• 19 Mar

    “Detto questo…”

    Gv 18,1a

    di p. Attilio Franco Fabris

     

     “Detto questo…”. L’evangelista inizia il racconto della Passione allacciandolo immediatamente con quanto Gesù ha detto in precedenza nel Cenacolo durante l’ultima cena.

    Gesù ha tenuto tre ultimi importanti discorsi che possono essere letti come il suo testamento alla sua comunità. Nel terzo Gesù afferma: “Ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (17,26). Gesù ha già iniziato a far conoscere, durante il suo ministero, il nome del Padre suo ma è un’opera che non è ancora conclusa: “lo farò conoscere.  Ricordiamo che il nome, nel mondo ebraico, indica la realtà più profonda di una persona. Far conoscere il nome di Dio equivale dunque a far conoscere il suo mistero: Qui Gesù avanza la pretesa di far conoscere il nome del Padre suo. Questo un semplice uomo non lo può fare. Come ciò è possibile? Gesù ne dà la motivazione: perché il Padre conosce il Figlio e viceversa:come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore” (10,15). Nel prologo questo è già asserito chiaramente: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (1,18). Desiderio di Gesù,e sua missione, è consegnare alla sua comunità, a ciascuno di noi, questa sua “conoscenza”, è rivelare il volto di Dio in modo da divenirne partecipi.

    Ma vediamo perché è importante questo aggancio a ciò che precede la Passione. Il capitolo 13, che corrisponde all’inizio dell’ultima cena, era iniziato in una maniera molto solenne che si rivela poco dopo sconcertante. Scrive l’evangelista che “conoscendo Gesù che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò fino alla fine”. Gesù sapendo che ormai sta per andare incontro alla morte vuole manifestare al massimo (“fino alla fine) il suo amore, ed anticipare il significato della sua morte violenta.

    Ci immagineremmo chissà quale grande discorso, o gesto straordinario! Invece Gesù “si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto” (13,4-5). Gesù ci rivela il volto di Dio lavando i piedi ai discepoli. Non è un esercizio di umiltà da parte di Gesù ma un segno di rivelazione del suo mistero che apre al mistero di Dio.

    A Mosé che lo chiede non è concesso di vedere il volto di Dio: JHWH concede una visione “parziale”: “toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere” (Es 33,22s). Pertanto la Legge non è incapace di aprimi alla visione del volto di Dio. Solo il Figlio che è nel seno del Padre “lui lo ha rivelato” (letteralmente solo lui ne può fare l’ “esegesi”). È come se l’evangelista ci avvertisse: “Da questo momento fissa la tua attenzione su quanto Gesù dice e fa e tutto quello che credi di sapere e di conoscere di Dio verificalo, confrontalo con quanto vedi e senti in Gesù”. Perché non è Gesù è uguale a Dio ma è Dio che è uguale a Gesù.  Se noi diciamo che Gesù è uguale a Dio significa che Dio già lo conosciamo, che sappiamo già che è. Ogni teologia deve far sempre e solo riferimento a Gesù: lui solo ne è piena e definitiva rivelazione.

    L’affermazione del prologo (1,18), viene riformulata nel capitolo 14, quando Filippo chiede a Gesù: “Mostraci il Padre e ci basta”. Gesù risponde: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre?” (14,9). Ora il desiderio espresso da Mosè è finalmente esaudito, ma attraverso una strada che l’uomo non avrebbe mai sospettato.

    La religione – adopero il termine religione sempre in senso riduttivo ovvero come sforzo dell’uomo di porsi in contatto con Dio il che è diametralmente opposto alla fede cristiana che riconosce che è Dio a farsi incontro all’uomo – inevitabilmente proietta in Dio paure, frustrazioni, desideri e ambizioni dell’uomo rendendo Dio lontano, inaccessibile, soprattutto temibile. Ora la religione fabbrica sempre un idolo: un dio fatto ad immagine dell’uomo. Se la religione insegna che l’uomo impuro deve purificarsi per essere degno di avvicinarsi al Signore. Gesù dimostra il contrario: accogli il Signore e sarà lui a purificarti.

    Così Gesù nella lavanda dei piedi ribalta totalmente la concezione “religiosa” che l’uomo coltiva nei confronti di Dio. Lavare i piedi era compito dello schiavo pagano: la gente andava in giro scalza e quindi calpestava sterco, immondizie, polvere. I piedi erano perciò la parte dell’uomo la più impura. Gesù non pretende che i discepoli si purifichino per essere da lui accolti ma è lui che si mette al loro servizio, e cominciando dalla parte più impura. Questo è il volto di Dio: un Dio che non arretra di fronte alla sporcizia che c’è nell’uomo.

    Dopo la lavanda dei piedi Gesù dice: “ho fatto conoscere loro il tuo nome”.  Il nome di Dio che Gesù ha fatto conoscere ai suoi è “Agape : un Dio che si mette a servizio degli uomini gratuitamente, totalmente, a fondo perduto. Un Dio che si mette a servizio completo dell’uomo: disposto a deporre la sua stessa vita per il suo bene. È questo il leit motiv che percorre la prima lettera di Giovanni: “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore (agape); chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Gv 4,16). Non è vero dunque come afferma la religione che gli uomini devono servire Dio in qualità di schiavi, nella paura, perché Dio non è un tiranno e non ha bisogno di niente. È Dio, che è Padre, che prende invece l’iniziativa di scendere in mezzo all’umanità, di abitare in essa, di servirla. Il Signore si fa servo, perché coloro che erano considerati servi entrino nella categoria di signori. (Panis angelicus fit panis hominum; dat panis caelicus figuris terminum; O res mirabilis: manducat Dominum pauper, servus et humilis – trad. Il pane degli angeli diventa pane degli uomini; il pane del  cielo dà fine a tutte le prefigurazioni: qual meraviglia! il servo povero e umile mangia il Signore: sequenza Panis Angelicus).

    Ma non basta. Gesù aggiuge “E lo farò conoscere”. Qui si accenna alla “esegesi” più gloriosa del volto di Dio che avverrà nella sua passione e morte, scandalosa per l’uomo religioso, stoltezza per l’uomo chiuso nel suo ragionamento: entrambi rifiuteranno questa rivelazione (cfr 1Cor 1,23).  Il nome di Dio che Gesù farà conoscere nel brano della Passione sarà quello di Dio che è amore fedele e gratuito all’uomo ad ogni costo, che fino all’ultimo farà una proposta incessante d’amore per l’uomo nonostante egli “paghi” tutto questo con il dono della propria vita.

     

    Per la meditazione:

    Mi pongo davanti alla croce: quale il Nome di Dio che Gesù mi rivela?
    Sono disposto a farmi lavare i piedi da Gesù? Ovvero a lasciarmi amare da Lui? Oppure come Pietro avrò paura di questa rivelazione? Chiedo allo Spirito di liberarmi dalle false immagini di Dio e di imparare a non temere la gratuità dell’amore incondizionato di Dio, a lasciarmi abbracciare dalla gratuità da lui.

     

    Posted by attilio @ 10:53

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