• 29 Gen

    di p. Attilio F. Fabris

     

     

    Si aspetta e si ama solo ciò che si conosce: e più si conosce più si ama.

    Se siamo assenti a noi stessi nella preghiera non è forse perché siamo estranei alle cose di Dio? La nostra preghiera è forse troppo scarna e povera perché carente di nutrimento.

    A noi il non confondere spontaneità con trascuratezza.

    Pretendere di amare una persona non conoscendola è una pretesa assurda: si rischia di restare ad una affettività povera, limitata. Per amare una persona devo giungere ad un’autentica conoscenza.

    E’ doveroso per il credente che vuole crescere nella propria fede e nel proprio cammino di fede attingere a quegli strumenti che ci aiutano a preparare la nostra intelligenza.

    Sempre dobbiamo operare un confronto tra i nostri desideri ed aspirazioni con la Parola di Dio, la sana dottrina: Esse infatti ci espongono ampiamente i desideri e le aspirazioni di Cristo e della Chiesa.

    Inoltre occorre spesso far fronte concretamente all’inerzia, all’accidia e ai vuoti interiori, combattendoli con grande umiltà: si tratta dell’umiltà delle scelte precise e concrete.

    Questo non contraddice ciò che si è detto circa il pericolo del cerebrale: si tratta invece di scoprire un equilibrio tra la pigrizia e l’ingordigia spirituale-intellettuale: lettura e meditazione non hanno valore se non nella misura in cui ci spingono ad intrattenerci con Dio.

    “Questa forma di (la meditazione) riflessione orante ha un grande valore, ma la preghiera cristiana deve tendere più lontano: alla conoscenza d’amore del Signore Gesù, all’unione con lui” (CCC 2708).

    Bisogna tacere, nell’incontro con Dio, piuttosto che continuare una meditazione di pure idee; ma, contro le mie distrazioni, dovrò essere in grado di ricorrere a quel testo o a quell’idea che mi permetteranno di ritrovare il mio luogo di incontro con Dio:

    “Se ti viene una riflessione utile, prenda per te il posto della salmodia. Non rifiutare il dono di Dio per mantenere la tradizione. Una preghiera in cui non entrino l’intuizione di Dio e la visione dell’intelletto, è soltanto una fatica della carne. Non compiacerti della quantità dei salmi: questa getta un velo sul tuo cuore. Vale di più una sola parola nell’intimità che mille parole nella lontananza” (Evagrio P., Parenetica).

     Venendo ora a trattare del doveroso disinteresse nella preghiera, dobbiamo purtroppo partire da una constatazione. La nostra cultura non ci facilita in questo: essa giudica tutto in base al rendimento, all’interesse che se ne ricava. Tutto, anche certe forme di preghiera e meditazione, viene ridotto ad utensile.

    “Dobbiamo anche affrontare alcune mentalità di questo mondo che, se non siamo vigilanti, ci contaminano, per esempio: l’affermazione secondo cui vero sarebbe ciò che è verificato dalla ragione e dalla scienza (pregare invece è un mistero che oltrepassa la nostra coscienza e il nostro inconscio); i valori della produzione e del rendimento (la preghiera improduttiva è dunque inutile); il sensualismo, il comfort, eretti a criteri del vero e del bene (la preghiera invece “amore della bellezza” è passione per la gloria di Dio vivo e vero); per reazione contro l’attivismo, ecco la preghiera presentata come fuga dal mondo (La preghiera cristiana, invece, non è un estranearsi dalla storia né un divorzio dalla vita” (CCC 2727).

    La gratuità, l’amore verso la Bellezza puro dono, tutto ciò contraddistingue un amore autentico da uno invece interessato in cui la persona ricerca solo se stessa. L’animale cessa di desiderare quando ottiene, per l’uomo non è così: l’amore adulto non ama più solo e in base a ciò che ottiene in soddisfacimento di un bisogno, ma diviene trascendente, dono di sé:

    “La preghiera… tutto attinge all’Amore con cui siamo amati in Cristo e che concede di rispondervi amando come lui ci ha amati. L’Amore è la sorgente della preghiera; che vi attinge, tocca il culmine della preghiera:

    “Vi amo o mio Dio, e il mio unico desiderio è di amarvi fino all’ultimo respiro. Vi amo o mio Dio infinitamente amabile, e preferisco morire amandovi che vivere senza amarvi. Vi amo, Signore, e la sola grazia che vi chiedo è di amarvi eternamente. Mio Dio, se la mia lingua non può ripetere ad ogni istante che vi amo, voglio che il mio cuore ve lo ripeta tutte le volte che io respiro”(G.M.Vianney)” (CCC 2658).

    L’uomo dinanzi a Dio non è più solo un mendicante, ma quasi fosse alla pari, egli può farsi “Signore” di un dono di gratuità. Allora non è perché abbiamo anzitutto bisogno di Dio che noi lo adoriamo, ma perché egli Dio, il solo degno di essere adorato e servito:

    “La lode è la forma di preghiera che più immediatamente riconosce che Dio è Dio. Lo canta per se stesso, gli rende gloria perché egli E’, a prescindere da ciò che fa. E’ una partecipazione alla beatitudine dei cuori puri, che amano Dio nella fede prima di vederlo nella gloria…” (CCC 2639).

    Se la nostra adorazione nascesse dalla paura e dal desiderio, sarebbe sempre inficiata da un amore non puro, da un interesse che accentrerebbe l’attenzione “non al Dio delle consolazioni, ma alle consolazioni di Dio” (s. Francesco di S.).

    La nostra adorazione unita a quella di tutti gli esseri creati è chiamata ad essere un riconoscimento che Dio è Dio:

    “Tu solo sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la lode, l’onore e la potenza” (AP 4,11).

    Questo invito dovrebbe eliminare dalla nostra preghiera ogni atteggiamento di calcolo: il povero non fa calcoli. Si affida.

    Non troppo raramente capita invece che “usiamo” della preghiera. Allora trasformiamo Dio in un tappabuchi a nostro servizio quando ne abbiamo bisogno.

    Nel Vangelo al contrario incontriamo Gesù che è ammirato dalla preghiera disinteressata: Maria di Magdala e il suo prezioso vaso di profumo (Mc 14,3-6).

    Quando ci accingiamo a pregare ricordiamo che la preghiera non è un mezzo tra tanti altri, ma che ad essa dobbiamo abbandonarci, perdervisi.

    Essa deve sviluppare in noi il senso della gratuità, del dono, che è la migliore prova  del nostro amore disinteressato.

    Risulta quindi essenziale nel nostro incontro con Dio la tensione ad oltrepassare il nostro bisogno, non certo per negarlo, ma per purificarlo, per cercare un riposo disinteressato in Dio amato “sopra ogni cosa”:

    “Noi dobbiamo insistere soprattutto nella preghiera, che è come il corifeo delle virtù, in quanto è tramite essa che chiediamo le rimanenti virtù a Dio. Chi insiste nella preghiera si unisce a lui in una stretta comunione grazie ad una mistica santità, a un’energia spirituale e ad una disposizione d’animo ineffabile. Costui, ricevuto da dio lo Spirito come guida e alleato, brucia d’amore per il Signore, ribolle di desiderio e non si sazia mai di pregare” (Gregorio Niss., Fine cristiano).

     

     

    Posted by attilio @ 17:23

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