• 27 Ago

    La ricetta del Regno:
    pochi semi di senapa e un po’ di lievito

    Lectio di Mt 13,31-33

     

     

    di p. Attilio Franco Fabris

    Il piccolo Giacomino, protagonista della fiaba “Il fagiolo magico” di Richard Walker, mentre era in cammino verso la fiera del paese scambiò con uno sconosciuto l’unica grossa mucca della madre con un… insignificante e piccolo fagiolo. Tornato a casa…beh! la mamma non ne fu affatto contenta, e il bambino ricevette dalla mamma solo botte e un sentirsi mandare subito a letto senza cena, cosa che fece a malincuore ma solo dopo aver seminato di nascosto il misterioso piccolo fagiolo. Quale stupore quando al mattino madre e figlio videro che l’insignificante piccolo seme era divenuto un’altissima pianta che permise a Giacomino di scalare il cielo fino alle nuvole dove trovò un grande palazzo con grandi ricchezze che fece la loro felicità per sempre.

    Solo agli occhi del piccolo Giacomino il piccolo fagiolo poteva valere più di una grossa mucca! Ma “i grandi”, lo sappiamo bene, hanno a proposito criteri di misura diversi, sono impossibilitati a scorgere i misteri racchiusi nell’arcano e banale fagiolo. I grandi sono abbagliati dalle cose grosse, e più sono smisurate più ad essi piacciono.

    Non è dello stesso avviso Gesù che nel vangelo benedice il Padre perché ai suoi discepoli se si faranno piccoli sarà dato di introdursi alle strane prospettive di valutazione del Regno così simili a quelle del piccolo Giacomino: In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25).

    Solo ciò che è piccolo può essere offerto e non imposto, solo ciò che è povero può essere accolto o rifiutato in tutta libertà, solo ciò che è insignificante può essere riconosciuto come dono d’amore e accolto con gioia. Il Verbo onnipotente di Dio non si è presentato al mondo nella potenza della sua gloria divina, ha scelto invece per amore la strada della piccolezza, della povertà, dell’insignificanza per annunciare il Regno: si è fatto piccolo come un bambino, ha scelto per compagni un gruppetto di gente che non contava, è morto sconfitto. Sepolto nella terra, come un pizzico di lievito nella pasta. E questo perché tutto fosse posto sotto l’insegna del dono che si offre nella gratuità più grande. Vieni o Spirito santo, donaci occhi e cuore di bambini, come quelli di Gesù che si è fatto il più piccolo di tutti noi, affinché possiamo scorgere in lui la presenza feconda del Regno nella sua Chiesa spesso umiliata, e in tutte quelle piccole realtà che pur non facendo rumore e non imponendosi con la forza, i sondaggi e la pubblicità, seminano nel silenzio e nel nascondimento piccoli semi di fede, speranza e carità nei solchi di questa nostra storia così spesso incantata solo da ciò che più appare e grida più forte. E fa’ o Spirito santo che questa umile semina sia accompagnata in noi dalla grande speranza che il tuo Regno avanza nella storia e la conquista con la forza dell’amore!

     Lectio

     Le parabole evangeliche che parlano del Regno di Dio sono state pronunciate da Gesù in un contesto di precise attese messianiche da parte del popolo giudaico. Queste attese avevano come comun denominatore il presupposto che il regno di Dio si sarebbe manifestato con gloria e potenza, e che esso avrebbe soprattutto conciso con il giudizio e la separazione definitiva dei buoni dai cattivi, del bene dal male, ovvero con il trionfo definitivo di JHWH su tutti i popoli della terra e su ogni forma di ingiustizia e di male. Di questo tipo di attesa è testimone anche Giovanni il Battezzatore con la sua violenta predicazione profetica di stile apocalittico (cfr Mt 3, 10ss).

    Ma sia la predicazione di Gesù che le sue scelte di vita furono per tutti coloro che vedevano e speravano in lui l’atteso “messia” furono una doccia fredda: in lui non è presente nessuna aspirazione alla gloria, né alla potenza di nessun tipo, non opera alcun giudizio di separazione nei confronti dei peccatori e dei “lontani”: anzi sembra preferirli agli osservanti e ligi farisei.  Il Regno che Gesù annuncia sin dall’inizio della sua predicazione e che costituisce il suo nocciolo delude e scandalizza i più. Tra questi anche il Battista rinchiuso in attesa di giudizio nel carcere del Macheronte (cfr Lc 7,19; 24,21).

    Ma come Gesù contempla e annuncia il mistero del Regno di Dio? Il Regno, ovvero la signoria di Dio nel mondo per lui è realtà già presente nella storia. E così che egli apre la sua predicazione:Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino” (Mc 1,15)   Ma lo è con caratteristiche che non corrispondono alle attese umane: il Regno, presente in  Gesù stesso, è presenza umile, piccola, che si propone e non si impone, solo i piccoli sono abilitati a riconoscerla e ad accoglierla (cfr Lc 9,48). I grandi invece sono ciechi e sordi perché ricercano il regno di Dio altrove, secondo i loro criteri di giudizio e di misurazione (cfr Mt 13,15)!

     Nel vangelo di Matteo troviamo una serie di brevi parabole con le quali Gesù offre ai suoi ascoltatori una profonda catechesi sulla realtà e le modalità di presenza e di azione del Regno di Dio. Tra queste troviamo le due similitudini del granellino di senape e del lievito nella pasta (13,33-35).

    Gesù paragona la presenza del Regno di Dio nel mondo al seme di senape che è ancor più piccolo di una capocchia di spillo, ma che, cresciuto può diventare una pianta alta più di quattro metri. In Matteo troviamo due piccole differenze che lo contraddistinguono degli altri due sinottici. La prima è che il granello di senape non è seminato dal contadino in una generica “terra” ma “nel suo campo”. Per Matteo il mondo è il campo di Dio in cui viene seminato il piccolo granello del Regno e dove è destinato a crescere. La seconda differenza è che gli uccelli del cielo non vengono solo a rifugiarsi all’ombra dei rami dell’albero ormai cresciuto, ma anche a “nidificare” su di essi trovando l’ambiente ideale dove vivere e crescere nella benedizione di Dio. Questi uccelli forse rappresentano tutti i popoli della terra che Isaia vede radunarsi nei tempi messianici nella città santa (cfr Is 63) e che ora convergono nella Chiesa nuova Sion. Questa immagine dell’albero su cui si rifugiano svariati uccelli probabilmente è ripresa da Ez 17,22-23: “Così parla il Signore Dio: io prenderò dalla cima del grande cedro un tenero ramoscello… Io stesso lo pianterò su un monte alto ed eminente. Lo pianterò sull’alto monte di Israele ed emetterà fronde e produrrà frutti; diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui prenderà dimora ogni specie di uccelli; ogni specie di volatili riposerà all’ombra dei suoi rami”.

    Il centro di attenzione della parabola è tutto rivolto al seme, alla sua apparente insignificanza iniziale e successivamente alla straordinaria grandezza della pianta che da esso si sviluppa (“il più piccoloil più grande”). Ma occorre fare attenzione al fatto che il Regno non è rappresentato dalla piccolezza del seme bensì dalla storia del seme, dal suo inaspettato sviluppo. Il risultato finale fa comprendere il valore, l’energia che il piccolissimo seme già nascostamente possiede in se stesso fin dal suo inizio. Il contrasto operato dalla parabola tra l’inizio e il finale non implica assolutamente una “rottura”, o una “sostituzione” tra seme e albero, c’è una continuità. Gesù non vuole consolare i discepoli per l’esperienza che fanno di essere pochi, in minoranza,  promettendo un futuro di gloria nel quale la sorte si capovolgerà. Non è questo il suo messaggio, bensì quello di aiutarci ad accogliere senza scandalizzarci la piccolezza del seme nella certezza che esso contiene già in sé, anche se nascosta, tutta la fecondità e la forza dirompente del Regno di Dio. Gesù stesso sperimenterà sulla croce, nella sua carne, questa estrema debolezza e piccolezza. Allora l’albero che cresce a dismisura sarà quello della croce di cui i frutti sono la grazia e la misericordia di Dio per il mondo intero..

    Ma veniamo alla seconda similitudine. Una buona massaia mischia alla sua pasta un po’ di lievito perché tutta essa possa per poi farne del pane fragrante. In genere il lievito nel nuovo testamento ha una valenza negativa in quanto è impuro non essendo altro che farina imputridita: così basta un po’ di male per rovinare una grande quantità di bene (cfr 1Cor 5,7-8; Gal 5,7-10; Mt 16,6-12).  Ma qui l’immagine è rovesciata: anche il bene, benché possa sembrare “poco” e insignificante, anzi addirittura nascosto, è estremamente contagioso.

    Il verbo usato per descrivere l’azione della donna è “nascondere”. Il lievito è nascosto all’occhio ansioso che vorrebbe vederne subito i risultati, ovvero la presenza del Regno è nascosta, velata all’occhio desideroso di chi vorrebbero subito vederlo “qui o là”: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!” (Lc 17,21).  Il racconto contiene in sé anche un aspetto paradossale: la nostra buona massaia impasta con un po’ di lievito “tre staie” di farina che equivalgono a ben quaranta chili. Nessuna donna ne impasterebbe tanta! E per farla lievitare non basterebbe certamente un pizzico di lievito! Ma il paradosso è appositamente voluto perché ha valore teologico non… ricettario. Lo stupore è dato proprio dal fatto che una misura tanto piccola di lievito possa provocare una reazione tanto grande. Ma anche qui l’immagine di una lievitazione così smisurata non va letta come fosse una promessa di una progressiva e totale “cristianizzazione” del mondo. In questo senso il messaggio non è diverso dalla similitudine del “sale” (cfr Mt 5,13) e della “luce” (cfr Mt 5,14): non è volontà di Dio che il mondo diventi d’un colpo un’enorme saliera o una grande lampadina! Ancora una volta non si tratta di un discorso consolatorio consegnato ad un gruppo sparuto che ha bisogno di essere incoraggiato. La finalità del discorso di Gesù è di rivelazione, prima che essere una esortazione di tipo  morale e dunque il messaggio della parabola vuole semplicemente esprimere quale debba essere la funzione del Regno nel mondo e la modalità attraverso la quale esso deve agire.  Una rivelazione che ricorda alla Chiesa che in germe il regno di Dio è già presente in lei nella storia, perché in essa è sempre presente il Cristo suo sposo. Sant’Ambrogio afferma: “Ubi Christus ibi Regnum” dove è Cristo lì c’è il Regno. Di conseguenza anche la sposa deve accettare la modalità evangelica dell’instaurarsi del Regno che passa attraverso la fecondità nascosta del mistero pasquale: “In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).

    Dalle due similitudini la piccola comunità dei discepoli apprende la lezione fondamentale che l’aiuterà lungo la storia ad evitare due pericoli: quello di identificare sin d’ora se stessa con il Regno come fosse già totalmente presente e quella opposto del sentirsi totalmente estranea, quasi rassegnata dinanzi al mondo, perché in attesa di un Regno che non c’è ancora. Ogni comunità, per quanto piccola e povera essa sia, deve apprendere a vivere in una vitale tensione tra un “già e un non ancora” che le permetta sia di guardare alla meta come anche di testimoniare sin d’ora il Regno: è questa in fin dei conti la valenza della Chiesa, la sua immensa dignità e bellezza, ovvero l’essere “sacramentum Regni”, segno efficace della presenza del regno di Dio nel mondo.

     Meditatio

     L’immagine del piccolissimo seme di senapa e del lievito nascosto non corrisponde certamente all’immagine che anche noi ci aspetteremmo e desidereremmo del Regno di Dio. Un po’ infettati dai virus mondani e non evangelici anche noi, come gli apostoli sul monte degli ulivi al momento dell’ascensione, domandiamo ogni tanto al Signore: “E’ questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?” (At 1,6). Facciamo fatica ad accogliere la piccolezza e marginalità della nostra presenza nel mondo sempre più simile a un granello di senapa o a un pizzico di lievito: vorremmo inorgoglirci vedendo fin d’ora la forza e la verità del vangelo trionfare ed ergersi come un immenso albero sul mondo e che testimoni il Regno di Dio. Con impeto ed entusiasmo quante volte abbiamo cantato a squarciagola: Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat? Certamento Cristo  ha vinto e ora regna e regge l’universo intero ma non con i nostri parametri. Il motto della Certosa è illuminante: “Stat crux dum volvitur orbis”. Nello stemma c’è un albero che sovrasta le mutevoli vicende del mondo, ma quest’albero radicato nella roccia è la croce! La grandezza del regno è la marginalità e il nascondimento della croce che sconvolge il nostro criterio di misurazione: il più grande nel Regno è colui che si fa il più piccolo di tutti (cfr Lc 9,48; 22,26s).

    La pedagogia di Dio sta facendo percorrere alla Chiesa, alle singole chiese e nostre comunità, una strada diversa da quella che vorremmo, anzi si direbbe che ci sta obbligando ad un’impressionante retromarcia: non solo non cresciamo, ma… diminuiamo sempre più! Nella nostra vecchia e ormai ex-cristiana Europa stiamo divenendo minoranza, in altre parte del mondo non solo i cristiani non trionfano ma sono addirittura perseguitati. I nostri numeri si assottigliano, le chiese e i conventi si svuotano. Cosa provoca in noi tutto questo? Un senso di fallimento, amarezza, rassegnazione, rabbia?

    Siamo chiamati a interpretare questa situazione non solo con immediati criteri statistici e sociologici ma con uno sguardo di fede che cerca di cogliere, attraverso la luce del mistero pasquale, il disegno che Dio sta scrivendo per noi e con noi nella storia. Questo sguardo di fede è ben diverso dai criteri “mondani” contrassegnati dal numero, dalla misura dell’impatto sociale, dal successo, dal riconoscimento: esso usa come metro la croce non l’auditel!

    Il disegno del Padre, già a partire dalla scelta di Abramo e del piccolo popolo di Israele (cfr Is 41,14) si dipana lungo la storia sotto il segno della piccolezza e della marginalità. A Gedeone in cammino con un grande esercito per andare in battaglia contro i nemici di Israele è chiesto da parte del Signore di assottigliare all’inverosimile le fila dell’esercito, perché sia chiaro che la vittoria appartiene a Dio e non alla bravura tattica dell’uomo (cfr Gdc 7): questa è la via percorsa da Dio stesso nel mistero dell’incarnazione del Figlio, dove egli stesso entrando nel mondo si fa piccolo e nascosto agli occhi dei grandi, si incarna al margine di un impero colmo di gloria. Così deve essere la strada che deve percorrere la sua sposa, la Chiesa posta nel mondo come “sacramento del regno”, sempre tentata dall’occhiolino di presunti amanti che le promettono gloria e potenza in questo mondo.

    Dio ci vuole marginali perché si manifesti in noi la sua forza (cfr 2Cor 11,30), ci vuole piccoli perché il suo dono sia accolto nella libertà e non imposto dalla forza, ci chiede infine di essere poveri perché le forze del male continuamente assalgono e contrattaccano all’inverosimile il Regno che Dio sta edificando nel mondo. È per questo “mistero della piccolezza” del Regno che Gesù afferma che esso è rivelato solo ai piccoli (cfr Mt 11,25-26). Perché esso è fatto a loro misura!Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio” (Lc 6,20).

    Le due brevi parabole ci insegnano dunque ad avere uno sguardo diverso sulla storia e sul nostro collocarci in essa. Sono un invito da parte dello Spirito a non puntare come criterio di discernimento su misure di “grandezza” umane, ma ad apprendere ad essere nel mondo semplicemente rimando-segno-sacramento del Regno che  con tutta la sua energia nascosta come linfa già percorre le vene della storia.  Gesù invita la nostra comunità a far propria la speranza del contadino che ha seminato e deve superare l’impazienza di voler vedere subito i frutti:Diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa” (Mc 4,26s).  È già regno di Dio la nostra testimonianza dell’evangelo: il nostro annuncio della buona notizia, è già regno di Dio il nostro gesto di amore anche se non è vesto da nessuno, il nostro perdono, la parola di speranza, il nostro stare accanto all’ultimo magari in silenzio. E’ già regno di Dio il nostro lavoro quotidiano nascosto e umile fatto con un cuore grande e generoso per la gloria di Dio e il bene dei nostri fratelli. È Regno di Dio lo stare in preghiera davanti al Signore facendoci lode e intercessione per il mondo intero. Con tutto ciò la Chiesa “di questo Regno costituisce in terra il germe e l’inizio” (LG 3).

     Vinceremo in questa luce la tentazione di leggere la nostra attuale insignificanza e marginalità come luoghi di fallimento e frustrazione, ma la vivremo come situazione nella quale ci è dato di condividere la stessa modalità dell’evangelo che è annunciato ai piccoli e ai poveri (cfr Lc 6,20). Questa strada, anche se faticosa, ci permette di essere liberati dai nostri deliri di grandezza e di protagonismo, facendoci toccare con mano che l’amore basta: un amore che nello stile di Dio si fa piccolo e nascosto, non ha paura di perdere, che si pone a servizio del mondo senza voler mai prevaricare.

    Gesù guardando la sua piccola comunità ne può così riconoscere l’intrinseca bellezza e il destino di gloria: “Non temere piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12,32). Gesù ci invita a superare le nostre paure che derivano dal prender atto della nostra insignificanza, della immensa sproporzione tra ciò che siamo e la missione che ci è data da svolgere, delle forze del male che ci ostacolano: “Non temere! Perché Io ho vinto il mondo!” (cfr Gv 16,33).

    Il pensiero va ad un grande testimone del vangelo del nostro tempo: p. Charles de Foucauld. Il suo cammino è stato contrassegnato da una sempre più grande accettazione di sprofondare nella più grande marginalità così vicina ad un apparente fallimento. Voleva fondare una nuova famiglia religiosa: non ebbe nessun discepolo in vita, voleva testimoniare il vangelo fra le tribù dei tuareg e non convertì nessuno. Eppure la sua figura rifulge ora di una grandezza e fecondità straordinarie. La sua esistenza piccola come un granello di senape e nascosta come lievito nella farina del deserto del Saahaar ha dato e sta dando immensi frutti per il Regno.  Tra le sabbie del deserto così simili alla farina del vangelo scriveva: “Silenziosamente, segretamente come Gesù a Nazaret, oscuramente come lui, passare sconosciuto sulla terra come un viaggiatore nella notte…poveramente, laboriosamente… disarmato e muto…senza fare resistenza, imitando in tutto Gesù a Nazaret e Gesù sulla croce”.

     Oratio

     Mi domando, Signore, se ho cercato la perfezione in modo abbastanza puro.
    Ah! Avrei dovuto ornarmene, adornarmene…
    Essere per gli altri, per me, un santo.
    Occorre che io rinunci a tutto questo.
    E che ammetta, semplicemente, una buona volta, di essere soltanto, quello che sono.
    Forse, Signore, è proprio questo che tu chiami “diventare come fanciulli”.
    Accettarsi con la stessa semplicità di cuore
    con cui tu ci hai accettato tutti siamo quel che siamo.
    Accettare di essere, semplicemente,quelli per cui tu sei venuto:
    peccatori per i quali la Buona Notizia è proprio buona.
    Più buona di quanto non si dica. (Lucien Jerphagnon)

    Posted by attilio @ 15:57

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