• 28 Gen

     

    di p. Attilio F. Fabris 

     

     

    “Il Nome che comprende tutto è quello che il Figlio di Dio riceve nell’Incarnazione: Gesù. Il Nome divino è indicibile dalle labbra umane, ma il Verbo di Dio, assumendo la nostra umanità, ce lo consegna e noi possiamo invocarlo: Gesù, YHWH salva. Il Nome di Gesù contiene tutto: Dio e l’uomo e l’intera economia della creazione e della salvezza. Pregare Gesù è invocarlo, chiamarlo in noi. Il suo Nome è il solo che contiene la presenza che esso significa. Gesù è risorto, e chiunque invoca il suo Nome accoglie il Figlio di Dio che lo amato e ha dato se stesso per lui” (CCC 2666).

    Gesù ha promesso indistintamente l’efficacia della preghiera a condizione che essa sia fatta nel suo Nome:

    “Qualunque cosa chiederete nel mio nome la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio” (Gv 14,13).

    “In verità in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete ed otterrete, perché la vostra gioia sia piena” (1Gv 16,23-24).

    Anche l’autore della Lettera agli Ebrei ci presenta Gesù come “nostro sommo sacerdote” (Ebr 7,24-25): colui che intercede per noi presso il Padre.

    Egli ripete davanti al Padre le nostre parole, trasformandole e facendole sue. Perciò la nostra preghiera nel suo Nome è efficace: perché è divenuta quella di Cristo:

    “Chi prega partecipa alla preghiera del Verbo di Dio, che sta in mezzo anche a quelli che lo ignorano, e non è assente dalla preghiera di nessuno. Egli prega il Padre in unione col fedele di cui è mediatore. Infatti il Figlio di Dio è il gran sacerdote delle nostre offerte, e nostro avvocato presso il Padre. Prega per quelli che pregano e implora per quelli che implorano” (Origene).

     

    La nostra preghiera non è più quella dell’A.T. Essa è ormai la preghiera di Cristo:

    “Finora non avete chiesto nulla nel mio nome: chiedete ed otterrete” (Gv 16,24).

    Una preghiera perciò che si estende universalmente a tutte le necessità del regno.

     

    Sant’Agostino scrive:

    “Nostro Signore è colui per il quale, nel quale, rendiamo gloria a Dio, ed è anche colui che preghiamo”.

    E ancora:

    “Prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio. Riconosciamo dunque in lui la nostra voce e in noi la sua voce” (Agostino, En. in Ps. 85).

     

    Il Cristo è colui per il quale noi preghiamo il Padre. In effetti da noi stessi non possiamo celebrare il Padre in verità: non lo conosciamo.

    “nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27).

    L’adorazione più vera al Padre è quella del Figlio. E’ il prototipo del modo in cui una creatura deve rapportarsi nei riguardi di Dio:

    “attraverso Cristo sale il nostro Amen per la gloria di Dio” (2Cor 1,20).

     

    Il Cristo è colui nel quale noi rendiamo gloria e onore al Padre. Compito della Chiesa è di riprendere continuamente la preghiera del Cristo davanti al Padre, facendo sua l’obbedienza di lui al Padre, la sua passione per il Regno. Noi compiamo l’opera di Cristo. Riviviamo i suoi misteri (cfr la liturgia):

    “abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo” (Fil 2,5).

     

    Riconosciamo in noi il dono pasquale di Cristo: lo Spirito che abita i nostri cuori. Per questo siamo creature abitate da Cristo e non siamo mai soli davanti a Dio: si è sempre in due:

    “Gesù prega anche per noi, al nostro posto e in nostro favore. Tutte le nostre domande sono state raccolte una volta per sempre nel suo grido sulla croce ed esaudite dal Padre nella sua Resurrezione, ed è per questo che egli non cessa di intercedere per noi presso il Padre. Se la nostra preghiera è risolutamente unita a quella di Gesù, nella confidenza e nell’audacia filiale, noi otteniamo tutto ciò che chiediamo nel suo nome; ben più di questa o quella cosa: lo stesso spirito santo che comprende tutti i doni” (CCC 2741).

     

    Non siamo soli a pregare i Salmi o la Scrittura o ad adorare il Padre: è Cristo sommo sacerdote che in noi prega i salmi, legge la scrittura, adora il Padre:

    “Che il Cristo parli allora, nel Cristo la Chiesa parla, e nella Chiesa il Cristo parla. Il capo parla nel corpo e il corpo nel capo” (sant’Agostino).

     

    Il Cristo è colui che noi preghiamo e celebriamo. La preghiera cristiana soprattutto quella liturgica non è che una lunga meditazione del mistero di Cristo nei suoi vari aspetti, che ci ha rivelato la grazia e la misericordia di Dio. La chiesa “fa’ memoria”. La liturgia celebra Cristo come sposo della Chiesa.

    L’apocalisse pone la contemplazione e l’adorazione dell’Agnello ritto ed immolato, centro dell’universo: é lui solo che possiede le chiavi della storia:

    “Quando ebbe preso il libro i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardo si prostrarono davanti all’agnello, avendo ciascuno un’arpa e coppe colme del profumo che sono le preghiere dei santi” (Ap 5,8).

     

    Sovente la scrittura muove l’invito a “fare memoria” (es. Es 32,11-14; Sal 105,106; Dt 9,18-26; Is 63,7-9). Il ricordo, il memoriale, di tutto ciò che Dio ha compiuto, diviene forse il motivo principale della preghiera e la ragione della nostra speranza. E’ questa la struttura della fede biblica.

    E’ questo il dinamismo centrale della grande preghiera eucaristica che fa memoria del mistero pasquale, perno della nostra fede:  “Celebrando il memoriale…”.

     Attraverso la preghiera fatta nel nome di Gesù si attua una trasformazione dei nostri sentimenti, dei desideri, delle sofferenze, nei sentimenti, nei desideri, nelle sofferenze di Cristo. Una trasformazione simile a quella che avviene nell’eucaristia per il pane e il vino che si transustanziano nel corpo e sangue di Cristo:

    “E’ entrando nel santo Nome del signore Gesù che noi possiamo accogliere, dall’interno la preghiera che egli ci insegna” (CCC 2750)

     

    Se abbiamo compreso che come cristiani la nostra preghiera non può che essere fatta nel nome di Gesù, allora comprendiamo come non abbia senso contrapporre preghiera pubblica e privata.

    Fuggiamo i rischi sia dell’individualismo come del collettivismo. Preghiera pubblica e privata non possono essere contrapposte: è sempre e comunque preghiera di Cristo.

    Comprendiamo pure come la preghiera liturgica esiga una relazione personale di ciascun membro con Cristo. E’ questo è sempre dono dello Spirito in noi: egli solo può formare in noi tale relazione. Saremo pienamente cristiani quando ci accorgeremo che non potremo parlare a Dio se non con e per Cristo, sapendo che il solo sguardo a cui Dio non resiste è quello del Figlio:

    “Per Cristo, con Cristo e in Cristo:

    a te Dio Padre onnipotente

    nell’unità dello Spirito santo

    ogni onore e gloria

    per tutti i secoli dei secoli. Amen”

     

    Tutto quanto è stato detto ci impone un punto di riflessione importante: la nostra preghiera in che misura si spinge a conformarsi ai desideri di Cristo? In che misura ci preoccupiamo a comprendere il pensiero di Cristo su ciascuno di noi, su ciò che facciamo, diciamo, pensiamo?

    Forse potremmo accorgerci che finora la nostra preghiera non è stata che una carellata di pensieri che nulla avevano a che fare con l’autentica preghiera. Forse ci si rivela come una sorta di sterile monologo. Una ricerca di idee “su…”.

    Per la meditazione : cfr Ebr. 5.

     

    Posted by attilio @ 20:31

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