• 30 Gen

    di p. Attilio F. Fabris

     

     

    Scriveva il Surin: “Come gli animali attaccati ad un piolo, che non possono spingersi se non fino a dove la corda può tendersi e non possono far altro che girare con noia… questo è simile a colui che prepara i suoi tre punti senza osare uscirne”.

    Occorre rimanere in guardia contro l’eccesso di ogni metodo. Niente è più contrario alla fantasia dello Spirito santo che il voler sottomettere tutti ad una identica ginnastica interiore:

    “Lo Spirito santo… è il maestro interiore della preghiera cristiana. E’ l’artefice della tradizione vivente della preghiera. Indubbiamente, vi sono tanti cammini di preghiera quanti sono coloro che pregano, ma è lo stesso Spirito che agisce in tutti e con tutti” (CCC 2672).

    La nostra reticenza dinanzi ad un metodo è legittima: i diversi temperamenti, le diverse storie, i desideri di ciascuno, le aspirazioni, devono trovare il massimo rispetto nel nostro rapporto con Dio.

    Dobbiamo aver sempre presente una certezza di base: l’essenziale non è il metodo di preghiera ma è l’incontro tra me e Dio, si tratta di un dialogo fatto per nutrire un’amicizia.

    “Un metodo non è che una guida; l’importante è avanzare, con lo Spirito santo, sull’unica via della preghiera: Gesù Cristo” (CCC 2707)

     

    Tuttavia, dinanzi all dispersione della nostra vita, dinanzi alla nostra pigrizia e ai nostri alti e bassi, sperimentiamo l’insufficienza di una  reazione puramente negativa dinanzi al problema del metodo. Inoltre non è sufficiente evitare le divagazioni e sollecitazioni, la mancanza di silenzio, le illusioni, ecc… Occorre nutrire il nostro desiderio profondo di incontro con Dio, per approfondirlo e dilatarlo sempre più.

    Vero ostacolo alla nostra vita di preghiera è un amore disordinato per noi stessi, e non si rimpiazza un amore se cono con un altro amore.

    E’ perciò che saremo contenti in certi giorni di poter contare sull’aiuto di un metodo, semplice, facile, vero.

     

    In ogni metodo occorre tener presenti due qualità: anzitutto la sua flessibilità. Deve lasciare in noi lo spazio della libertà. Non sia un fine ma semplice mezzo.

    Poi che abbia la capacità di introdurci al dialogo cristiano: quello di Cristo con il Padre, e della Chiesa con Cristo.

    In questo rapporto troveremo subito delle prime difficoltà: si tratta di passare dal piano astratto a quello della vera relazione personale.

    Come in ogni amicizia vi è un periodo in cui non siamo completamente sicuri dell’altro, in seguito questo cambia. Si diventa capaci di fiducia illimitata e capaci di accettare le inevitabili divergenze. Si accetta ovvero la reciprocità.

    Così il valore di ogni metodo di preghiera si può giudicare non dalla quantità di idee astratte che può far nascere in noi, ma da questa domanda basilare: è un aiuto o un ostacolo per lo sviluppo dell’autentico dialogo di Cristo in noi?

     

    Esistono alcune regole per pregare (cfr Gasparino, Primi passi nella preghiera).

     

    1. entrare in rapporto “io-tu” con Dio.

    La preghiera è un calarmi nella realtà di Dio: Dio vivo, presente, vicino, persona. La preghiera diviene pesante, difficile quando non avviene l’incontro tra due persone. Io rimango assente, vuoto, mentre Dio è lontano, una realtà con cui non comunico.

    E’ importante nella mia preghiera che io usi poche parole, povere, ma ricche di contenuto. Possono bastare parole come: Padre, Gesù salvatore, Spirito d’amore, Gesù via verità, vita…).

     

    2. Instaurare una comunicazione affettuosa con Dio.

    La preghiera non è uno svolazzo della fantasia. La mente ed il cuore sono gli strumenti diretti per comunicare con Dio. Se fantastico, se mi ripiego sui miei problemi, se dico parole vuote, se leggo, non comunico con Lui. Comunico quando penso e amo nello Spirito santo.

    E’ importante nella preghiera che lo sguardo sia rivolto più a lui che a noi. Poche parole, molto cuore, tutta l’attenzione tesa a lui, ma nella serenità e nella calma. Non lasciare cadere il contatto con Dio col pensiero. Se succede tornare con calma e pace a Lui. Iniziare la preghiera sempre invocando lo Spirito che suggerisca in noi “i pensieri di Dio”.

     

    3. Imparare a ringraziare.

    Siamo sommersi dai doni di Dio dal mattino alla sera: ogni cosa è dono di Dio. Dobbiamo allenarci alla gratitudine. Non occorrono cose complicate: basta aprire il cuore al grazie sincero.

    E’ importante interrogarsi sovente sui doni più grandi che Dio ha fatto. La vita, l’intelligenza, la fede. Abituarci a ringraziare per tutto, anche per chi non ringrazia mai.

     

    4.Fare della preghiera un’esperienza di amore.

    Esistono tante gradualità nella preghiera, ma essa è soprattutto esperienza di amore. Se è solo un discorrere con Dio, è preghiera ma non la migliore. Finché a Dio parliamo soltanto, diamo ben poco, non siamo ancora nella preghiera profonda. Così, se ringraziamo, se imploriamo, è preghiera, ma la migliore consiste nell’amare.

    Legare spesso la preghiera a questa domanda: Signore che cosa vuoi da me? Signore, sei contento di me? In questo problema quale è la tua volontà?

    Abituarci a scendere sempre nella concretezza: lasciare la preghiera con qualche decisione ben precisa, per migliorare qualche dovere.

    Preghiamo quando amiamo, amiamo quando diciamo qualcosa di concreto a Dio, qualcosa che lui attende da noi, o che gradisce in noi. La preghiera vera comincia sempre dopo la preghiera, dalla vita.

     

    5.Far scendere la potenza di Dio nelle nostre viltà.

    Pregare è amare Dio nelle nostre situazioni concrete. E ciò significa specchiarci nelle nostre realtà quotidiane (doveri, difficoltà, debolezze) confrontandole con schiettezza con la volontà di Dio; significa poi chiedere con umiltà e fiducia la forza di Dio, per portare avanti i nostri Doveri come Dio vuole.

    E’ bene iniziare sempre la preghiera dai punti che scottano, cioè dai problemi che urgono di più. Riflettere, decidere, implorare: sono questi i tre tempi della nostra preghiera, se vogliamo sperimentare la forza di Dio nelle nostre difficoltà.

     

    6.Passare dalla preghiera di semplice presenza alla concentrazione profonda.

    Gandhi diceva: “E’ meglio una preghiera senza parole, che tante parole senza preghiera”. Se la preghiera di semplice presenza è mettersi davanti a Dio senza parole, pensieri o fantasie, essa avvia alla concentrazione che predispone alla preghiera profonda.

    Questo esercizio viene fatto dinanzi all’Eucaristia o ad un’icona, ad occhi chiusi, immersi nel pensiero della presenza di Dio che ci avvolge. Occorre curare la compostezza e la calma: E’ utile ripetere qualche semplice parola, ritmata col respiro (Preghiera del Nome).

     

    7. Mettersi in ascolto.

    Il centro della preghiera non siamo noi, ma è Dio. L’ascolto è attesa di Dio, della sua luce; l’ascolto presuppone il nostro desiderio che la nostra volontà aderisca alla sua.

    L’ascolto si può fare interpellando umilmente Dio su un problema che ci assilla, oppure cercando luce di Dio attraverso la Scrittura. E’ bene impostare la preghiera su qualche domanda che inchiodi ogni evasione: Signore cosa vuoi da me? Cosa mi dice attraverso questa pagina del Vangelo?

    La preghiera che va diritto alla ricerca della volontà di Dio, dà nerbo alla vita cristiana, abitua alla concretezza.

     

    8. Pregare con il corpo.

    E’ importante cominciare la preghiera dal corpo, chiedendogli una posizione che aiuti la concentrazione. La posizione non è la preghiera, ma aiuta o ostacola la preghiera.

     

    9. Valorizzare il luogo, il tempo, il fisico.

    E’ utile crearsi un angolo di preghiera nella propria casa, o camera. Abituarsi ad un’ora fissa : l’abitudine crea la necessità, e crea il richiamo alla preghiera.

     

     

    Posted by attilio @ 12:37

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