• 27 Feb

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    Il difficile cammino della fede

     

     La fede è un affidarsi, un appoggiarsi saldamente alla Roccia-Dio (Batah) in modo incondizionato. Ma questo atteggiamento, lo sperimentiamo continuamente, non è né facile, né scontato.
    La fede è dono che diviene appello per l’uomo verso l’autotrascendenza, verso l’incontro con il mistero di Dio. Mistero che ci è stato rivelato in Cristo Gesù.
    Questo cammino di autotrascendenza è difficile, faticoso.  Esso esige pazienza, perseveranza, fiducia.
    Nel nostro contesto culturale che privilegia l’immediato, l’istante presente, l’atteggiamento della fede appare ancor più ostico e arduo.
    La Parola di Dio illumina questo aspetto della nostra esperienza di fede.

    La peregrinazione nel deserto

     La fede è peregrinazione (di Maria nella LG si dice che “peregrinò nella fede”), peregrinazione soggetta a tante prove e tentazioni:
    2 Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi. 3 Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. 4 Il tuo vestito non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni. 5 Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore tuo Dio corregge te. (Dt 8,2-4)

    Israele nel deserto è il prototipo del nostro difficile cammino nella fede.
    E’ significativo di come subito dopo l’esperienza entusiasmante del passaggio del Mar Rosso in cui aveva toccato con mano la presenza liberatrice di JHWH, inizia a crescere in mezzo al popolo eletto la zizzania, i rovi che è l’incertezza, la sfiducia, il pessimismo. Nasce così la ribellione.
    “22 Mosè fece levare l’accampamento di Israele dal Mare Rosso ed essi avanzarono verso il deserto di Sur. Camminarono tre giorni nel deserto e non trovarono acqua. 23 Arrivarono a Mara, ma non potevano bere le acque di Mara, perché erano amare. Per questo erano state chiamate Mara. 24 Allora il popolo mormorò contro Mosè: «Che berremo?». 25 Egli invocò il Signore, il quale gli indicò un legno. Lo gettò nell’acqua e l’acqua divenne dolce. In quel luogo il Signore impose al popolo una legge e un diritto; in quel luogo lo mise alla prova. 26 Disse: «Se tu ascolterai la voce del Signore tuo Dio e farai ciò che è retto ai suoi occhi, se tu presterai orecchio ai suoi ordini e osserverai tutte le sue leggi, io non t’infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitte agli Egiziani, perché io sono il Signore, colui che ti guarisce!». 27 Poi arrivarono a Elim, dove sono dodici sorgenti di acqua e settanta palme. Qui si accamparono presso l’acqua.” (Es 15,22-27).
    “2 Mancava l’acqua per la comunità: ci fu un assembramento contro Mosè e contro Aronne. 3 Il popolo ebbe una lite con Mosè, dicendo: «Magari fossimo morti quando morirono i nostri fratelli davanti al Signore! 4 Perché avete condotto la comunità del Signore in questo deserto per far morire noi e il nostro bestiame? 5 E perché ci avete fatti uscire dall’Egitto per condurci in questo luogo inospitale? Non è un luogo dove si possa seminare, non ci sono fichi, non vigne, non melograni e non c’è acqua da bere».” (Nm 20,2-5)
    “2 Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. 3 Gli Israeliti dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore nel paese d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatti uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine».” (Es 16,2). 

    Israele diviene il popolo che pur eletto sperimenta la ritrosia a camminare, a crescere, a porre fiducia in Dio. Risulta più comodo rimpiangere la sicurezza delle cipolle e delle pentole lasciate in Egitto. Alla libertà si vorrebbe preferire la falsa sicurezza che non scomoda.
    Si arriva a dubitare della presenza e dell’esistenza di Dio: “Il Signore è in mezzo a noi sì o no?” (Es 17,7).
    E allora ritorna incessante il monito dell’esodo: “Quante volte si ribellarono a JHWH nel deserto” (Sl 78,40).

    Il nostro cammino nel deserto (cdr Cencini, Amerai…, p. 81ss)

     La storia dell’esodo, i quarant’anni trascorsi da Israele nel deserto del Sinai diventano esemplari per la vita di ciascuno di noi. Ogni anima deve passare per il deserto, camminarvi per lungo tempo, vivere momenti di esitazione e di incertezza.
    E’ il tempo della purificazione.
    Possiamo qui scoprire una prima grande legge della vita spirituale: non esiste vera conoscenza di Dio che non nasca nella solitudine del cammino nel deserto e non maturi tra le difficoltà della prova. “Preparati alla tentazione” (Sir 2,1).
    Scriveva Charles de Foucauld mentre si trovava nei silenzi profondi e misteriosi del Sahara:
    “Bisogna passare attraverso il deserto e dimorarvici per ricevere la grazia di Dio: è là che ci si svuota, che si scaccia da noi tutto ciò che non è Dio e che si svuota completamente questa piccola casa della nostra anima per lasciare il posto a Dio solo… Il deserto è indispensabile. E’ un tempo di grazia. E’ un periodo attraverso il quale ogni anima che vuol portare frutti deve necessariamente passare”.
    Ad un certo punto a tutti Dio domanda di camminare nel nostro deserto, nella nostra solitudine. Di andare oltre alle nostre pretese di capire tutto, di avere noi il controllo della nostra situazione, di pretendere di avere un appoggio sicuro dove mettiamo il nostro piede senza dubbi e senza rischi. Perché troppo spesso, sì siamo disposti alla rinuncia e al sacrificio, però sempre in modo ragionevole, e purché Dio si faccia capire e si lasci trovare.
    Come fu l’esperienza di Paolo sulla via di Damasco così anche a noi può capitare ad un certo  punto del cammino della nostra vita di trovarci a terra e di perdere la vista.
    La nostra sofferenza di consacrati in modo particolare è causata dal silenzio e dall’assenza di Dio. Tutto quello che si è vissuto prima appare vuoto, i valori su cui si era costruita la vita si rivelano pseudovalori.
    Dinanzi a noi c’è il buio: forse si intuisce una possibile strada ma appare lontana e difficile.
    Quanto l’uomo ha paura di sentirsi del tutto povero e nudo dinanzi a se stesso e a Dio!
    Di fronte a questa situazione di estrema incertezza e sofferenza, forte è la tentazione di tornare indietro, di riabbarbicarsi dietro ad antiche certezze che stanno barcollando, a convincersi che non è il caso di proseguire… Purtroppo l’esperienza di Israele è spesso la nostra stessa esperienza. Quante volte rifiutiamo di camminare di crescere e ci rifugiamo in mille espedienti (l’osservanza legalista, nel sogno, nella violenza…). e allora ci si blocca, non si va più avanti. Ma questo significa morire dentro! Nel deserto se non si cammina si muore.
    La cosa non è strana: è difficile per l’uomo vivere proteso verso una realtà che non possiede ancora, specie se questa realtà è solo promessa ed appare lontana, chiede ogni giorno la fatica del discernimento ed espone al rischio della libertà.
    Ma la conversione inizia proprio quando si accetta che Dio sia diverso dai nostri schemi, essa diventa effettiva quando lasciamo che questo Dio sconosciuto ci conduca dove lui solo sa e vuole. (Occorrerà l’umiltà di lasciarsi guidare: ci saranno nuovi Mosè e nuovi Anania per ciascuno di noi…). 

    “Dio ci mette alla prova, come ha già fatto con i nostri padri” (Gdt 8,25)

     Non è l’uomo che fa esperienza di Dio! E’ Dio che sperimenta l’uomo, lo cerca, lo scruta, lo mette alla prova. Nella prospettiva biblica il protagonista non è l’uomo ma Dio. Chi attraversa il deserto fa questa  esperienza: è Dio a venirgli incontro.
    Ma per arrivare a ciò l’uomo ha dovuto fare un’esperienza dolorosa: perdere progressivamente il controllo della situazione, di vedere più chiaro… questo  lo costringe a lasciare a Dio l’iniziativa, ad abbandonarsi a Lui.
    “Ricordatevi quanto ha fatto con Abramo, quali prove ha fatto passare a Isacco e quanto è avvenuto a Giacobbe” (Gdt 8,26).
    Quando è invece l’uomo che mette Dio alla prova pretendendo conferma ai suoi progetti o garanzie previe o dimostrazioni della sua presenza e fedeltà, allora la parola di Dio assume toni di volta in volta violenti e severi: “Non indurite il vostro cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri” (Sl 95,8); “Chi siete voi dunque che avete tentato Dio e vi siete posti al di sopra di lui, mentre non siete che uomini? Certo, voi volete mettere alla prova il Signore onnipotente, ma non ci capirete niente, né ora né mai… Non pretendete di impegnare i piani del Signore Dio nostro, perché Dio non è come un uomo che gli si possan fare minacce e pressioni…anzi … ringraziamo il Signore Dio nostro che ci mette alla prova, come ha già fatto con i nostri padri” (Gdt 8,12.16.25).
    Abbiamo bisogno di essere purificati perché Dio diventi realmente Dio, ed è per questo che il Padre ci mette alla prova. Crea cioè condizioni di deserto, di solitudine affettiva, di rifiuto, di lotta e tribolazione, di fallimento e delusione… che fanno sì che siamo liberati dai nostri idoli.
    E’ nella prova infatti che viene a galla chi veramente siamo e che cosa abbiamo realmente nel cuore, che cosa c’è di autentico e che cosa no. Si rivela il nostro vero volto. Il deserto ci restituisce la nostra vera immagine: “Ecco l’attirerò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2,16).
    “Dio disse ad Abramo: Prendi il tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, e offrilo in sacrificio sul monte che ti indicherò” (Gn 22,1).
    Dio non chiede solo qualcosa , sacrifici parziali di ciò che è superfluo.
    Ad un certo punto (fosse il momento della morte) chiede all’uomo ciò che ha di più caro: Dio appare contraddittorio, inspiegabile.
    Saprò sacrificare un amore grande solo per un amore ancora più grande. Io non lo sento ancora questo amore, mi sembra impossibile: Ma se Dio mi chiede questo sacrificio vuol dire che Dio può essere amato ancor più del “mio figlio unico”! Dio ci mette alla prova.
    Dio ci domanda di amare ancor più di quanto abbiamo mai amato. E’ il suo modo di agire: ci chiede l’olocausto d’un amore importante, ma poi ci ridona molto di più di quanto ci ha chiesto.
    E’ tuttavia importante dire che è stato necessario anche il cammino precedente, con tutto l’amore che l’ha caratterizzato. Come chiedere, del resto, il sacrificio del cuore a chi non avesse mai amato?
    “Non turbiamoci quando ci capita di essere immersi nelle tenebre, soprattutto se non ne siamo noi la causa. Considera che codeste tenebre che ti ricoprono ti sono state date dalla divina Provvidenza, per ragioni che Dio solo conosce. Qualche volta infatti la nostra anima annega, è inghiottita dalle onde. Sia che ci si dedichi alla lettura della scrittura o alla preghiera, qualunque cosa si faccia, si è rinserrati sempre più nelle tenebre… Quest’ora è piena di disperazione e di paura. La speranza in Dio, la consolazione della fede hanno completamente abbandonato l’anima. Questa è tutta piena di titubanza e di angoscia. Ma quelli che sono stati provati dal turbamento di una simile ora sanno che ad essa segue infine un cambiamento… infatti dicono i Padri, grandi saranno la stabilità e la forza cui  l’anima perverrà dopo di ciò. Tuttavia una tale lotta non terminerà in un’ora, né immediatamente. Né la grazia viene e rimane nell’anima una volta per sempre e totalmente, ma a poco a poco. Dopo la grazia, torna la prova. C’è un tempo per la prova. E c’è un tempo per la consolazione”. (Isacco di Ninive, Discorsi ascetici, 57).

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