• 09 Set

    I GRADI DELLA PREGHIERA
    NELLA SPIRITUALITA’ ORTODOSSA

    Di MATTA EL MESKIN

     

    E a ogni grado che li elevava verso la gloria pensavano di aver raggiunto la fine; e se si elevano ancora e si rischiarano a una luce più grande  dimenticano il livello precedente e pensano, una volta di più, di essere giunti alla fine del cammino! Ciò accade perché non sono loro,  ma l’azione dello Spirito santo in essi  che li eleva verso la gloria” (Giovanni di Dalyatha: Omelia sulla grandezza degli esseri spirituali)

    La preghiera

    La maggior parte tra noi conosce della preghiera soltanto la sua forma più semplice, quella che consiste nel recitare davanti a Dio qualche parola, sia essa improvvisata in base alle circostanze o composta dai santi, oppure costituita da brani scelti dalla Bibbia, dai salmi, dagli evangeli. In realtà, tutto ciò non è altro che un preliminare alla preghiera in Spirito e verità. E’ certo che se gli uomini sapessero quanto splendore ed elevazione sono rac­chiusi negli altri gradi della preghiera e come essi attirano grazia e benedizioni non esiterebbero un istante a cominciare a praticarli.

    Sebbene nella preghiera non sia facile distinguere tappe ben separate – a causa della loro unità e degli stretti legami che le uniscono -, possiamo comunque fornire alcune indicazioni sui diversi generi di preghiera.

    La preghiera vocale

    Nella preghiera vocale, come abbiamo già detto, recitiamo pa­role e frasi che possono essere improvvisate o selezionate dalla Bibbia o dalle opere dei santi; questo genere di preghiera si ritie­ne sia la base di altre, oppure una sorta di preliminare all’entrata in dialogo con Dio… Ma è necessario che sia accompagnata da uno sforzo mentale che permetta di seguire il senso delle parole recitate e da una motivazione interiore concernente tale senso, affinché le parole non siano declamate come se provenissero da qualcun altro, ma che siano assimilate e restituite come prove­nienti da noi stessi e rivolte direttamente a Dio

    Dobbiamo tuttavia notare che la preghiera, sia essa recitazio­ne personale o all’interno di una chiesa, salmodia individuale o in coro, può sfociare d’improvviso in uno stato contemplativo di rapimento dello spirito e di coscienza della presenza di Dio; per­ché lo stato di preghiera in quanto tale, nella propria stanza o in chiesa, è, in realtà, apparizione davanti a Dio ed entrata effetti­va nello spazio delle potenze spirituali che non cessano di lodare Dio e di servirlo.

    Se l’uomo si dispone alla preghiera vocale con cuore contrito, umile nell’adorazione e con il sentimento vivo di celebrare davanti alla santa Trinità, fin dal momento in cui apre la bocca egli è idoneo a entrare nella conoscenza e nella contemplazione dei divini misteri; allora la sua preghiera e la sua lode sono impre­gnate di calore e di purezza in un’indicibile felicità.

    Ma ciò non significa che ogni preghiera vocale debba trasfor­marsi in preghiera contemplativa; la preghiera vocale, in quanto tale, costituisce un grado particolare che ha la propria importan­za come servizio divino e che possiede la propria efficacia nella vita spirituale dell’uomo; non è meno importante della preghie­ra contemplativa.

    La preghiera mentale

    La preghiera mentale, detta a volte preghiera interiore per­ché viene dal profondo del cuore, è una preghiera nella quale l’intelletto si associa al cuore unendo pensiero e sentimento. Seppure di tanto in tanto la si esteriorizza con alcune parole, per la maggior parte del tempo essa è offerta nella calma e nel silenzio.

    La prima tappa della preghiera mentale è la meditazione; pos­siamo definirla come un intrattenimento con Dio nel corso del quale l’uomo fa memoria delle opere di Dio verso le sue creature e constata davanti a lui lo stato della propria anima; egli si pente, in questa circostanza, delle sue mancanze e dei suoi peccati, pre­senta lode e rendimento di grazie per testimoniare la propria gratitudine e decide di orientare la propria condotta in base alla volontà di Dio.

    Questa tappa è quella della “preghiera eterogenea”, che co­pre soggetti numerosi e diversi a volte senza alcun legame tra loro. I salmi ne costituiscono l’esempio più sostanzioso. Brani scelti della meditazione di David con Dio trattano tanto della creazione materiale, quanto della creazione dotata di ragione, una volta della legge, un’altra volta dell’anima e talvolta questa differenza è riscontrabile nel medesimo salmo; è sempre co­munque all’interno di un dialogo vivo e commovente dell’anima con Dio.

    La seconda tappa della preghiera mentale è la contempla­zione; qui la preghiera entra in uno stato di concentrazione non soltanto in rapporto al soggetto meditato (consistente per esempio, nel concentrare la preghiera su uno dei comandamen­ti o su una delle opere di Cristo evangeliche o redentrici), ma anche in rapporto all’uomo stesso: sotto la potente influenza dell’amore egli si trova in uno stato di veglia cerebrale perfetta, i sensi controllati, la volontà centrata sulla preghiera e il cuore spiritualmente pronto ad accettare qualsiasi orientamento dello Spirito santo.

    Ancora, la preghiera contemplativa è necessariamente divisa in due gradi legati tra loro.

    Primo grado: la contemplazione volontaria

    Il suo successo dipende dall’amore che l’uomo, nel proprio cuore, nutre per Cristo e dalla sua disponibilità a concentrarsi su un determinato soggetto per contemplarlo nel profondo del pro­prio cuore e del proprio pensiero, pur restando pronto a ricevere ogni orientamento spirituale.

    Questo grado non esiste senza l’aiuto intimo della grazia che accompagna la volontà dell’uomo e gli offre la possibilità di per­severare, di proseguire e di approfondire la sua preghiera, facen­dogli strada con la sua luce e permettendogli così di ottenerne un grande tesoro spirituale.

     Secondo grado: la contemplazione in spirito

    È apertura d’amore del cuore di Dio all’uomo in risposta all’amore dell’uomo in preghiera davanti a lui. Qui la preghiera è penetrata da un elemento divino che la fa uscire dall’ambito delle possibilità umane e volontarie; è il motivo per cui, a questo li­vello, è difficile parlare di preghiera, sarebbe meglio parlare di “grazia della preghiera”.

    All’inizio, questo grado può sembrare particolarmente elevato da raggiungere, ma fin dal momento in cui l’uomo riceve la gra­zia di accedervi, vi si abitua, se così si può dire; e tale stato gli diventa facile, naturale e accessibile a motivo della semplicità dello Spirito santo e della sua stupefacente disponibilità a ri­spondere a ogni richiesta che un cuore amante gli presenta. Per­ché si mantenga a questo livello, all’uomo viene chiesto soltanto di restare costantemente in accordo con il volere dello Spirito santo nell’amore, nella semplicità e nella purezza del cuore, nel distacco dalle preoccupazioni e dai pensieri terreni e nella capacità di osservare i comandamenti e l’insegnamento spirituale. E’ necessario però che comprenda che non esistono predisposizioni che possano conferirgli il diritto a raggiungere questo grado di contemplazione nella grazia e l’apertura del cuore di Dio, per­ché ciò è puro dono.

    Sta all’uomo domandare con lacrime e suppliche, senza crede­re di esserne degno, come dice Giovanni di Dalyatha: “Padre buono, donami il tuo amore, anche se non ne sono degno!” anche se vi accede ogni giorno, anche se è ritenuto degno di tut­te le altre virtù: purezza, ascesi, umiltà e preghiera continua; il dono della contemplazione in spirito e dell’apertura del cuore di Dio all’anima umana è al di sopra di tutte le virtù.

    Ciò non significa che il grado della contemplazione in spirito sia un miracolo; è però una grazia: prova ne è il fatto che essa è accompagnata generalmente dal dono del discernimento e da quello della sapienza; il grado della contemplazione spirituale è infatti la perfezione della preghiera, la perfezione di tutte le gra­zie e di tutti i doni.

     A coloro che sono ritenuti degni di perseverare in questa via saranno affidati anche altri doni e carismi che si trovano al di là dei confini della preghiera, come l’estasi o il rapimento nella contemplazione di Dio in uno stato spirituale prossimo alla per­dita di coscienza che permette di intravedere indicibili verità di­vine.

    Se volessimo illustrarli potremmo rappresentare i tre diversi generi della preghiera con tre atteggiamenti concreti: la preghie­ra vocale sarebbe rappresentata da colui che con timore sta da­vanti a Dio, la meditazione da colui che con lena si dirige verso Dio e la contemplazione da colui che con amore dimora nel seno di Dio.

    Semplificando ancora potremmo scoprire gli stessi tre generi nelle parole di Cristo: “Chiedete e vi sarà dato” è la preghiera vocale; “Cercate e troverete” è la meditazione; “Bussate e vi sa­rà aperto” è la contemplazione o il punto d’arrivo.

    Avendo trattato altrove della preghiera vocale sotto le sue molteplici forme, ci soffermiamo in questo capitolo sulla preghiera mentale, i suoi livelli e i suoi esercizi.

     1. La meditazione

     Ti siano gradite le parole della mia bocca,  il meditare del mio cuore davanti al tuo volto, Signore mia roccia e mio redentore!

     Beato l’uomo che… si compiace nella legge del Signore  e medita la sua legge giorno e notte.

     Parlerò dei tuoi consigli… Io trovo la mia gioia nei tuoi comandi Sì, li amo molto tendo le mani ai tuoi comandi che amo e medito sulle tue volontà.  (Sal 119 46-48)

    Il cuore mi bruciava nel petto al ripensarci si infiammava ancor di più.  (Sal 39,4)

    Medi/a (meléta) queste cose,  dedicati a esse interamente perché tutti vedano il tuo progresso.  (1Tm 4,15)

    Il termine “meditazione”, in greco meléte, è un termine con­venzionale tradizionale strettamente legato a una lettura appro­fondita delle Scritture che tocca il cuore e che lascia un segno indelebile nella memoria, nel sentimento e nel linguaggio.

    Secondo la tradizione patristica, la meditazione è la chiave di tutte le grazie; a colui che la pratica con fervore conferisce pen­siero, linguaggio e sentimenti evangelici; comprende le realtà al­la maniera di Dio e può progredire in tutti i doni e i carismi. Se apre la bocca, le parole della Scrittura ne escono senza artifici, né affettazione e, insieme a esse, i pensieri divini fluiscono co­me onde di luce che attraverso la conoscenza divina rischiarano lo spirito di colui che ascolta toccandone il cuore e infiamman­done i sentimenti.

    Il termine “meditazione”, in ebraico haghig e in greco meléte, dal verbo meletào, veicola un senso di studio, di approfondi­mento della comprensione attraverso l’esercizio del pensiero e del cuore. Così la meditazione della sapienza, meléte sophìas, si­gnifica studio della sapienza con applicazione, approfondimento ed esercizio pratico.

    Secondo la tradizione patristica, questo termine tendeva all’assidua applicazione del cuore e dell’intelletto alla Parola di Dio, affinché, grazie alla Parola, i monaci fossero trasformati. I padri, infatti, ritenevano che fosse opportuno dedicarsi alla me­ditazione solo attraverso la lettura della Parola di Dio; perché la meditazione del cuore ha il potere di modellare la coscienza e il pensiero dell’uomo, il quale non deve lasciarsi modellare se non dalla benedetta Parola di Dio, secondo la sua volontà e il suo pensiero.

    E’ per questo motivo che il termine “meditazione” si riferisce in modo particolare alla lettura della Bibbia e il suo uso si limita allo studio della Parola di Dio unito alla concentrazione interio­re per esserne impregnati e reagirvi spiritualmente.

     Lettura nella calma

     Sempre secondo la tradizione patristica, il primo dei gradi della meditazione è la lettura nella calma, con lentezza e a voce alta, “gustando” le parole; segue poi la ripetizione reiterata della stessa lettura. Presso i padri questo genere di lettura veniva sem­pre fatto a voce alta ed era detto “recitazione ripetitiva”. Di fat­to, la meditazione attraverso la ripetizione della Parola di Dio, a voce alta, con il cuore desto e come “gustandola” è in grado di radicare questa Parola nelle profondità dell’uomo che potrà ripeterla in seguito come se la “ruminasse”, fino a che essa di­venti sua parola; al tempo stesso egli sarà diventato il depositario fedele della Parola di Dio e il suo cuore il tempio del tesoro divino: “… che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52). E’ proprio di questo che si tratta quando è detto di “custodire la Parola” (cf. Gv 8,51-52; 14,23; 17,6). L’evangelo o la Parola sono ormai custodite in un luogo sicuro all’interno del cuore come un tesoro di grande valore; il profeta David dice: “Custodisco la tua promessa nel mio cuore” (Sal 119,11). E’ co­me se l’uomo aderisse alla Parola e la cingesse, come un forziere, per metterla al riparo dai ladri.

    È per questa ragione che, nella tradizione patristica, le pre­ghiere improvvisate avevano un puro sapore evangelico, perché provenivano da un cuore traboccante della Parola di Dio. Simili preghiere improvvisate, o – per usare l’espressione di Isacco il Siro -, “che l’uomo compone da sé”, erano recitazioni ripetitive della Parola di Dio studiata a memoria che si completavano ar­monicamente fra loro; testimoniavano il grado al quale l’anima era stata toccata e modellata dalla Parola e dalla volontà di Dio.

    Di conseguenza, la meditazione è stata strettamente legata al­la preghiera come il primo dei suoi gradi, quello che permette all’uomo di viverne e di crescere davanti a Dio in piena fiducia e sicurezza; perché è una preghiera presa al cuore dell’evangelo e capace quindi di provocare una profonda trasformazione, un grande rinnovamento nella sensibilità, nel pensiero e nel lin­guaggio dell’uomo. Per questo motivo nella tradizione cristiana autentica non è possibile attribuire alcun valore alla preghiera improvvisata, se colui che prega non è ripieno della Parola di Dio, esercitato nella vera meditazione: la sua parola rischierebbe di essere non evangelica e i suoi pensieri potrebbero non tradur­re la volontà e il pensiero di Dio.

     Ripetizione silenziosa della Parola

     La meditazione non è unicamente lettura vocale in profondità; comprende anche la ripetizione silenziosa della Parola eseguita molte volte, con un approfondimento sempre crescente, fi­no a che il cuore viene infiammato dal fuoco divino. Ciò è ben illustrato dalle parole di David: “Il mio cuore mi bruciava nel petto, al ripensarci s’infiammava ancor di più” (Sal 39,4).

    Appare qui il filo sottile e segreto che lega la pratica e lo sfor­zo alla grazia e al fuoco divino.

    Il solo fatto di meditare più volte la Parola di Dio, lentamente e nella calma, conduce, mediante la misericordia di Dio e la sua grazia, all’incendio del cuore! Così la meditazione diventa il pri­mo legame normale tra lo sforzo sincero della preghiera e i doni di Dio e la sua grazia ineffabile. Questa è la ragione per cui la meditazione è stata considerata come il primo e il più importan­te grado della preghiera del cuore, a partire dal quale l’uomo può elevarsi al fervore dello spirito e viverne tutta la vita.

    Rammentiamo che in ebraico il termine “meditare” e reso con hagah, che ha il significato originario di “balbettare” – cioè il primo apprendimento della pronuncia e della comprensione -; esprime poi il tentativo di uno sforzo sostenuto per comprende­re e imparare ciò che deriva dalla volontà di Dio e dai misteri nascosti della sua Parola e dei suoi comandamenti; per questo, nel suo primo salmo, sentiamo David dire: “Beato l’uomo … che si compiace nella legge del Signore e medita (jehgheh) la sua legge giorno e notte”; diventerà di certo un uomo secondo la volontà di Dio, come lo era divenuto David stesso!

    Il risultato di questa meditazione, di questa pia ripetizione della legge del Signore, è annunciato da David: l’uomo riesce ormai in tutto ciò che intraprende (Sal 1,3), come se la medita­zione fosse il grado dei perfetti. Dall’origine del termine ebraico hagah (apprendimento elementare della pronuncia e della com­prensione della Legge) risulta tuttavia che la meditazione è an­che il grado adeguato ai debuttanti desiderosi di stabilire con Dio una relazione intima e sincera.

    La meditazione in quanto tale può essere quindi sia inizio che fine, perché la stessa Parola di Dio è inizio e fine: per mezzo suo l’uomo entra nella verità e, in essa, giunge alla verità intera.

    Per questa ragione, la meditazione era per i padri una pratica di grande profitto. L’hanno vissuta e praticata fino all’ultimo giorno della loro vita. Così Palladio, l’autore della Historia Lau­siaca, dice che Marco il Monaco conosceva a memoria l’Antico e il Nuovo Testamento (18,25), che Heron recitava a memoria, da­vanti a lui, i Salmi, la Lettera di Paolo agli Ebrei, il libro di Isaia per intero e una parte del libro di Geremia, dell’evangelo di Lu­ca e del libro dei Proverbi (26,3). Analogamente Rufino, nel corso dei suoi viaggi ha visto e testimoniato esempi simili.

    Non bisogna dedurne che presso i padri la meditazione consi­stesse soltanto nell’apprendere “a memoria”, piuttosto che que­sta ne era una conseguenza ineluttabile, giacché la “dilettazio­ne” costante delle sante Scritture nella recitazione ripresa quoti­dianamente, non può che imprimerle nella memoria e lasciarle correre sulle labbra con spigliatezza.

    Constatiamo che la perseveranza del cuore nella meditazione delle Scritture si traduce sempre in un’infusione nel cuore di vi­ta vera; perché la Parola di Dio, come il Signore l’ha definita, è Spirito e Vita. La perseveranza nella meditazione della Parola manifesta necessariamente un legame segreto con il Signore e, di conseguenza, un flusso di vita vera che irriga il cuore.

    Il cuore che invece si distoglie dalla meditazione della Parola manifesta di essere preda della stagnazione e dell’aridità. Il pro­feta David ci mostra la differenza tra il cuore che medita la legge di Dio e quello che se ne è allontanato: “Il loro cuore è ottuso come lardo, ma io medito la tua legge” (Sal 119,70). Intende di­re che la meditazione della legge di Dio mantiene il cuore vivo, lo riscalda al fuoco che scaturisce dalla Parola divina; perché la meditazione implica in modo fondamentale l’approfondimento costante dello spirito delle Scritture e la ricerca delle verità na­scoste dietro il comandamento, il che ha per risultato di rinnova­re ogni volta il pensiero dell’uomo, di affinare la sua sensibilità rendendola più evangelica e di conferirgli un comportamento docile e pronto, aperto positivamente a ogni eventualità.

     Verso la contemplazione

     Constatiamo così che, nei suoi stadi avanzati, la meditazione si stacca a poco a poco dalla lettura per dedicarsi alla considera­zione delle verità divine e di tutto ciò che i comandamenti e l’e­conomia divina comportano. La meditazione comincia allora a sfociare nei primi gradi della contemplazione, passando dall’ap­profondimento della Parola all’approfondimento della verità che la Parola cela.

    La perseveranza nella meditazione della Parola viva di Dio riempie il cuore e lo spirito di sante considerazioni, le quali, a loro volta, messe a profitto attraverso la contemplazione, diver­ranno le ali leggere che permetteranno di volare nel cielo dello spirito senza la mediazione della lettura.

    Senza la meditazione costante della Parola divina, dei coman­damenti del Signore e delle sue promesse è tuttavia impossibile che nascano in noi i pensieri e le sante considerazioni che riem­piono il cuore e lo spirito fino a farli traboccare.

    Oltre alla felicità che questo già di per sé comporta, l’immen­so tesoro dei pensieri e delle considerazioni che otteniamo grazie alla meditazione costante dei libri santi, procura all’uomo anche la ricchezza dello Spirito. Oltre all’eliminazione di tutti i pensieri malvagi, costituisce per l’uomo un’offerta capace di soddisfare e sempre gradita a Dio: “Ti siano gradite le parole della mia bocca, il meditare del mio cuore davanti al tuo volto, Signore, mia roccia e mio redentore” (Sal 19,15).

    Si racconta di un monaco che, dopo una lunga notte trascor­sa nella meditazione delle virtù di uno dei suoi fratelli monaci, dice all’anziano: “Padre, ho perso inutilmente la notte a elencare le virtù di mio fratello Untel, ne ho contate trenta e mi sono molto rattristato riscon­trando che io non ne possiedo nessuna”. L’anziano gli risponde: “La tua tristezza per esserti trovato sprovvisto di ogni virtù e la tua meditazione delle virtù di un altro valgono più di trenta vir­tù”. Questo esempio illustra come i comandamenti del Signore s’imprimano nell’intelletto e nella coscienza per esortare l’uomo a cercare nello spirito dove si trovano le virtù o dove non si tro­vano. Ciò mostra infatti come la meditazione della Parola di Dio generi la meditazione delle virtù e lo sforzo per acquisirle; inol­tre essa spinge l’anima, vigorosamente e costantemente, a esa­minarsi e a misurarsi in base all’evangelo, senza trovare riposo se non nella verità che essa medita, né felicità se non nell’appli­cazione del precetto divino. La meditazione è il pedagogo che conduce l’uomo per mano per elevarlo al di sopra di se stesso, la lampada che ne illumina il discernimento e, a grandi falcate, guida i suoi passi verso l’eternità.

     La meditazione dei misteri

     Il grado più alto della meditazione è però senza dubbio la meditazione dell’”economia” dell’incarnazione divina, della redenzione compiuta sulla croce e della resurrezione che ci ha do­nato la potenza di vita. È la meditazione del mistero del disegno di Dio che l’evangelo descrive con parole semplici e chiare, le quali, se l’uomo vi si sofferma a sufficienza, svelano al suo cuore il loro senso misterioso e vi riversano una forza ardente capace di offrirgli una nuova vita: “Conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte” (Fil 3,10); “Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cri­sto che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef 3,17-19).

    La meditazione si lega qui alle parole stesse, alle stesse espres­sioni; si concentra sul senso manifesto del testo ispirato, distin­guendosi così dalla contemplazione di quegli stessi misteri, giac­ché procede liberamente senza limitarsi alla letteralità del testo, ma affidandosi all’insieme delle percezioni personali e all’allar­gamento degli orizzonti del discernimento e della conoscenza.

    Così, la meditazione dei misteri del disegno divino, esatta­mente come vengono presentati nella Scrittura, è la base imperativa della vera contemplazione, quella che permette di accede­re alla forza e alla luce di quegli stessi misteri. E’ la meditazione costante, felice e riuscita che permette alla contemplazione di progredire e di svilupparsi.

    La meditazione, questo lavoro spirituale avvincente e attraen­te, parte integrante dell’orazione, è un dovere che s’impone a tutti senza esclusioni; perché l’uomo non può nutrirsi della pa­rola della Scrittura se non la ripete nel proprio cuore e nella pro­pria mente: proprio questa è la meditazione. Così pure è diffici­le entrare in una preghiera a Dio che sia ardente e vera senza ri­petere davanti a lui le parole delle sue promesse, senza aggrap­parvisi e senza situarsi in rapporto a esse; anche questo dipende dalla meditazione.

    La meditazione è quindi una preghiera che si fonda sulla ripe­tizione delle parole di Dio e delle sue promesse nel cuore e nella mente, finché non siano integrate nella fede e nella speranza dell’uomo e divengano un’autentica forza sulla quale egli possa fare affidamento nel momento del bisogno: “Custodisco la tua promessa nel mio cuore per non peccare contro di te” (Sal 119,11).

     Guidata dal fervore o in lotta contro l’inerzia

     Quando l’uomo è fervente, infiammato dallo Spirito, la pre­ghiera di meditazione gli diventa facile, spontanea, senza biso­gno di sforzo di concentrazione o di sentimenti forzati; si parla, in questo caso, di preghiera semplice o spontanea; essa è intima, calorosa e amante fiducia dell’anima verso il suo creatore, è ciò che nutre interiormente: il desiderio di rendergli gloria per le sue opere, le sue qualità, la sua sapienza, o di rendergli grazie per la sua misericordia e la sua immensa e discreta sollecitudine. L’anima può allora infiammarsi nel corso della meditazione si­lenziosa, non sopportare più di tacere e cominciare a pregare con parole che, scorrendo senza freni, esprimono l’amore, l’adora­zione e la sottomissione, come un bambino che con deboli paro­le esprime i suoi immensi sentimenti. Il cuore è aperto davanti a Dio e sente tutto ciò che l’indicibile tocco della mano divina agita in lui.

    Ma se l’uomo vuole entrare nella meditazione senza possede­re quest’ardore preliminare che immediatamente lo esorta alla preghiera del cuore, ha bisogno di un certo sforzo interiore e di una concentrazione mentale che permettano all’anima di vince­re la propria inerzia e all’intelletto di liberarsi delle preoccupa­zioni esteriori per entrare in una lettura spirituale cosciente che l’elevi al livello della preghiera. Egli è allora chiamato a scuotersi interiormente, la coscienza deve opporsi volontariamente a tut­te le preoccupazioni psicologiche e mentali che l’hanno portata a disseccarsi e a trascurare l’adorazione, la preghiera e il contatto con Dio.

    Lo sforzo della coscienza verte sull’amore per vincere l’iner­zia e le preoccupazioni esteriori. L’uomo che, volontariamente e con tutto il cuore, avanza verso l’amore di Dio, anche se all’ini­zio è impacciato, si sente subito invaso dell’amore divino, perché l’azione divina sostiene sempre lo sforzo umano e alla fine vi si unisce.

    La volontà deve quindi restare attiva e paziente, in attesa dell’arrivo della forza divina che l’invaderà di calore spirituale, affinché la persona possa infine lanciarsi verso le profondità e cominciare la propria preghiera e la propria meditazione con fa­cilità e nella gioia.

    Questo cammino dello spirito nel corso della lettura spirituale fa passare l’uomo dall’aridità interiore e dalla preoccupazione mentale per le cose di questo mondo, alla concentrazione inte­riore, all’ardore spirituale e alla preghiera. In realtà, si ritiene che essa costituisca il cammino spirituale più importante e più delicato di tutta la vita di preghiera, la sola porta che apre sui se­greti della vita spirituale, il primo gradino della scala celeste che unisce l’anima al suo creatore.

    In quegli istanti l’uomo può incontrare una certa resistenza dell’anima, al momento dispersa in affanni e preoccupazioni molteplici che non hanno alcun valore né senso; può dover an­che affrontare l’astuzia di una mente che passa da una rappresentazione all’altra, da un pensiero all’altro, distratta da soggetti del tutto insignificanti. Tocca allora alla volontà, armata di un sincero proposito interiore, mantenersi con tenacia saldamente afferrata all’amore, polarizzata sul volto di Cristo, nell’attesa e nella supplica, finché la grazia divina la ritrovi, la liberi e le ren­da amore per amore.

     La Scrittura, scuola di meditazione

     È la Scrittura la fonte feconda, a partire dalla quale lo Spirito santo insegna ai suoi discepoli la meditazione; si tratta in realtà della grande scuola le cui lezioni non hanno mai fine, perché, quali che siano le ricchezze che possiamo trarne, in definitiva non ne avremo tratto che un’infima parte. La ricchezza delle Scritture è suddivisibile in tre livelli: il livello storico, che va dall’inizio della creazione alla fine dei tempi e concerne la crea­zione muta e quella dotata di ragione; il livello etico o legale, che comprende i comandamenti, i precetti e le leggi che Dio ha sta­bilito per gli uomini; il terzo livello che comprende i rapporti di Dio con coloro che egli ama, ciò che egli ha detto loro e ciò che essi hanno detto a lui. Questi tre livelli rispondono a tutti i biso­gni della nostra meditazione con Dio, non tanto come eventi del passato o realtà considerate in se stesse, quanto come proposte che mantengono tutta la loro attualità in noi e che costituiscono la nostra realtà interiore.

    Il più bell’esempio di meditazione eterogenea e libera, inte­grante i tre livelli, è l’ammirabile raccolta di salmi inaugurata dal profeta David. Veramente, attraverso il lungo e toccante intratte­nersi del salmista con Dio, troviamo capolavori di meditazione.

    Per quanto concerne la creazione non c’è creatura ch’egli non citi lodando il creatore per averla fatta. Egli parla con Dio della creazione del cielo e della terra e di ciò che è sotto la terra, delle montagne e le colline, dei mari e le sorgenti, delle valli, le cam­pagne e i prati, degli alberi, i boschi, le erbe e i frutti; canta il sole, la luna, gli astri e le stelle, le nubi e la nebbia, la neve e il gelo, il caldo e il freddo, la pioggia e la tempesta; parla dei rettili e dei pesci, degli uccelli del cielo e degli animali della terra; del­le bestie selvatiche e delle bestie dei campi e di tutto ciò che si muove sulla faccia della terra; parla dei popoli e delle nazioni, delle loro lingue e di tutte le creature della terra; e nella sua esal­tazione spirituale le interpella una dopo l’altra perché acclamino il creatore, invitandole a benedirlo e a cantarlo con lui.

    Poi il salmista in diversi passi dei salmi, soprattutto nel cele­bre Salmo 119, giunge a intrattenere Dio sulle sue leggi e i suoi comandamenti: ne descrive la loro entità, la loro bellezza, la loro dolcezza; testimonia davanti al creatore che esse sono per lui più dolci del miele, danno luce ai suoi occhi, sono la gioia del suo cuore, la ricchezza della sua anima, la meditazione delle sue not­ti e dei suoi giorni, tanto da diventare la lampada che guida i suoi passi e illumina il suo cammino; assicura i giovani che esse sono luce e rettitudine per le loro vie, e i bambini che vi trove­ranno la sapienza; poi confida a Dio la grande tristezza che l’in­vade alla vista dei peccatori che trasgrediscono i suoi precetti, degli orgogliosi che ignorano la legge; se la prende con quelli che la violano e li maledice; infine rende grazie a Dio per averlo istruito nei suoi comandamenti meglio dei suoi nemici e per avergli dato di comprenderli meglio degli anziani.

    Altrove il salmista si rivolge al suo creatore parlandogli del proprio stato: si considera verme della terra e non uomo, miserabile e senza più valore di qualsiasi altro; ricordando la propria giovinezza e i suoi traviamenti, chiede misericordia, vede gli at­tuali sbagli davanti ai propri occhi, la sua anima si affligge; egli grida, implorando clemenza, gli occhi infiammati per le lacrime, l’anima contrita per la tristezza, le ossa consumate per i rimorsi e i sospiri, tanto che con gli occhi stralunati, la pelle che ade­risce alle ossa, è come il gufo e l’uccello abbandonato solitario su un tetto (Sal 102,6)! Egli prega poi il suo creatore di non ca­stigarlo nella sua collera, perché è pronto a subire la correzione ma secondo l’amore e la misericordia di un padre clemente; lo supplica di non farlo morire “alla metà dei suoi giorni  (Sal 102,25), ma di lasciarlo vivere ancora, affinché possa offrirgli quanto gli spetta in lode, glorificazione e azione di grazie. Così David avrà assimilato integralmente l’insegnamento dello Spiri­to santo al punto da meritare la testimonianza del Signore: “Dio ha trovato un uomo [David] secondo il suo cuore” (1Sam 13,14) e ancora: “David ha parlato sotto l’ispirazione dello Spirito” (cf. Mt 22,43).

    Così David ci ha offerto, nello Spirito, un modello permanen­te e sempre attuale di meditazione perfetta secondo il desiderio di Dio. Ogni salmo è in sé una notevole opera di meditazione che già basta per iniziarci a questa forma di preghiera e che, in­sieme al resto dei salmi, ci offre una stupefacente immagine dell’intimità vissuta da David nel suo intrattenersi con il Signore.

    Il segreto dello straordinario avanzare di David risiede nella sua approfondita conoscenza della legge del Signore da lui medi­tata senza sosta.

    Sappiamo bene che la meditazione è un’arte che necessita di tempo per raggiungere la perfezione, ma il cui progredire è facile e rapido, anche se non lo si percepisce chiaramente; è ciò che ac­cade per tutte le virtù spirituali. Così, man mano che avanzia­mo, sentiamo le nostre mancanze e le nostre impotenze, tanto che quando giungiamo a un grado elevato, pensiamo di non do­ver avanzare più di un solo passo, ma è l’effetto della grazia che maschera i progressi ai nostri occhi per impedirci di cadere nella vanità e nell’orgoglio. Ogni volta che questo sentimento di im­potenza c’invade, sarà indizio – come i padri ispirati dallo Spiri­to ci hanno insegnato – che abbiamo raggiunto una tappa im­portante e che davanti a noi si staglia un’altura che necessita di un grande slancio per essere meglio superata.

     

    Posted by attilio @ 09:50

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