• 11 Mar

    Un solo corpo, molte membra…

    Lectio di 1 Cor 12,12-28

     

    di p. Attilio Franco Fabris

     

    La nostra esistenza è un tessuto di relazioni. Pensiamo solo al pane che troviamo sulla nostra tavola tutti i giorni: quante relazioni, fatte di volti e di mani, sono occorse affinché arrivasse sino a noi. Noi viviamo di relazioni fin dal nostro stesso concepimento. Nessuno può vivere – ricorda la Scrittura – per se stesso (cfr Rm 14,7); abbiamo bisogno gli uni degli altri perché “non è bene che l’uomo sia solo” (Gn 2,18). Fatto ad immagine di Dio, che nel suo profondo mistero è relazione perfetta d’amore, l’uomo è costituzionalmente creato per la relazione e in vista della comunione.
    Ma l’uomo, lo stiamo amaramente constatando, si illude di poter far a meno della relazione con gli altri instaurando rapporti fatti di prevaricazione, potere, violenza. Il mondo è ferito da questo tessuto di relazioni spezzato, ingarbugliato, sfilacciato.
    Chiediamo allo Spirito che è relazione d’amore di suscitare in noi la sete di autentiche relazioni fatte di accoglienza e riconoscimento. Chiediamogli uno sguardo nuovo capace di vedere nell’altro non un nemico da sconfiggere ma un dono, così che insieme possiamo edificare il mondo nel progetto di quel Regno annunciato da Gesù.
    Vieni, Spirito di comunione, che costruisci la tua Chiesa come un prezioso tessuto in cui ciascuno trova la sua perfetta collocazione in vista di quel disegno misterioso e straordinario che è nel cuore di Dio. Donaci di poterci consegnare gli uni agli altri nella fiducia, nella gioia che insieme con te stiamo costruendo il Regno. Vieni, Spirito di comunione, abbattendo in noi tutte quelle barriere fatte di paura, presunzione, interessi, rivendicazioni che ci impediscono di stendere la mano al fratello, alla sorella che ci sta di fronte. Che nessuno viva per se stesso, ma che la vita divenga disponibilità ad entrare in quel mosaico a cui tu, da tutta l’eternità, pazientemente stai lavorando.

    Lectio

    Il problema che Paolo dovette affrontare nella comunità di Corinto fu quello dell’interazione dei diversi carismi. La comunità di Corinto rischiava di fare dei doni accordati ai singoli credenti occasione non di crescita per tutti, ma di competizione e opposizione, stravolgendone così completamente il significato. Ecco allora l’apostolo Paolo preoccupato per questa situazione scrivere quel capolavoro di teologia e spiritualità che è la prima lettera ai cristiani di Corinto.
    Al cap. 12 egli entra espressamente nella situazione che gli sta a cuore. Il testo della nostra lectio appartiene a questa parte della lettera.
    Paolo ricorre, per affrontare il problema dell’interazione dei carismi, ad un apologo delle membra e del corpo già sfruttato ampiamente in quasi tutte le letterature antiche. L’utilizzo che ne fa san Paolo non è tuttavia, come in quei casi di tipo morale o sociologico, ma strettamente teologico.
    E’ nel suo intento cercare di illustrare la complessità del mistero della Chiesa nella sua duplice valenza di unità e pluralità, il che apparentemente sembrerebbe creare una tensione inconciliabile: come infatti far concordare il diritto all’individualità con le esigenza della comunità? Tale tensione è risolvibile, secondo Paolo, ricorrendo al concetto dinamico della crescita e dello sviluppo di un unico corpo composto dalla diversità delle varie membra.
    Ma veniamo al nostro testo che desideriamo ripercorrere con attenzione.
    Al v. 12 l’apostolo scrive: “Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo”. Si tratta di un’equazione stringente posta tra il corpo e le sue singole membra e il Cristo e la sua Chiesa. Rimane però il problema di come intendere questo rapporto? Le spiegazioni esegetiche si collocano su due diverse interpretazioni.
    Alcuni studiosi affermano un semplice rapporto di equivalenza. È come se si dicesse: “così avviene anche in Cristo”, dove il Cristo svolge solo un’attività unificatrice nei confronti dei credenti in lui. In questo caso non ci sarebbe un riferimento personale a Cristo ma solo globale. Siamo nella linea della dottrina del “Cristo totale”. Agostino dirà a proposito: “La totalità di Cristo è composta dal capo e dal corpo: il capo e l’Unigenito Figlio di Dio e il corpo la Chiesa; lo sposo e la sposa, due in una sola carne“.
    Altri esegeti invece propendono per un’interpretazione più realistica che sembra corrispondere maggiormente al pensiero di Paolo: i credenti appartengono, si inseriscono, nel corpo stesso glorioso e personale di Cristo (cfr 6,15; 10,17). Ovvero Gesù risorto associa a sé personalmente, come sue membra tutti i credenti in lui: un corpo solo di cui Cristo è il capo: “pur essendo molti, siamo un corpo solo” (10,17).
    Tale inserimento avviene attraverso la fede e i sacramenti nei quali agisce l’unico Spirito. Ecco allora il testo riferirsi alla grazia battesimale (v.13): “Siete stati battezzati in un solo corpo” (trad. CEI “in un solo Spirito”). Si accenna anche ad una comunione che nasce in forza di un comune  “abbeveramento”: “ci siamo abbeverati a un solo Spirito”. E’ un’espressione non molto chiara: a cosa allude l’apostolo? Ancora al battesimo, alla confermazione, o all’eucarestia? Per i Padri è in riferimento all’eucarestia, tuttavia si potrebbe intenderla anche in relazione alla confermazione amministrata subito dopo il battesimo (cfr At 8,17; 19,6) . E’ ricorrente infatti l’immagine dello Spirito quale sorgente d’acqua viva alla quale attingere per dissetarsi (cfr Gv 4,13-17; 7,38-39; Ap 22,1).
    Nei vv. 14-26 si prosegue riprendendo a pieno titolo la metafora. Nessun membro del corpo perciò può rivendicare assurdamente di essere la totalità, nessuno può agire in modo indipendente. Il corpo necessita infatti della collaborazione di tutte le singole membra, nessuna è esclusa, e tale collaborazione richiede un’azione non caotica, ma coordinata. Fra le singole membra, come nel corpo umano, deve vigere una sorta di legge della solidarietà (v.20).
    Viene assunta nel testo anche una “difesa” delle membra più deboli. Ognuno dovrà, all’interno di questa visione unitaria del corpo, occuparsi dell’altro, averne cura, portarne il peso. La sofferenza di uno è la sofferenza di tutti, la gioia di uno è la gioia di tutti.

    Collactio

    Nella nostra società le relazioni sembrano ormai inflazionate: vi è una mobilità esasperata, gli SMS sono in incremento vertiginoso, e i telefonini e i computer si presentano come sempre più potenti strumenti di incontro. Gli scambi tra persone a tutti i livelli si susseguono a ritmo sempre più incalzante.
    Sembrerebbe a prima vista che l’uomo di oggi colga nella relazione la sua ragion d’essere, e che per questo non voglia mai essere solo. Ma come ogni realtà inflazionata questa ricerca di contatto così sfrenata con gli altri alla fin fine appare svuotata. Si è sì insieme, ma il più delle volte lo si è alla maniera di sperdute “monadi” di leibziana memoria.
    E’ un dato di fatto che la nostra società vive un profondo disagio nelle sue relazioni: la famiglia, ad esempio, che dovrebbe essere il luogo naturale e privilegiato delle relazioni nella nostra cultura sta vivendo una sempre più grave disgregazione. A livello sociale l’ “altro”, sia l’immigrato o il vicino di casa, viene percepito come una minaccia, un antagonista alla propria presunta libertà e sicurezza.
    E nella Chiesa come si vive il tessuto delle relazioni? Dal concetto di Chiesa “societas perfecta” si è passati, col Concilio Vaticano II, a quella di Chiesa “Popolo di Dio” passando da una visione freddamente giuridica ad una visione che certamente sottolinea la nostra comune appartenenza fatta di molteplici e complementari relazioni.
    Eppure il disagio delle relazioni investe talvolta anche le strutture ecclesiali: conferenze episcopali e curia romana, vescovi e preti, parroci e consigli pastorali, movimenti e chiesa locale, superiori/e e il resto della comunità…. Non possiamo negare l’esistenza di vari e talvolta profondi problemi di relazione. C’è sempre il rischio che qualcuno, o un gruppo, si senta esonerato dal dovere di interagire con l’altro, in certo qual modo ci si crede autosufficienti, bastanti a se stessi, se non addirittura in antagonismo agli altri.
    Nelle nostre comunità religiose avvertiamo la fatica delle relazioni, a tessere incontri e scambi veri e profondi. Spesso le nostre relazioni sono solo superficiali, tecniche, stentiamo a relazionarci al livello dell’esperienza di fede. Il fatto che l’individualismo si sia insinuato sottilmente e in modo disgregante tra le mura dei nostri conventi, incrinando minacciosamente la loro stabilità è un dato da tutti riconosciuto.
    Non insisteremo mai a sufficienza sul percepire la Chiesa e le nostre comunità, non come semplici strutture sociali e organizzative, ma come un unico e vero e proprio corpo vivente. Un corpo in cui ciascuno, per la sua parte, contribuisce corresponsabilmente alla comune crescita e benessere che va a beneficio di tutti e di ciascuno. Sentirsi tutti chiamati non solo a far parte ma ad edificare l’unico corpo comporta  cogliere la Chiesa come luogo costituito essenzialmente dalla interazione e complementarietà delle relazioni.
    Queste sono sorgente di bellezza e vita: si è sorretti, accompagnati. E’ una sorta di cordata nella quale uno è di aiuto e stimolo all’altro a proseguire nel cammino nella certezza di non essere soli. E’ accogliere la complementarietà nella consapevolezza che io non sono “il tutto”, e che ciò che sono e faccio io non lo può fare l’altro e viceversa.  Ed è per questo che tutti siamo ugualmente importanti seppur in ruoli apparentemente tanto diversi. Tra il superiore generale e l’ultimo portinaio non dovrebbe esiste differenza di importanza: entrambi nel disegno di Dio sono indispensabili!
    La relazione è fatica: essa implica infatti il riconoscere umilmente di non essere autosufficienti. È accogliere la mia dipendenza dall’altro non come una sconfitta ma come un’opportunità di una crescita maggiore per entrambi. Talvolta questo è faticoso da accettare perché comporta il riconoscere il mio limite e la mia presunzione orgogliosa di “onnipotenza”.
    Abbiamo bisogno di essere guariti nelle nostre relazioni. Di ritrovarne il vero valore e la loro assoluta necessità in ordine alla costruzione del regno di Dio. Quale la strada?
    Paolo apostolo parla di un corpo con diversa membra le quali sono invitate dalla prima all’ultima a superare la tentazione autodistruttiva di credere di poter bastare a se stesse, ritenendosi migliori delle altre.
    Dobbiamo tornare a pensarci nel mondo non in riferimento a quell’ “io” che pretenderebbe d’essere  il fantomatico “ombelico del mondo”. Pensare, da parte di ciascuno, che il nostro essere qui e ora è in vista di un comune e immenso progetto di Dio che tutti ci abbraccia e supera, e al quale tutti siamo invitati a cooperare “ciascuno per la sua parte“. Così ognuno ritrova il suo posto e il suo significato e di risvolto quello altrettanto importante e diverso dell’altro. Tutto questo va al di là di un generico e inconcludente “vogliamoci bene”, comporta invece una solida visione di fede molto più ampia e profonda alla quale il testo di Paolo apostolo ci invita. 

    Oratio

    Ti ringraziamo, Signore, per il dono d’averci fatto entrare nello straordinario disegno che è la creazione e il tuo Regno. La consapevolezza di questo nostro trovarci iscritti in esso talvolta si affievolisce in noi, e così ci ripieghiamo nei nostri piccoli mondi, nei nostri miseri progetti e disegni. Quando dimentichiamo il nostro essere fatti per qualcosa “di più grande” che a tutto dà senso le nostre relazioni spesso si ammalano, e il tessuto che ci lega gli uni agli altri si allenta, si sfilaccia e si strappa. Facci uscire dalle nostre solitudini per intessere relazioni vitali generatrici di gioia e di pace.
    Aiutaci ad alzare lo sguardo, apri i nostri occhi perché possiamo riconoscere che colui che ci sta accanto è un fratello, non un nemico, col quale in cordata incamminarci al fine di giungere insieme a quella vetta che è il tuo Regno. Impareremo a stenderci vicendevolmente la mano, segno di un’alleanza donata da te a tutti noi e nella quale siamo chiamati ad entrare, dando fiducia alla tua promessa di un’umanità nuova.
    Che le nostre comunità siano già ora luoghi di guarigione per tutte le relazioni malate che sono in noi e attorno a noi: che possiamo essere guariti dall’indifferenza e dallo sfruttamento, da ogni forma di violenza e rifiuto. Nella bellezza e nella fatica del costruire le nostre relazioni, ogni giorno scopriremo di avvicinarci sempre più al tuo volto, o Dio Trinità d’amore, così che il nostro vivere insieme, per tua grazia, si trasformerà in specchio capace di dire al mondo, seppur in modo sempre  incerto e appannato, il tuo mistero.

    Posted by attilio @ 13:07

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