• 30 Set

    Obbedienza e vita nello Spirito

     di p. Attilio Franco Fabris

    Non è facile parlare di obbedienza oggi nella cultura che esalta il valore della coscienza, della libertà e dell’autonomia della persona. Perché obbedire a dei superiori se tutti sono persone adulte e se in definitiva l’obbedienza di deve solo a Dio e dunque si tratta di una fatto di coscienza? Partiamo da un dato di fatto che è che in ogni caso l’uomo obbedisce sempre a qualcosa o a qualcuno. Il problema è vedere “ a chi” si obbedisce!

    Di quale obbedienza parliamo? Il più delle volte ci si è fermati agli aspetti pratici e organizzativi tralasciando o dando troppo per scontata la dimensione  più profonda che è quella teologale.

    Molte obbedienza e unica obbedienza

    Quando parliamo di obbedienza il pensiero va subito a porsi in riferimento all’autorità. Effettivamente nella vita ci sono molte autorità e molte obbedienza. Il problema sta in questo: non c’è nell’ambito di queste “molte obbedienze” una categoria in grado di fare unità, inglobando in sé tutta la vita e ogni scelta? C’è un’obbedienza che ci possa raccogliere dalla dispersione?

    Per il cristiano questo fattore di unità sta nell’obbedienza all’evangelo in ogni sua scelta. Quindi il fattore di unità va ricercato nell’obbedienza al Signore e alla sua Parola. Se sussiste questa tensione tutte le altre obbedienze si possono qualificare come obbedienze cristiane. È importante perché siamo portati a chiudere il discorso sull’obbedienza al livello basso, quello delle molte obbedienze, dimenticando o mettendo in ombra la prospettiva decisiva, quella appunto dell’obbedienza a dio e al vangelo.

    Dunque la prima cosa da fare è mettere ordine operando due cose: distinguere chiaramente le molte obbedienze dall’unica obbedienza e mettere in chiaro il rapporto che c’è – se c’è – tra le molte obbedienze e l’unica obbedienza.

    Due livelli

    Vi è un livello teologico che contiene in sé valori permanenti e transculturali.

    Vi è un livello pratico che guarda alle modalità con cui vivere l’obbedienza non ponendosi più sul piano del fine ma dei mezzi.

    Il modello fondamentale: CRISTO

    Il punto di partenza è che il vangelo ci ha “liberati dalla legge”. Siamo stati trasferiti alle fonti stesse dell’obbedienza: l’adesione immediata a Dio e al suo amore nello Spirito santo. Non dunque la legge e le autorità terrene in prima istanza, ma dio e il suo amore (la nuova allenza).

    Per comprendere questo discorso è essenziale rifarsi a Cristo stesso: egli vive una somma libertà, nessuno ha potere su di lui. Nessuno come lui dimostra la capacità di andare sino in fondo nella realizzazione del senso della propria esistenza, nonostante il prezzo che deve pagare. Ebbene, un Gesù così sovranamente libero non ha nulla dell’autosufficienza di colui che crede di dover affermare in questo modo se stesso e la sua libertà. Egli vive tutto riferito al Padre. Questa sua obbedienza non esprime solo e anzitutto un orientamento morale ma dice la stessa ragion d’essere di Cristo: egli è Figlio solo in relazione al Padre (Gv 5,17). La sua obbedienza non è in alcun modo semplice obbedienza alla legge, alla tradizione, all’autorità. È obbedienza immediata e diretta al Padre e dunque sovranamente libera e totale. Essendo Figlio trova se stesso solo consegnandosi al Padre.

    Questo anche e soprattutto nella passione. Il padre non vuole la morte di Cristo contro la sua volontà. Egli sacrifica se stesso il Figlio in quanto gli ispira la volontà di soffrire per noi. Gli ispira questa volontà non dall’esterno ma operando nell’intimo del suo essere, della sua libertà, comunicandogli l’amore: si è offerto perché l’ha voluto. (san Tommaso). In altre parole: il Padre comanda al Figlio in quanto gli infonde l’amore e la volontà di fare liberamente ciò che fa; e il Figlio obbedisce in quanto accoglie docilmente e liberamente questo amore che il Padre opera in lui. Solo così diviene quel sacrificio definitivo della nuova alleanza (ebr 10,5.10). Esso esprime finalmente il vero e totale ritorno della creatura al suo Creatore, la totale offerta di sé a Dio, un’offerta a cui nulla è sottratto: li amò sino alla fine.

    L’obbedienza di Cristo è fedeltà al Padre in ordine al compito che gli è stato affidato: la nostra salvezza. In altre parole: l’obbedienza di Gesù non è una disponibilità senza contenuti. Gesù non è semplicemente preoccupato di riconoscere l’ “autorità” del Padre. La sua obbedienza ha un contenuto preciso ed è accogliendolo e realizzandolo con tutto se stesso che egli riconosce il Padre e ne rivela il vero volto.

    L’obbedienza del discepolo

    Gesù è il modello della nostra obbedienza. ’è un parallelo tra il rapporto di gesù con il discepolo e il rapporto di gesù con il Padre (cfr Gv 15,9). Notiamo la forza del “come”: non siamo chiamati ad un’obbedienza qualsiasi, alla maniera umana. Siamo chiamati ad un’obbedienza che deve avere le stesse caratteristiche di quella di Gesù.

    L’obbedienza cristiana è questa: adesione all’evangelo di Gesù per la realizzazione dell’opera che Dio ci ha assegnato. Allora ciò che sta a monte di ogni discorso sull’obbedienza è il mistero del nostro rapporto con Dio, con il significato che questo assume in se stesso e verso gli altri, la propria vocazione e missione.

    Obbedienza a Dio

    La nostra obbedienza si colloca dunque in primo ed esclusivo luogo come obbedienza a Dio. Per il dono dello spirito ciascuno di noi ha libero e immediato accesso a lui.

    Però all’interno di questa fondamentale ed esclusiva obbedienza entrano in gioco le “molte obbedienze”. Esse sono nell’ordine dei mezzi: il suo assenso non deve terminare mai in riferimento ad esse, ma solo a Dio a cui, nel segreto della nostra coscienza, va la risposta  anche quando passa attraverso le mediazioni umane.

    Un altro rischio in cui si cade è parlare di obbedienza anzitutto e solo in termini di morale: la nostra fede non si risolve in primo luogo come annuncio di una morale benché alta e perfetta. Essa parla prima di tutto della paternità di Dio, del suo essere personale che entra nella storia cercando l’incontro con la sua creatura.

    Ecco allora il punto: nelle sue scelte il cristiano ha davanti a sé una duplice prospettiva di risposta: da una parte ciò che si pone come suo dovere e che gli è chiesto e dall’altra il Signore che si offre all’incontro e alla comunione. C’è un collegamento tra queste due realtà ma non solo la stessa cosa, e non è scontato che l’una – la fedeltà alle molte obbedienze – includa anche l’altra. Potrebbe anche darsi il caso che se vi è una perfetta obbedienza alle molte obbedienze, lo si faccia per sfuggire alla obbedienza ultima ed essenziale.. Il tutto allora dipende dal “come” si obbedisce, del  “come ci si serve” delle mediazioni umane e delle molte obbedienze. Deve avvenire un superamento altrimenti non vi è vera obbedienza! L’obbedienza senza la fede è solo comportamento sociale nulla di più.

    Il lessico biblico addirittura distingue le due obbedienze: l’obbedienza a Dio è hypakoè mentre L’obbedienza agli uomini è hypotagè.

    Riferimento ai superiori e a Dio si pongono si due piani diversi. L’una è nell’ordine delle mediazioni, l’altro è assoluto, l’unico della vita.

    Non sacralizzazione, ma fede

    “chi obbedisce ai superiori obbedisce a Dio”: bella espressione ma ambigua. Non c’è un passaggio automatico, magico tra le due obbedienze. Tutto dipende dal “come” si obbdssce al superiore: lo si può fare per interesse, compiacenza, tornaconto, dipendenza… si può obbedire sempre e mai praticare l’autentica obbedienza! Non è infatti così scontato che nelle nostre scelte ci si consegni veramente al Signore: spesso ci fermiamo prima!

    Essere persone mature nella fede è condizione perché si sia persone mature nell’obbedienza. La fede infatti demitizza ogni autorità umana (Mt 23,8-12….), in quanto la vede alla luce dell’unica e sovrana autorità di Dio.

    Obbedienza adulta e responsabile

    L’obbedeinza cristiana per essere vera deve essere adulta e responsabile. Se la mia obbedienza fosse agli uomini una volta fatto quel che mi è chiesto io sarei a posto. Non ci sarebbero problemi, se non di essere a posto con la regola e i superiori. Ma poiché è a Dio che devo le mie risposte, allora bisogna ricordare due cose:

    –         oltre a ciò che è stabilito rimane l’immenso campo della continua docilità allo Spirito

    –         non posso delegare a nessuno la responsabilità di me stesso, delle mie scelte che in coscienza devo compiere dinanzi al Signore.

    Obbedienza libera

    La vera obbedienza del cristiano non può non essere libera.. Dio non impone nulla a nessuno. In questo senso la vera obbedienza mi rimanda sempre al superamento di ogni forma di dipendenza. Sottomissione al mio dovere sì, ma non  dipendenza in senso psicologico.

    Allora quando si può dire che simao nella direzione giusta?

    –         Prendere coscienza a che cosa faccianmo veramente riferimento nella nostra vita (la legge, l’ordinamento, l’immagine, le aspettative, l’approvazione….)

    –         In quale misura invece “mi servo” delle mediazioni al fine di attuare l’obbedienza ultima a Dio? Nella libertà… sapendo anche talvolta andare controcorrente con dei “no” se la coscienza mi chiede questo. (tenendo però sempre presente che a causa del mio peccato il margine di autentica libertà è sempre limitato

     

     

     

     

     

     

     

    Posted by attilio @ 14:05

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