• 03 Dic

    Una comunità che si costruisce a partire dalla Parola
    e attorno alla Parola:  Atti 2,42-48

     

     a cura di p. attilio franco fabris

    E’ il testo noto come “primo sommario” sulla prima comunità cristiana.

    Ci domandiamo: da dove procede questa comunione?  Dal versetto introduttivo ci viene la risposta: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere”.

    Sono le “quattro fedeltà” della comunità cristiana primitiva. Esse sono in un rapporto funzionale tra loro: l’ascolto dell’insegnamento apostolico, l’unione fraterna (koinonia) , la frazione del pane, la preghiera.

    Anzitutto un primo dato: la koinonia, l’unione fraterna, nasce dall’ascolto della Parola. La comunità non nasce da sentimenti, propositi, progetti… ma dall’ascolto! Si tratta di una comunione che Dio stesso, attraverso la sua Parola, imbastisce, intesse tra noi. La Parola è una forza che esplica sulle nostre esistenze un’azione attraente e aggregante. Una forza che non illumina solo l’intelligenza, ma tocca il cuore e muove le volontà, innescando un processo di aggregazione che struttura, fra coloro che la ascoltano, relazioni nuove.

    E’ questo ascolto-incontro-con-Dio-mediato-dalla-Parola che fa di noi Chiesa in senso neotestamentario.

    Ci sono infatti diverse forme di aggregazione-comunione dal punto di vista religioso e sociale. Ma non sono comunità neotestamentarie, ovvero Chiesa, senza ascolto della Parola.

    Ecco dunque un criterio importante: possiamo dirci comunità evangelica quando le persone si raccolgono attorno alla Parola. E’ la Parola che chiama e che fa Chiesa (“ekklesia” da “kaleo” – chiamare)  a questa Parola siamo chiamati a rispondere.

    E’ una Parola dunque che ci prende, ci raccoglie, ci mette insieme. Per che cosa? Per continuare ad ascoltare quella Parola e vivere di quella Parola.

    Alcuni potrebbero obiettare: “La comunità in senso evangelico è una comunità di fede! “. Certo lo è. Ma lo potrebbe essere ancora in senso teista, non avendo preso ancora piena coscienza del suo essere comunità cristiana. “Come fai a dirlo?”. Si potrebbe rispondere: dal semplice fatto che la sua esperienza di fede non si fonda prevalentemente sull’ascolto della Parola. Nel migliore dei casi accanto ad altre iniziative, progetti, ecc… si pone anche qualche momento di ascolto della Parola che non è certamente centrale. (cfr la difficoltà dei centri di ascolto nelle parrocchie). Dal punto di vista biblico invece sarebbe naturale dire: “Apparteniamo tutti al gruppo di ascolto, perché l’ascolto della Parola è il fondamento del nostro essere comunità, è l’attività fondamentale che tutti condividiamo. All’interno di questa attività ci ripartiamo i compiti e le funzioni richieste dalla vita comune”.

    Nella vita religiosa non siamo stati educati a questo costruire la comunità attorno all’ascolto concreto (tempi, spazi…) della Parola. Domandiamoci come è maturata la nostra vocazione religiosa e sacerdotale. Certamente la Parola è entrata e ha fatto la sua parte. Ma possiamo affermare che la Parola era ed è realmente il centro di tutto? Probabilmente no: e si tratta di una constatazione di tipo socio-pastorale e di tipo socio-religioso.

    L’ascolto della Parola è ad un tempo ascolto personale e ascolto comunitario. Ma l’ascolto vero e proprio che fonda l’esperienza di fede di tipo biblico, non è quello individuale, ma quello comunitario. Occorre essere almeno in due! (cfr Mt 18,20).

    La condivisione della Parola consente allo Spirito di manifestare con intensità, a coloro che si raccolgono intorno ad essa, la presenza del Signore.

    Perché il Signore Gesù assicura la sua presenza in mezzo a coloro che si radunano nel suo nome? Rispondiamo: perché allora la coscienza di coloro che coltivano l’ascolto della Parola, diventa sensibile alla presenza del Signore. La presenza del Signore non si manifesta “quoad se” perché c’era già; essa si manifesta “quoad audientes”, nel senso che coloro che praticano l’ascolto della Parola, finalmente la percepiscono. Ciò che educa il cuore, la coscienza di coloro che ascoltano, a percepire la presenza di Dio, è la Parola stessa.

    L’ascolto della Parola passa attraverso quello che potremmo chiamare il “circuito” dell’ascolto.

    Quali sono le fasi di questo circuito?

    Rm 10,14 ci dice che l’ascolto parte se c’è qualcuno che parla nel nome del Signore. E’ necessario che qualcuno parli: la tradizione biblica lo chiama “profeta” ovvero colui che si fa servo della Parola e non si vergogna delle cose che ha da dire, e parla faccia a faccia con i suoi interlocutori.

    Quindi perché l’ascolto della Parola di avvii ci vuole qualcuno che ci venga incontro con franchezza, per dirci: “Ho qualcosa da dirti da parte del Signore. Vuoi ascoltare?”.

    Questa Parola non si accontenta di istruire, esortare, annunciare. Il profeta fa ben altro. Interroga, dialoga con chi lo ascolta. Cosicché proprio attraverso l’annuncio (il kerigma), l’istruzione (la catechesi), e l’esortazione (la parenesi) si avvia fra chi annuncia, chi porge la Parola, e chi ascolta un dialogo imbastito dalla Parola. Il filo conduttore di questo dialogo con sono le idee, i propositi, i sentimenti, ma è la Parola che il profeta propone e con cui il suo interlocutore, ascoltando, interagisce. Questa Parola filtra e ricicla tutti i nostri vissuti.

    Ne segue che il dialogare fra di noi, frutto esso stesso dell’ascolto, è un dialogare continuamente con quella Parola in nome della quale ci stiamo incontrando. Le nostre Parole divengono un’eco (le risonanze) della Parola ascoltata.

    Dunque alla fase della “datio verbio” deve seguire la “redditio verbi”. Io ti porgo la Parola, tu cosa mi dici? Cosa ti suggerisce la tua coscienza? Così la Parola viaggia, da coscienza a coscienza, va e viene, viene e va, come la spola di un fuso, come la navetta di un telaio,  e tesse le relazioni nuove che fanno la comunità. Questo processo non è altro che la condivisione della Parola. Per definire  la quale potremmo usare l’espressione “fractio verbi”.

    La condivisione della Parola genera comunione: Una comunione che non è frutto di sapienza umana, di intese umane, ma è frutto della Parola, attraverso la quale il Signore ci mette insieme, accomuna, le ga intreccia, annoda fra loro le nostre vite. Le relazioni che nascono dall’ascolto della Parola sono estremamente forti e significative. Perché? Perché in quanto generate dal sacramento della Parola sono delle relazioni “sacramentali”. L’altro diviene necessario: “Io non posso ascoltare la Parola da solo: ho bisogno di te. Tu hai bisogno di me: Abbiamo bisogno di essere comunità-Chiesa”.

    La condivisione della Parola generando relazioni di condivisione e di comunione, porta alla condivisione della vita. Se colui che con me condivide la Parola è segno vivo della presenza del Signore che parla, se io lo sono per lui, possiamo allora non mettere in comune la vita e i beni? E’ una comunione che nasce spontanea, dalla gioia dell’amore. E’ evidente: attraverso l’esperienza della sacramentalità della relazione ecclesiale passa la libertà dell’amore.

    Come chiameremo la condivisione della vita che scaturisce dalla “fractio verbi”? La chiameremo “fractio vitae”.

    La successione allora delle fasi dell’ascolto si presenta così:

    –     “datio verbi”: l’annuncio della Parola

    –     “redditio verbi”: la risonanza della Parola annunciata nelle nostre coscienza

    –     “fractio verbi”: la condivisione delle nostre risonanze

    –     “fractio vitae”: la condivisione della vita attorno alla Parola

    Solo a questo punto è ragionevole che la “fractio vitae” trovi la sua piena esplicitazione nel gesto della “fractio panis”: Luca, nella gerarchia delle “quattro fedeltà” della comunità primitiva colloca la frazione del pane al terzo posto, dopo l’insegnamento degli apostoli e l’unione fraterna.

    La tradizione cristiana definisce la frazione del pane “fons et culmen vitae christianae”: “culmen” in quanto celebra la comunione fraterna già attuale; “fons” in quanto, nella sua forza sacramentale genera ed incrementa la comunione che celebra.

    Come viviamo la “fractio panis”? Essa è segno vivo che attesta da una parte la consegna che il Signore fa di sé all’umanità, dall’altra la nostra disponibilità ad accogliere e condividere il dono di questa comunione. Una comunione che abbraccia la nostra relazione con Dio e con i nostri fratelli.

    Ora nelle nostre celebrazioni queste dimensioni sono altrettanto presenti? Non è forse che la liturgia eucaristica si presenti troppo spesso come una comunione cultuale, un rito in cui si celebra la comunione mistica fra Dio e l’uomo, e la comunione fraterna si intraveda appena? DA che cosa dipende questo? Stando a quanto detto ciò accade perché la “fractio panis” non è preceduta adeguatamente dalla “fractio verbi”. Come può una comunità spezzare il pane se prima non ha realmente spezzato la vita e come può spezzare la vita se non alla luce e nella forza della parola? Togliendo la condivisione della Parola togliamo vigore, significato, efficacia alla condivisione della vita e del Pane.

    Il Signore, fedele al suo popolo, continua a consegnarsi a noi, attraverso il pane della Parola e i segni del pane e del vino. Ma noi alla mensa della parola mangiamo poco o niente. Saltando la mensa della Parola non coltiviamo più nel Signore le relazioni fra di noi, non celebriamo adeguatamente la comunione fraterna e finiamo, senza accorgercene con lo scavalcare tutte le questioni inerenti alla nostra fraternità.

    Per Luca dunque è dall’ascolto della Parola che discende l’unione fraterna, ed è dall’unione fraterna che discende un’autentica “fractio panis”. Nell’ambito poi della “fractio panis” si svolge la preghiera. Queste “quattro fedeltà” costituiscono le tappe del processo che gradualmente aggrega e struttura la comunità primitiva.

    La carenza della condivisione della Parola rispecchia il progetto del Signore? La liturgia della Parola nell’eucarestia non ha forse assunto forse connotati solo rituali e quindi riduttivi? E questo non viene forse ad offuscare la vitalità e concretezza della celebrazione?

    Dove e come e quando l’assemblea è protagonista della preghiera liturgica? Se il principio della partecipazione del popolo alla celebrazione è uno dei sunti fondamentali riscoperti dal Concilio Vaticano II  da dove cominciare? E’ ovvio dalla liturgia della Parola. Invece generalmente è proprio qui che l’assemblea viene tagliata fuori. A volte si percepisce l’idea che l’assemblea sia protagonista nella misura in cui partecipa al ruolo del presbitero. Non è questa la strada. All’assemblea compete il suo ruolo e la sua partecipazione si attua anzitutto e prevalentemente nell’ambito della liturgia della Parola. E’ l’ascolto della Parola il luogo originario della comunione fra il presbitero e l’assemblea, fra l’assemblea e il presbitero, che si celebra poi attraverso la “fractio panis”.

    Ma sottolineamo: il problema non è se introdurre l’omelia partecipata o no. Il problema che sta a fondo è che l’assemblea sia preparata all’ascolto della Parola, sia esperta della “fractio panis”. L’omelia partecipata può essere un punto di arrivo non di partenza.

    L’assemblea deve essere educata prima e fuori della liturgia eucaristica.

    La riscoperta della centralità della Parola, e della Parola condivisa porta alla riscoperta del “dies dominici”, il giorno nel quale la comunità si raccoglie per ascoltare e celebrare il Signore.

    Se oggi nella nostra gente l’adempimento del precetto vissuto è spesso vissuto con pesantezza, o addirittura tralasciato, non è forse dovuto al fatto che la “fractio panis” ha perduto per essi la valenza di memoriale della passione e morte del Signore? E ciò è avvenuto perché è venuta meno la “fractio verbi” che doveva illustrare il significato di quel pane.

    Tirando le conclusioni di quanto accennato possiamo dire: affinché possiamo ritrovare la nostra identità di comunità religiosa è necessario che ritroviamo la nostra identità di comunità ecclesiale: ma l’identità ecclesiale dipende dall’ascolto della Parola.

    Quando la prima comunità è divenuta comunità di ascolto della Parola? Fu l’esperienza dei “cinquanta giorni” nel cenacolo nell’attesa dell’adempimento della promessa.

     

     

    Piste di riflessione

    ∑    Nelle nostre comunità si avverte l’urgenza di riscoprire al di là di programmazioni, progetti, finalità… un perno solido in cui riscoprire la nostra identità cristiana, religiosa, sacerdotale, in modo da risolvere quel disorientamento che attanaglia e rischia di bloccare tutti e tutto? Condividi  l’importanza e la centralità dell’ascolto della Parola come forza convocante e aggregante della comunità neotestamentaria, e che questa possa dirsi comunità evangelica solo nella misura in cui in essa l’ascolto abbia il primato?

    ∑    Come la tua comunità vive l’ascolto della Parola? Cosa sinora avete attuato in questa direzione? Puoi dire che questo ascolto abbia il primato su tutto, ovvero che tutto (apostolato, scelte comunitarie…) scaturisce da esso?

    ∑    Cosa concretamente suggerisci perché le comunità della nostra Provincia divengano sempre più comunità evangeliche fondate sull’ascolto della Parola ?

    ∑    In quale misura nelle nostre comunità si attua il circuito della condivisione della Parola “traditio e redditio verbi”?  Ne senti la necessità? Oppure ritieni che una comunità possa costruirsi su altri fondamenti?

    ∑    La funzione profetica a chi compete? Essa è presente nelle nostre comunità e  nella nostra provincia?

    ∑     Cosa proporresti concretamente affinchè le nostre relazioni trovino fondamento, origine, consistenza e significato a partire dalla condivisione del sacramento della Parola?

    ∑    La condivisione della vita trova il suo fondamento nella condivisione della parola. Ed è da queste due condivisioni che assume “spessore” la condivisione del pane nell’eucarestia. In quale misura nella tua comunità si condivide la Parola in vista della condivisione del Pane? Hai l’impressione che l’Eucarestia si riduca a solo gesto cultuale, che però non esprime efficacemente la comunione  tra i membri della comunità? Un gesto sacro che però scavalca le questioni inerenti alla vita fraterna?

    ∑    Cosa suggeriresti concretamente? Cosa occorrerebbe modificare?

    ∑    Nelle nostre celebrazioni avverti che è la nostra vita ad essere condivisa e spezzata alla luce della parola e nel segno vivo del pane?

    ∑     L’affermazione secondo cui per ritrovare la nostra identità di comunità religiosa è necessario riscoprire la nostra identità ecclesiale ti trova d’accordo? Quali conseguenze concrete comporterebbe l’accettare questo assunto?

     

    Posted by attilio @ 10:59

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