• 17 Mag

    NICODEMO: ovvero la fatica del dialogo
    Giovanni: 3,1-21


    a cura di p. Attilio Franco Fabris


    L’incontro con Nicodemo ha molti  aspetti che ricordano l’incontro con il giovane ricco.

    Anche qui l’iniziativa parte da Nicodemo desideroso di interrogare Gesù, per capire, comprendere di più.

    Nicodemo è un fariseo, uno dei capi, uno stretto osservante della Legge. Probabilmente un membro del sinedrio. Dunque un “maestro d’Israele”. Egli è colpito non tanto dall’insegnamento di Gesù, quanto dai “segni” che gli compie che lo spingono a porsi degli interrogativi su Gesù, che lo discostano dalla linea ufficiale adottata da quella del suo partito fatta di rifiuto e di ostruzionismo. Come tutti gli altri è sicuramente condizionato da una concezione terrena e politica del Messia.

    Egli va da Gesù di notte. Un particolare che rivela molto dell’atteggiamento, del carattere e delle preoccupazioni di Nicodemo.

    Noi sappiamo come Giovanni usa molto la simbologia del contrasto: luce-tenebre, giorno-notte, spirito-carne… per sottolineare alcuni elementi non solo psicologici ma anche spirituali. Ad es. Giuda quando decide di tradire di Gesù esce dal cenacolo: “Ed era notte”. Anche nel prologo al suo vangelo troviamo espressamente la lotta tra le tenebre e la luce che è da esse rifiutata. Vi potrebbe essere tuttavia un rimando al fatto che la notte era considerata dai rabbini il tempo più opportuno per dedicarsi allo studio della Thoràh.

    In fin dei conti si vuole dire che Nicodemo non ha fatto ancora nessuna scelta. Non si è posto dinanzi ad un’alternativa. Egli vuole anzitutto capire.  Vuole vedere se è possibile conciliare un dialogo con Gesù pur non compromettendosi e sblilanciandosi pubblicamente. Non si mai…: “Rabbi, sappiamo che…”.  ben diverso fu l’atteggiamento di Zaccheo.

    Nicodemo è ancora troppo preoccupato di sé, è soprattutto attento alle sue domande: vuole avere prima delle certezze. Si avvicina sì, ma di notte…

    In un certo senso Gesù lo aggredisce. Gesù comprende che il dialogo con Nicodemo è possibile solo nella misura in cui egli  si lascerà scalfire le sue certezze teologiche. Ancora una volta Gesù non rifiuta un incontro ambiguo: è venuto per tutti perché tutti siano salvi.

    Usa gli stessi strumenti di Nicodemo: lo invita a guardare, a vedere: se non riesce a vedere in quello che dice e fa la “diversità” con quella ha visto e sentito dai profeti che lo hanno preceduto non c’è niente da fare. Occorre rinascere: questa è la condizione per entrare nel Regno che egli sta aspettando. E questa nuova nascita avviene solo nella fede in lui: “chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio” (1 Gv 5,1).

    Gesù vuole aprirgli lo sguardo su una realtà nuova, a lui che è immerso talmente nei problemi teologici da divenire incapace di scoprire il regno nella vita che gli sta intorno. La vita non si identifica con l’osservanza delle leggi, che per l’ebreo potevano rigenerare l’uomo, ma con la Sapienza divina che scruta in profondità la “verità” di ogni cosa. Occorre lo Spirito che è vita e che apre a risposte nuove, sconosciute, imprevedibili: la pienezza consiste nel vivere non solo come Dio vuole ma nel vivere la stessa vita di Dio.

    Nicodemo viene strappato alle sue sicurezze farisaiche per essere rimandato all’esperienza dell’Esodo: la rinascita nello Spirito scaturisce dal costato di Cristo innalzato sulla croce. Gesù gli domanda di lasciare le tenebre e di “venire alla luce” (v 21).

    Ma il dialogo non decolla: “Come può accadere ciò?”.  Che risonanza avranno avuto in lui le parole di Gesù?

    Ritroveremo Nicodemo al momento della sepoltura di Gesù, accanto a Giuseppe d’Arimatea. Lo immaginiamo turbato, ancora perplesso. Non riesce a fare il passo: non sarà né discepolo né apostolo.

    Gesù non ha insistito. Ha rispettato, con il pianto nel cuore, la sua libertà.

    Nicodemo è tornato a cercare, lui “maestro”, altrove: probabilmente ancora nelle leggi che sono precetti di uomini.

    CONFRONTANDOMI

    Sono messo dinanzi ad una verità: la realizzazione della mia vita non dipende anzitutto dai miei sforzi ma dalla mia docilità all’asacolto della Parola viva che mi trasforma.

    Si tratta di fare lo sforzo per rendersi disponibili all’azione rigenerante dello Spirito di Gesù.

    Gesù mi sta chiedendo, e in un certo senso costringendo, ad andare con la mia fede ad una profondità ancora più grande, che va al di là delle mie possibilità. A non accontentarmi del già visto, sentito, vissuto: egli mi vuole aprire alla novità: “Ecco io faccio nuove tutte le cose”. E’ la vita stessa che nel suo evolversi mi chiede questa docilità e apertura in avanti: in fin dei conti essa si spiega solo con una chiamata; e solo in una mia risposta di adesione totale essa può svolgersi, svilupparsi in tutta la sua pienezza. Io sarò quello che Dio mi farà se mi lascerò fare da lui. E solo così vivrò al massimo tutte le mie potenzialità e possibilità: ciò significa accogliere l’invito a “rinascere” continuamente e nuovamente e dall’alto.

    In altre parole si tratta di percorrere una strada che mi consenta di piegare me stesso, tutto ciò che in me di intelligenza, affettività, volontà, si oppone alla novità di Dio.

    Se avviene ciò si apre dinanzi a me una spazio straordinario: l’apertura alla verità di Dio e alla sua vita che riempie di senso e mi apre al dono.

    Come non pregare il salmo 138: Signore tu mi scruti e mi conosci…”?.

    L’episodio di Nicodemo mi fa comprendere come sia solo Dio colui che fa rinascere e crescere con il dono dello Spirito donatomi dal Figlio.

    DI CONSEGUENZA

    Mi pongo dinanzi allo Spirito che mi abita e nel quale sono stato rigenerato. Lo Spirito di vita che mi apre alla sorgente del vero, del buono e del bello.

    1.       Essere docili alla sua azione: lasciare che il vasaio crei un’opera d’arte dalla creta con le sue mani: cosa comporta questa docilità, dove si concretizza?

    2:       Lo Spirito è novità di vita: guardo al mio vissuto. Posso dire di essere aperto a questa novità. Capace di accogliere ciò che mi viene offerto come dono di Dio per la mia crescita anche se questo comporta un distacco e un cambiamento.

    3.       Prendere coscienza del dono dello Spirito fattomi nel battesimo, nella confermazione, (nell’ordinazione). Come ricomprendere la mia iniziazione cristiana?

    Quali strumenti utilizzare per giungere a questo scopo?

    4.       Vivere un’etica battesimale: cosa comporta? Provo a dare una definizione e una serie di caratteristiche in ordine di importanza.

    Posted by attilio @ 10:21

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