieri”.

    Il santo monte diviene centro di un duplice movimento: da un lato il concorso universale di tutti i popoli dall’altro la Parola che da esso viene a tutti indistintamente offerta. Il grande cammino umano della storia si trasforma in un cammino dell’uomo verso Dio e di un cammino “di Dio” verso l’uomo. La marcia della storia diviene “santo pellegrinaggio”:Sono canti per me le tue parole, nella terra del mio pellegrinaggio” (Sal 118,54). Le vie del mondo e della storia si trasformano in strade di Dio, nei “suoi sentieri”. La storia per la rivelazione biblica non è un  girovagare a vuoto, senza meta e direzione!

    “Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si  serciteranno più nell’arte della guerra” (v.4). Frutto del convergere al monte di Dio da parte di tutti i popoli, il che rappresenta una dinamica opposta a quella del monte/torre di Babele, è l’instaurarsi di un’era di pace, di riconciliazione: ovvero del regno di Dio. Gli strumenti di morte – spade e lance – sono trasformati in strumenti di vita: vomeri e falci-. I popoli pongono fine alla guerra, le armi sono totalmente  dimesse (forgeranno) perché non avranno più alcun senso di esistere. Le divisioni e le ostilità dell’umanità si dissipano ai piedi del monte quando la Parola è accolta da tutti!

    È utile tener presente che oracoli di questo tenore erano frequenti in tutta l’antica area mediorientale: ad ogni ascesa di un re si annunciava l’avvento di un’era di pace universale, del ritorno alla mitica età dell’oro. Ad esempio un canto che inneggia al faraone Ramses IV proclama: “Coloro che avevano fame sono stati saziati e sono allegri, coloro che erano ignudi sono vestiti di lino fine, coloro che erano in prigione sono stati liberati, coloro che litigavano in questo paese si sono rappacificati”. Ma proprio nel giorno in cui il faraone era proclamato apportatore di pace per il mondo intero egli ritualmente scagliava una freccia in direzione di ciascun punto cardinale: era un gesto simbolico violento tutto teso a scoraggiare chiunque pensasse di attentare alla sicurezza del regno. Il faraone prometteva sì la pace ma sotto l’egida della minaccia dell’impiego delle forze di guerra! Isaia annuncia invece una pace totalmente diversa che trova origine da una direzione totalmente diversa: essa non si basa sulla forza e sul potere violento, non su calcoli umani e diplomatici, ma sull’adesione di tutti i popoli – convocati in “Jerushalaim – Città della Pace” alla Parola di Dio. E’ la Parola che ha la forza di annullare la forza disgregatrice e violenta del peccato di Babele e di porre in atto una nuova creazione che riordini il caos.

    Sion ottiene così lo statuto di città in cui è possibile dissipare e annullare il titanico e drammatico episodio di Babele: in tale città l’ybris dell’uomo antagonista di Dio pretese di costruire il monte artificiale capace di giungere a competere col cielo, ovvero con Dio. Tale progetto ebbe come conseguenza l’instaurarsi del disordine e dell’ingiustizia che scaturì dal fatto che l’uomo pretese (e pretende) di scardinare l’ordine voluto da Dio. Il frutto fu l’incomprensione reciproca, una frantumazione e una dispersione generatrici solo di guerra e divisione. Ora contro questa torre-monte presuntuoso si erge il monte di Sion sul quale Dio dimora e dal quale risuona la parola ricreatrice. Contro l’incomunicabilità, la divisione, l’incomprensione a Sion è donata la Parola capace di riunificare e di far parlare tutti nell’unico linguaggio dell’amore. Coloro che accolgono la Parola cessano di costruire torri capaci di provocare solo divisione e incomunicabilità.

    “ Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore” (v. 5). Fin da ora Israele, la “Casa di Giacobbe”, ha il compito di rendere presente quell’unità che sarà donata a tutti i popoli “alla fine dei giorni”. Esso è chiamato fin d’ora a fare esperienza di ciò che il mondo potrà essere solo nel futuro. Per far questo la strada è una sola: Israele deve “camminare nella luce del Signore”, perché vi è e vi sarà sempre il rischio di deviare dal sentiero non prestando l’orecchio all’ascolto (cfr Is 50,4). Una luce (è ancora la Parola che Dio pronuncia nelle tenebre all’inizio della creazione) scaturisce da Sion capace di far intravedere in un’epoca di buio e incertezza una direzione che contiene in sé una speranza inaspettata: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”  (9,1). Luce che indica la via all’unità di tutti noi in Dio.

    Collatio

    È faticoso dopo il fatidico 11 settembre sperare ancora nella possibilità di uno scambio di mano tra le varie razze, popoli, culture e religioni. I muri di divisione tra est e ovest che, pochi anni prima, si erano abbattuti si sono precipitosamente rialzati. Ne sono stati edificati addirittura di nuovi e proprio nella Gerusalemme in cui Isaia aveva la sua casa! Sui nostri giornali troviamo ogni giorno che l’allontanamento – se non la violenza perpetrata in tanti modi – nei confronti del “diverso”, dello “straniero” e talvolta in nome stesso di Dio, viene troppo spesso utilizzata come l’unica risposta che può garantire la sicurezza del… proprio orticello.

    Eppure in tutta Europa  l’accelerazione dei flussi migratori non si sta arrestando, anzi le dimensioni di questo movimento diviene sempre più planetarie. Ciò che sta avvenendo ci trova un po’ tutti impreparati. Sporadici i casi di una tranquilla convivenza, ancora molto lontane invece le occasioni di un vero incontro. Quasi nessuno ha piacere di avere a fianco del proprio pianerottolo la famiglia rumena, africana o il gruppetto di mussulmani. Il disagio e l’insofferenza ci sono, inutile negarli e sinora la gestione di questo incontro-scontro di culture, razze e religioni diverse è improvvisata. Si tentano normative che hanno la consistenza di un tampone. Il risultato è che, almeno per ora, la nostra società non sta diventando correttamente interculturale ma rimane tutt’al più solo plurietnica di fatto e suo malgrado.

    Le strade perché l’incontro e la fusione avvengano non possono essere dettate solo da strategie politiche od economiche. Generalmente queste sono sempre tentate dall’ybris cosmopolita e fallimentare di Babele! La radice cristiana dell’Europa si è voluta dimenticare. Su quali fondamenta profonde si costruirà la nuova Europa quando ne abbiamo divelto le radici?

    Un ruolo fondamentale l’avranno proprio le religioni. Oggi l’incontro tra le religioni ha fatto molta strada, ma ancora troppo poca a ragione di ciò che esse sono chiamate a fare. Tutte – come insisteva nel suo insegnamento e con i suoi gesti profetici Giovanni Paolo II – avranno un ruolo di primaria importanza per la costruzione di una nuova società multietnica.

    La profezia di Isaia è offerta come visione capace di aiutarci a sperare e ad intraprendere cammini di incontro e di riconciliazione. E allora ci domandiamo: in quale misura la mia fede in Dio mi sta aiutando a superare ostacoli e divisioni e a stendere la mano al fratello e alla sorella perché insieme possiamo “salire al monte del Tempio del Signore”?

    La profezia di Isaia non si è realizzata nel tempo del profeta. Ma la promessa non è stata posta in cantina ad ammuffire. Anzi! Dalla comunità dei discepoli di Gesù è stata nuovamente rilanciata e ampliata a orizzonti ancora più vasti che abbracciano l’universo e l’eternità. L’apostolo Giovanni pronuncia la stessa profezia di Isaia proiettandola alla fine dei tempi, quando tutto “sarà ricapitolato in Cristo”. Egli vede la nuova Gerusalemme, a cui sono confluiti i centoquarantaquattromila di ogni stirpe, lingua e nazione, che discende, come dono, dal cielo da Dio (cfr Ap 21,1). In questa nuova Sion, di cui la Chiesa è già ora sacramento, tutti i popoli hanno iniziato a convergere attorno alla Parola fatta carne: “Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani” (Ap 7,9).

    La Chiesa in Cristo riconosce l’inizio di tale adempimento: Matteo all’inizio del suo vangelo ci  presenta una “casa” in cui attorno a Cristo si raccolgono ebrei e pagani. Luca presenterà a sua volta la stessa “casa” all’inizio degli Atti in cui ebrei, proseliti e pagani si ritrovano accomunati nella fede in Cristo (Atti 2,8-11). All’annuncio del kerygma che scaturisce dalle labbra degli apostoli usciti di corsa dal cenacolo ecco che tutti si pongono in ascolto della Parola. È una Parola  che indica a tutti i “sentieri di Dio” capaci di operare la trasformazione del cuore e indurlo alla pace con Dio e con ogni fratello: “Che cosa dunque dobbiamo fare?”.

    La “fine dei giorni” (v.2) preannunciata da Isaia è perciò iniziata: “Il Regno di Dio è in mezzo a voi”.  Ciò significa che la grazia di Cristo, “per mezzo della sua croce” (Ef 2,16),  può infrangere ogni separazione, ogni ostilità tra uomo e uomo, tra nazione e nazione: “Egli è la nostra pace, è venuto ad annunziare la pace, pace a coloro che erano lontani e pace a coloro che erano vicini” (Ef 2,14.17).

    Quale il futuro che ci aspetta e il ruolo della Chiesa e delle comunità religiose in questo contesto sociale?

    Il futuro appare relativamente chiaro anche se ancora molto lontano: la strada dell’interculturalità sarà quella del riconoscere l’altro nella sua cultura affermando contemporaneamente la propria sicché dal mutuo riconoscimento scaturisca un processo di trasformazione che idealmente porti entrambi a superarsi per giungere ad una realtà completamente nuova, altra da entrambi. In poche parole: il futuro attende il nascere di una sorta di “meticciato culturale”, un colore completamente nuovo come quello della luce della Pentecoste che ingloba tutti i colori. Non si tratterà perciò di abolire le differenze, né di operare separazioni, bensì di far nascere un “nuovo e altro” che prendendo da entrambi va oltre. Per ora la strada percorsa sembra essere solo giunta alla formulazione di un multiculturalismo dove viene sancita e riconosciuta la differenza dando diritto ad un mosaico culturale dove però ognuno è tutelato nella misura in cui rimane rinchiuso nel suo gruppo e di nuovo separato dagli altri.

    Ecco allora il compito della Chiesa e delle altre religioni: quello di porre in atto coraggiosamente iniziative che vadano controcorrente ad un rifiuto generalizzato di questa evoluzione. Come fu capace di visione Giovanni Paolo II quando nel 1986 decise di invitare tutti i rappresentanti delle grandi religione per implorare insieme il dono della pace e della comunione fra i popoli. Ora lo si comprende!

    La chiesa e le altre religioni saranno sempre più chiamate a mostrare di favorire concretamente la pace mondiale e soprattutto di non usare il nome di Dio per dare atto a sfoghi di violenza inconsulta. Per noi cristiani, la dottrina conciliare della Chiesa come “popolo di Dio”, deve essere la forza trainante di questo impegno: e la visione di Isaia torna a rivivere: un unico popolo di diverse culture e lingue in cui le identità di ciascuno sono rispettate ma insieme trascese in quanto tutti tesi ad un “tertium” che è il regno di Dio.

    Saremo capaci come comunità del Crocifisso Risorto di presentarci al mondo in preda alla paura, al sospetto e alla violenza nei confronti del “diverso”, come segno contraddittorio e visibile di comunione? Non dimentichiamo le parole del catechismo della Chiesa cattolica dove si dice che: “la Chiesa è il luogo in cui l’umanità deve ritrovare l’unità e la salvezza. È il “mondo riconciliato”. È la nave che “spiegate le ali della croce del Signore al soffio dello Spirito santo naviga sicura in questo mondo”” (CCC845).

    E veniamo al ruolo delle comunità religiose. Ormai sembra un dato scontato che esse siano incamminate a divenire sempre più “internazionali”. Nella stessa casa troviamo persone consacrate di diverse nazionalità, colore e lingua. Al di là delle motivazioni originarie più o meno valide che hanno portato vari istituti religiosi ad optare per questa scelta, appare evidente che tale situazione appaia oggi provvidenziale visto che anche la nostra società è chiamata a percorrere la stessa strada.

    Allora perché non cogliere questa varietà all’interno delle singole comunità non come un peso che “purtroppo” ci si deve accollare per necessità ma come occasione di autentica evangelizzazione, in cui la comunità presentarsi nel suo ambiente come profezia di una realtà possibile?

    I problemi in questo cammino interculturale non mancheranno certamente ma quante opportunità sono date in essa! Che le nostre comunità divengano consapevoli che si tratta di un “segno dei tempi” di straordinaria importanza, che incalzando sta facendo incamminare l’umanità verso il Regno. La profezia di Isaia si sta realizzando sotto i nostri occhi, non ce ne accorgiamo?

    Oratio

    È veramente giusto renderti grazie,
    e innalzare a te, Signore, Padre buono,
    l’inno di benedizione e di lode.
    Per mezzo del tuo Figlio,
    splendore d’eterna gloria, fatto uomo per noi,
    hai raccolto tutte le genti nell’unità della Chiesa.
    Con la forza del tuo Spirito
    continui a radunare in una sola famiglia
    i popoli della terra,
    e offri a tutti gli uomini la beata speranza del tuo Regno.
    Così la Chiesa risplende
    come segno della tua fedeltà all’alleanza
    promessa e attuata in Gesù Cristo, nostro Signore,
    che vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
    un solo Dio per i secoli dei secoli. Amen

    (V Preghiera Eucaristica, Prefazio D).

    Posted by attilio @ 15:27

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