• 16 Mar

    Fondamenti di Vita Monastica

    una guida spirituale

    P. Placide  Deseille


    PROLOGO

    Regola fondamentale – e in certo senso unica – del monaco è l’Evangelo, che egli si impegna a mettere in pratica radicalmente in una vita profetica. Dovrà cercare in tutto di seguire l’esempio e l’insegnamento del Signore Gesù, che si è fatto volontariamente il servo di tutti, mite e umile di cuore. Dovrà lasciarsi penetrare dallo spirito delle beatitudini e del discorso della montagna;  alla conformità ad essi ci conduce, nel profondo del nostro cuore, lo Spirito santo che è stato riversato in noi e che ci vuole plasmare a immagine del Figlio diletto del Padre.

    1.  LA VITA MONASTICA

    È per unirsi a Dio con cuore indiviso e per vivere di Lui solo che il monaco ha lasciato il mondo, rinunciando alle sue gioie più legittime. Il timore di Dio, un amore radicale, la profonda conoscenza della sua grandezza e della sua santità, e al tempo stesso della sua sconvolgente vicinanza, ispireranno tutte le scelte e le decisioni del monaco e unificheranno la sua vita.

    2.  LA PREGHIERA CONTINUA

    Il monaco ha rinunciato a formarsi una famiglia, si è liberato dalle occupazioni del mondo per esprimere con tutto il proprio essere – anima e corpo – la sua consegna piena e radicale al Signore. La potenza del Cristo risorto l’ha raggiunto, l’ha strappato alle condizioni normali dell’esistenza umana, per consentirgli di vivere in una comunione cosciente e il più possibile continua con la santa Trinità. La sua vita è una profezia vivente della Gerusalemme celeste, nella quale entrerà tutta l’umanità salvata dopo la risurrezione finale. Per questo la preghiera – in chiesa o in cella – sarà la sua prima occupazione; consacrerà lunghi momenti alla lode di Dio e all’intercessione per tutti gli uomini, e si sforzerà di trasfigurare anche le sue occupazioni più materiali facendone una liturgia interiore.

    3.  IL COMBATTIMENTO INVISIBILE

    Il deserto è il luogo nel quale Dio si rivela all’uomo e parla al suo cuore, ma è anche l’arena dove ci si consegna a un’aspra lotta contro tutte le tendenze sregolate che portiamo in noi. Nella solitudine queste tendenze si manifestano più facilmente, sotto forma di “pensieri“, cioè di suggestioni, impulsi, fantasie malvagie. Il monaco potrà resistere soltanto se instancabilmente supplica Cristo, vincitore di Satana, di risvegliare in lui, mediante il dono dello Spirito santo, impulsi e desideri buoni, capaci di elevarlo al di sopra delle tentazioni. “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dia, abbi pietà di me, peccatore!“.

    4.  LE PASSIONI

    La tradizione monastica ci ha consegnato il catalogo delle otto principali tentazioni, dei “pensieri” malvagi, che muovono guerra all’uomo gola, lussuria, amore per il denaro, tristezza, collera, acedia, vanagloria, superbia.  Questa lista dei nemici della vita spirituale può aiutarci a restare vigilanti e a smascherare i loro assalti.

    5.  IL DISCERNIMENTO

    La legge di Cristo non consiste semplicemente in un codice esteriore di precetti, ma si identifica con la presenza interiore dello Spirito santo che trasforma i nostri cuori, donando loro il senso e il desiderio di ciò che piace a Dio. Il monaco dovrà dunque essere quanto mai attento alle ispirazioni e alle mozioni dello Spirito di Dio.  Satana però è molto abile nel trasformarsi in angelo di luce; occorre dunque discernere l’origine delle ispirazioni che riceviamo e la reale natura delle nostre motivazioni. Da questo dipende la qualità spirituale dei nostri atti e non soltanto la loro rettitudine esteriore. Ogni azione buona in se stessa può essere viziata da una motivazione impura. Questa vigilanza su di sé non deve essere confusa con un’introspezione minuziosa e soffocante;  saranno piuttosto l’umiltà del cuore e una serena attenzione alla divina presenza a consentire all’anima di percepire come d’istinto ciò che è in dissonanza con lo Spirito di Dio.

    6.  IL RICORSO AL PADRE SPIRITUALE

    Nessuno è buon giudice di se stesso.  Per questo motivo normalmente ci è necessario l’aiuto di un altro, per vagliare i nostri desideri e discernere le decisioni da prendere nella nostra vita. Il vero discernimento degli spiriti è un carisma che generalmente è accordato solo a chi ha un cuore profondamente rappacificato. E così i padri hanno sempre insistito sulla necessità della manifestazione dei pensieri a un padre spirituale.

    7.  L’UMILTÀ

    L’umiltà di cuore è l’anima di ogni forma di ascesi nella vita monastica.  L’ascesi non è altro che un mezzo per esprimere – anche con il proprio corpo – e per radicare profondamente dentro di noi una rinuncia vera alla nostra pretesa autosufficienza, all’affermazione e all’esaltazione del nostro io, alla nostra sete di onore e di stima, e tutto questo affinché non siamo più noi stessi a vivere in noi, ma il Cristo (cf: Gal 2,20), che è l’amore, e che ha donato se stesso al Padre e agli uomini.

    8.  L’OBBEDIENZA

    La tradizione monastica ha considerato l’obbedienza come la migliore espressione dell’umiltà vera e non illusoria. Chi obbedisce, infatti, non si ritiene superiore agli altri; rinuncia a imporre le sue idee, i suoi gusti, le sue preferenze; egli non ricerca il proprio interesse, ma quello degli altri e – a imitazione del Signore – preferisce servire piuttosto che essere servito.

    9.  LA CARITÀ

    Sostentati dal medesimo pane eucaristico, dissetati dallo stesso Spirito, i cristiani sono una sola cosa nel corpo di Cristo. L’amore vicendevole è così la legge fondamentale della loro vita, un amore che esige l’incessante dono della vita per gli altri attraverso le molte rinunce – umili ma spesso assai dolorose – che la vita quotidiana porta con sé. La comunità monastica è un luogo privilegiato per esercitarsi in questo amore che, attraverso la morte a noi stessi, ci fa entrare nella vita e nella gioia dell’indivisibile Trinità.

    10.  L’OSPITALITÀ

    L’amore cristiano è universale. La carità del monaco non può dunque limitarsi, anche sul piano della sua realizzazione pratica, agli orizzonti della comunità. Essa deve rimanere aperta e saper accogliere ospiti e pellegrini attraverso i quali Cristo viene a visitarla. I monasteri saranno così dei luoghi di preghiera e di vita spirituale per tutti quelli che cercano Dio. Per molti una breve visita al monastero, l’accoglienza di un fratello, la partecipazione a un Ufficio, saranno l’occasione per intravedere, oltre la dura scorza della vita quotidiana, la presenza segreta del regno di Dio su questa terra.

    11.  IL SILENZIO

    Il silenzio è una condizione indispensabile per una preghiera profonda ed è al tempo stesso un frutto di questa preghiera. Deve tuttavia essere praticato con discernimento, e non avrà alcun valore spirituale se non è accompagnato dal silenzio del cuore, al quale si giunge soltanto con una strenua lotta contro le divagazioni dello spirito, contro le preoccupazioni inutili e contro la ruminazione interiore dei desideri frustrati, delle tristezze, delle gelosie e dei rancori.

    12.  LA POVERTÀ

    La rinuncia ad appropriarsi i beni materiali e l’abitudine ad accontentarsi di poco costituiscono, per il monaco, un mezzo per esprimere e per realizzare un perfetto spossesso di sé. Mediante questa povertà evangelica egli rinuncia a chiudersi nella propria autosufficienza e nel proprio individualismo, per entrare più pienamente in comunione con Dio e con gli uomini. La povertà testimonia la preferenza che accordiamo ai beni del regno di Dio rispetto ai beni terreni, il nostro abbandono filiale al Padre celeste e il nostro amore per il prossimo.

    13.  L’AUSTERITÀ DI VITA

    Nell’uomo, anima e corpo sono uniti a tal punto che il comportamento esteriore è il segno e il coadiutore efficace degli atteggiamenti interiori, che dispongono il cuore ad accogliere la grazia o che sono il frutto di questa accoglienza. Per questo il monaco deve unire, alla lotta contro i pensieri e alla pratica delle virtù evangeliche, l’ascesi del corpo. Essa gli consente di attualizzare, in una maniera veramente personale e che lo impegna con tutto il suo essere, il mistero della morte e della risurrezione al quale è stato iniziato attraverso il battesimo.

    14.  IL DIGIUNO E IL DOMINIO DI SÉ

    In un racconto di grande portata simbolica il Libro della Genesi ha descritto il peccato d’orgoglio di Adamo e di Eva come una disobbedienza a un divieto concernente il cibo. E gli Evangeli mostrano nel digiuno di Cristo nel deserto uno dei primi gesti significativi mediante il quale egli manifestava che suo cibo era fare la volontà del Padre suo ed esprimeva la sua dipendenza filiale nei suoi confronti, prefigurando così l’offerta di sé sulla croce. In tutta la Scrittura il digiuno intende esprimere l’umiltà del cuore, la supplica insistente e l’attesa di Dio.  L’obbedienza alle regole del digiuno e la sobrietà riguardo al cibo aiuteranno il monaco a spogliarsi del suo egoismo, del suo “io” carnale e diventeranno simbolo della trasfigurazione progressiva del suo essere per opera dello Spinto santo.

    15.  LE VEGLIE

    La silenziosa oscurità della notte favorisce il ritorno al cuore e la preghiera. D’altra parte, nulla meglio delle veglie è in grado di esprimere la vigilanza dell’anima attenta a non lasciarsi vincere dal torpore spirituale, e il desiderio di incontrare Dio nella preghiera e nell’ascolto della Parola, nell’attesa del suo ritorno.

    16.  LE METANÌE

    Stare in piedi, chinare il capo, prostrarsi costituiscono gli atteggiamenti tradizionali della preghiera cristiana. Mentre la posizione eretta esprime la gioia pasquale, la piena confidenza con la quale ci rivolgiamo al nostro Padre celeste, l’inchino del capo e la prostrazione simbolizzano l’adorazione, la coscienza della nostra piccolezza e della nostra fragilità dinanzi alla santità divina e la compunzione che nasce al ricordo dei nostri peccati. Questi atteggiamenti favoriscono il risveglio della nostra sensibilità spirituale profonda.

    17.  IL LAVORO

    Ogni giorno il monaco deve consacrare diverse ore a un lavoro, che gli consenta di guadagnarsi la vita e di aiutare gli altri. Questo lavoro sarà contemporaneamente un esercizio di ascesi e un fattore di equilibrio e di realismo spirituale. Dovrà essere adempiuto in un clima di preghiera e di carità fraterna, con coraggio e generosità, ma evitando l’eccessiva agitazione e l’attivismo.

    18.  AGIRE NEL SEGRETO

    Il monaco deve fare tutto quello che dipende da lui, per testimoniare Cristo e non causare scandalo a nessuno. Il desiderio di essere gradito agli uomini o il timore di non esserlo, la ricerca della loro stima e della loro considerazione, non dovranno però mai trasformarsi nelle motivazioni di fondo del suo comportamento. Desideroso di vivere soltanto per Dio, sotto il suo sguardo, si sforzerà piuttosto di nascondere tutto quello che potrebbe attirare su di lui l’attenzione o metterlo in mostra. Niente è più contrario allo spirito dell’Evangelo che il rispetto umano e il fariseismo.

    19.  UMILE FIDUCIA

    La nostra salvezza non può venire dall’uomo, ma da Dio solo. La condizione fondamentale del progresso spirituale è non sperare nulla da se stessi e sperare tutto da Dio. Per diverse vie il Signore ci può condurre alla convinzione intima, reale della nostra debolezza e della nostra impotenza. Può permettere a questo fine dei lunghi periodi di aridità interiore, dei ‘fallimenti’ dolorosi e perfino la ricaduta negli stessi peccati. L’importante è non scoraggiarsi, non rinunciare a perseguire uno scopo apparentemente inutile, ma restare al proprio posto e ricominciare senza stancarsi la lotta, supplicando il Signore dal profondo del cuore di venire in nostro aiuto. Si dovrà forse attendere a lungo, prima che la fiducia in noi stessi – profondamente radicata in noi – venga estirpata. Ma Dio è fedele, e il suo intervento è altrettanto certo quanto il sorgere dell’aurora dopo la notte.

    20.  IL DONO DELLO SPIRITO SANTO

    Il cristiano è rinnovato dallo Spirito santo nel battesimo e gli altri sacramenti accrescono in lui questo dono iniziale. Ma esso sfugge alla sua coscienza, non dà ordinariamente l’esperienza di Dio. Perché l’uomo prenda coscienza della presenza intima di Cristo, perché acquisti il gusto e il senso profondo di Dio e delle cose di Dio ed esperimenti così un rinnovamento interiore decisivo, sono necessarie nuove effusioni dello Spirito. Questi doni che aprono la nostra vita spirituale all’esperienza e che segnano l’ingresso nella piena maturità cristiana, sono totalmente gratuiti; non sono legati a un sacramento, non sono accordati abitualmente se non a quelli il cui cuore è stato purificato da una lunga lotta spirituale, condotta con l’aiuto segreto della grazia. Nel mondo monastico, gli uomini che ne sono favoriti si sono generalmente mostrati avari di confidenze su tal genere di esperienze. Soltanto chi ha gustato può conoscere il sapore; parlarne sarebbe esporsi all’incomprensione e rischierebbe di eccitare l’immaginazione di quelli che non hanno ancora avuto accesso a tali esperienze e di farli sprofondare nell’illusione. Quello che ci lasciano intravedere dei doni di Dio, tuttavia, è in grado di ravvivare il nostro fervore e ci fa meglio comprendere il senso del nostro sforzo spirituale.

    Posted by attilio @ 13:36

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