• 30 Gen

     

    “Un uomo vide un giorno un bambino che teneva in mano una lampada accesa. “Dove hai preso questa luce?” gli domandò. Il bambino soffiò sulla fiamma e disse: “Dimmi dove è andata e ti dirò dove l’ho presa””.

    La volontà di Dio è come quella lampada nella nostra vita: una realtà estremamente semplice e tuttavia dinanzi alla quale possiamo domandarci: da dove viene? Dove mi porta? L’esperienza di ogni giorno di dovrebbe dimostrare che questo cammino con Dio, che è la santità, conosce dei punti fissi, dei riferimenti costanti. La santità domanderà sempre una cooperazione attiva da parte nostra con la grazia di Dio. Si tratta di una cooperazione che assume per la maggior parte il tenore di una purificazione.

    Di che cosa è fatto il terreno della nostra collaborazione se non da ciò che di più vero ed umano troviamo in noi? i nostri desideri, aspettative, la nostra capacità di amare e di essere amati.

    La preghiera è la possibilità dataci ogni giorno per collaborare con Dio. E’ attraverso essa che prepariamo il terreno affinché Egli possa compiere la sua opera.

    Ma saremmo in grave errore se dicessimo che è sufficiente pregare. Si potrebbe infatti dimenticare che il non porre ostacoli alla grazia richiede in realtà altrettanto impegno libero, una iniziativa da parte nostra.

    Occorre tener presente sempre che la nostra natura umana è stata ferita dal peccato, e che perciò in essa troviamo già degli impedimenti. La vita divina incontra, quando tenta di entrare in noi attraverso la preghiera, un’altra legge chiamata da s. Paolo la “legge del peccato” (Rm 7).

    “Dio concede la preghiera a chi, vincendo la ribellione o l’assopimento della propria natura, si impone di pregare, e attinge così il profondo impulso del proprio essere creato a immagine di Dio. Perché l’immagine è calamitata dal suo modello” (O. Clement).

    Dobbiamo allora dedurre che anche il “non porre ostacoli” è privilegio della santità.

    Per giungere a questa meta bisogna lavorare con ogni forza onde preparare le vie, creare il terreno ed offrirsi al dono di Dio. La semente è ottima, è il terreno che occorre preparare.

    L’illusione sarebbe credere che “non porre ostacoli” sia facile, poiché si tratterrebbe solo di accogliere. L’accogliere liberamente è invece opera difficile, attiva, sofferta.

     

    SPERANZA E PREGHIERA

     

    Ognuno di noi cerca la felicità, siamo fatti per essa. La cerchiamo sempre ma spesso non dentro di noi ma al di fuori.

    Questa speranza di trovare la nostra felicità è minacciata da due pericoli:

    – l’impazienza

    Sia per formazione, sia per tanti altri motivi più o meno profondi, non crediamo di poterci mettere dinanzi a Dio se non quando abbiamo l’impressione di “aver fatto o fare qualche cosa”. Ci è stato spesso ripetuto che non bisogna contentarsi di bei pensieri, e in nome di questa convinzione, noi crediamo che il “soprannaturale” ce lo possiamo fabbricare attraverso i nostri sforzi. Prendiamo l’abitudine di agire in base ai nostri progetti, scelte, aspirazioni.

    Ci ricerchiamo, vogliamo dominare, secondo schemi prettamente adolescenziali, malgrado che gli avvenimenti, le circostanze ci mostrino che la strada è un’altra.

    Rimaniamo allora sbalorditi e disorientati il giorno in cui la via di Dio non sembra più coincidere con la nostra.

    All’opposto dell’impazienza troviamo la rinuncia:

    In nome dello spirituale si rinuncia ad un esame e critica della nostra coscienza, dei nostri errori. Ci si scorda del necessario sforzo “ascetico”.

    Si rinuncia all’azione e all’impegno, con la pretesa di acquisire la vita spirituale mediante l’abdicazione delle proprie responsabilità.

    Il problema non è se utilizzare o no le realtà terrene, ma è credere che possiamo assicurarci con le nostre sole forze la felicità che queste realtà promettono.

    Non credo che questa tentazione si presenti solo in rare e specifiche situazioni, nei momenti di importanti decisioni. Ogni minimo atto di scelta ci pone nuovamente la domanda: devo decidere in base di un bene che mi supera tenendo conto di una chiamata che mi giunge dall’esterno oppure devo stabilire da me stesso le regole della felicità, facendo,mi dio a me stesso?

    Il peccato di di-sperazione è di continuamente domandare alle creature di assicurarci una promessa che non possono mantenere.

    La sottile e tremenda tentazione è di voler essere dio, di essere padroni e origine di se stessi, di non aver bisogno di nessuno, di essere.

    Questa tentazione si può infiltrare anche nella nostra preghiera.

    Dobbiamo perciò far attenzione a non usare la preghiera per i nostri scopi, siano essi apparentemente i più spirituale.

    Se così fosse ci renderemmo insensibili alla speranza, all’attesa di un qualcosa che ci verrà donato da qualcun Altro. La preghiera allora scomparirebbe.

    “Lo spirito santo, che ci insegna a celebrare la Liturgia nell’attesa del ritorno di Cristo, ci educa a pregare nella speranza. A loro volta, la preghiera della Chiesa e la preghiera personale alimentano in noi la speranza. In modo particolarissimo i salmi, con il loro linguaggio concreto e ricco, ci insegnano a fissare la nostra speranza in Dio: “Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato ha dato ascolto al mio grido” (Sal 40,2). “Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo” (Rm 15,13)” (CCC 2657).

     

    Posted by attilio @ 16:25

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