• 06 Mag

    GLI  IDOLI  E  L’IMMAGINE

    Es 32

     

    a cura di p. Attilio Franco Fabris

     

    La corretta restaurazione dell’immagine di  Dio inizia, nell’AT, con l’accogliere tramite la Thorà due misure proibitive:

    1.       Il popolo di Israele non deve riconoscere nessun’altra autorità se non quella di Dio (cfr. il primo comandamento del Decalogo).

    2.       Non deve farsi nessuna immagine di Dio (cfr. il secondo comandamento del Decalogo):

    Es 20,4-6: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi”;

    Dt 5,8-10: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù in cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a quelle cose e non le servirai. Perché io il Signore tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano, ma usa misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti”.

    Con questi due divieti Dio può ricreare le condizioni in cui poter rimodellare la sua vera immagine nell’uomo.

    Mascherare o esprimere Dio

    Non ci si deve creare nessuna immagine, nessun idolo perché attraverso l’idolo l’uomo tenta di mascherare quel viso che è fuoco divoratore e di cui sente timore:

    Es 24,17 “La Gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna”.

    Dt 4,24: “Poiché il Signore tuo Dio è fuoco divoratore, un Dio geloso”.

    Dt 9,3: “Sappi dunque oggi che il Signore tuo Dio passerà davanti a te come fuoco divoratore, li distruggerà e li abbatterà davanti a te; tu li scaccerai e li farai perire in fretta, come il Signore ti ha detto”(cf Ebr 12,29).

    L’idolo non è una caricatura: esso infatti utilizza ciò che è più sublime e perfetto: non è forse legittimo che l’uomo, desideroso di vedere il volto di Dio, tenti di decifrare nella lettera della creazione l’immagine del creatore?

    Specchio deformante

    Ma l’uomo, fuggito dalle mani di Dio, non può coltivare questa “pretesa”, essa era forse possibile prima del peccato, e lo sarà nuovamente dopo la redenzione (cfr. la lotta iconoclasta):

    Ma anche se non vi è nessun desiderio di caricaturare il mistero, tuttavia le intuizioni non possono più offrire all’uomo un’adeguata immagine di Dio.

    Si Proibisce perciò ogni immagine:

    Dt 4,15-20: “Poiché dunque non vedeste alcuna figura, quando il Signore vi parlò sull’Oreb dal fuoco, state bene in guardia per la vostra vita, 16 perché non vi corrompiate e non vi facciate l’immagine scolpita di qualche idolo, la figura di maschio o femmina, 17 la figura di qualunque animale, la figura di un uccello che vola nei cieli, 18 la figura di una bestia che striscia sul suolo, la figura di un pesce che vive nelle acque sotto la terra; 19 perché, alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna, le stelle, tutto l’esercito del cielo, tu non sia trascinato a prostrarti davanti a quelle cose e a servirle; cose che il Signore tuo Dio ha abbandonato in sorte a tutti i popoli che sono sotto tutti i cieli. 20 Voi invece, il Signore vi ha presi, vi ha fatti uscire dal crogiolo di ferro, dall’Egitto, perché foste un popolo che gli appartenesse, come oggi difatti siete”;

    Is 40,18: “A chi potreste paragonare Dio e quale immagine mettergli a confronto?”.

    Dio in tal modo vuole strappare l’uomo al fascino allucinante di una sua possibile immagine sfigurata.

    Ancor più deve essere salvaguardata una corretta gerarchia: non deve essere l’uomo a voler possedere Dio, ma è Dio che deve prendere l’uomo e a questi tocca la disponibilità a lasciarsi fare da lui.

    Oggetto o soggetto?

    Cos’è l’idolatria? In definitiva è il tentativo di invertire il rapporto Dio-Uomo, un rapporto nel quale l’uomo pretende di divenire soggetto.

    L’uomo deve al contrario riconoscere di trovare la sua origine e fonte in Dio e da Dio: ogni iniziativa è anzitutto sua.

    Ma per l’uomo peccatore riconoscere questo rapporto risulta insopportabile:

    Gn 3,10: “Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”.

    Gb 7,19-20: “Fino a quando da me non toglierai lo sguardo e non mi lascerai inghiottire la saliva? Se ho peccato, che cosa ti ho fatto, o custode dell’uomo? Perché m’hai preso a bersaglio e ti son diventato di peso?”.

    L’uomo peccatore vorrebbe che Dio scomparisse: il volto del Dio vivo brucia, suscita una memoria, una nostalgia ma nello stesso tempo un timore, una paura, un disagio.

    Nel mezzo del mare burrascoso di questo conflitto all’uomo risulta più incoraggiante e meno impegnativo puntare gli occhi sull’idolo che non disturba.

    Ricreare il Creatore

    Così piuttosto che lasciarsi modellare dalle mani di Dio l’uomo sceglie di modellare un Dio a sua immagine.

    Non riconoscendo la propria situazione di creatura, ma sentendo tuttavia che la sua relazione col creatore non può essere abolita, l’uomo tenta di fare del creatore una sublime sua creatura.

    Ed è il peccato del vitello d’oro.

    IL VITELLO D’ORO

    Così il peccato originale del popolo eletto è il suo tentativo di modellare un Dio a somiglianza delle creature.

    Anzitutto un vitello: perché? Certamente esso esprime, nelle culture semitiche, i caratteri essenziali della divinità ovvero potenza e fecondità. Il vitello esprime così un Dio forte e datore di vita.

    Il popolo è entusiasta dell’opera artistica di Aronne il sacerdote, fatta con ciò che vi è di più prezioso (oro) e simbolico di fedeltà (anelli e pendagli):

    Es 32,3-5: “Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò ad Aronne. Egli li ricevette dalle loro mani e li fece fondere in una forma e ne ottenne un vitello di metallo fuso. Allora dissero: «Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto!». Ciò vedendo, Aronne costruì un altare davanti al vitello e proclamò: «Domani sarà festa in onore del Signore”.

    JHWH e Mosè sono ormai da tempo in cima al monte, lontani e inaccessibili (cf Es 24,17-18). Perciò Aronne si sente in dovere di prendere in mano la situazione: propone dunque un oggetto di adorazione che sia immediato, accessibile certamente di più di quella lontana nube tuonante e fiammeggiante.

    Non è apostasia la sua, ma un tentativo di trovare una presa immediata per sostenere l’ansia e la paura.

    L’idolo doveva servire a conservare la memoria del Dio inaccessibile: dunque per il bene del popolo e …di Dio!

    Ma proprio in quel momento Dio irato tronca improvvisamente il discorso con Mosè:

    Es 32,7-10: “Allora il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata! Si son fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: Ecco il tuo Dio, Israele; colui che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto». Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo e ho visto che è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farò una grande nazione”.

    Dio forse ha una crisi di gelosia? Dio forse non riconosce in quel che è accaduto una relazione tra segno e significato?

    Anche gli israeliti certamente riconoscevano nel vitello solo una immagine evocativa, un segano che rimandava ad altro.

    Ma è proprio questa ambiguità dell’immagine che non è tollerata da Dio.

    L’immagine è sempre nello stesso tempo trasparenza e oggetto, materia e velo. Essa può iniziare alla realtà ma può prenderne anche il posto.

    Questo rischia infiamma la gelosia di Dio: egli non accetta e non dà nessuna immagine di sé.

    Rimane un’unica possibilità: che faccia lui stesso sorgere nell’umanità una immagine che non sia distinta da lui, che non sia solo un rimando, ma realtà stessa… sarebbe l’incarnazione.

    Purtroppo vi è la continua tentazione dei “preti” (pontifices) di lanciare dei ponti tra umanità e Dio. Si dimentica che solo Dio può stabilire dei ponti: con Mosè stava avvenendo questo.

    Ma la “passerella” di Aronne è derisoria e ambigua e si chiama “idolo”.

    Sino a che l’uomo non rinuncerà ai suoi vani tentativi Dio non può lanciare il ponte dell’incarnazione. Chiedendo all’uomo la rinuncia a questi vani tentativi Dio lo prepara ad accogliere quello che sarà il lancio del suo ponte. L’incarnazione del Verbo.

    LA CONOSCENZA DI DIO

    Il desiderio di Dio è di modellare lui il cuore dell’uomo a immagine del suo (“Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo…” Ger 31) , in modo che sappia un giorno accogliere la sua vera immagine.

    Dove cogliere dunque una conoscenza di Dio, una sua immagine? Quando i profeti parlano di “conoscenza” di Dio si collocano agli antipodi di ogni forma di gnosticismo.

    Per essi conoscere Dio è praticare la giustizia ed amare la misericordia:

    Mich 6,8: “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio.”

    Questo atteggiamento può creare un “cuore a cuore” con Dio:

    Gr 9,23 “Ma chi vuol gloriarsi si vanti di questo, di avere senno e di conoscere me, perché io sono il Signore che agisce con misericordia, con diritto e con giustizia sulla terra; di queste cose mi compiaccio”.

    Se Dio sembra estraneo, Israele deve ben ricordarsi è che:

    Is 59,1-2 “Ecco non è troppo corta la mano del Signore da non poter salvare; né tanto duro è il suo orecchio, da non poter udire. Ma le vostre iniquità hanno scavato un abisso fra voi e il vostro Dio; i vostri peccati gli hanno fatto nascondere il suo volto così che non vi ascolta”.

    Ecco dove sta l’immagine e il volto (la conoscenza) dell’Altissimo: nella giustizia e nella misericordia:

    Is 58,6-10:“Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!». Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all’affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio”.

    Come non far riecheggiare qui le parole della prima lettera di Giovanni 3,7: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”.

    Ma per arrivare a questa finale rivelazione Dio dovrà impiegare più di mille anni per potersi rivelare. E’ stato necessario un lungo cammino, estenuante, in cui avanzamenti e retrocessioni si sono continuamente alternate ma in cui la fedeltà di Dio non è venuta mai meno. A poco a poco Israele ha potuto mettersi al passo con Dio. Soltanto alla fine L’Altissimo può rivelare la sua identità(cfr. Tb 12,15ss).

    Il “ehejeh asher ehejeh” di Es 3,14 ha detto sin dall’inizio la necessità di un lungo dispiegarsi nel tempo perché si attui la rivelazione dell’identità divina.

    Dio sì, si è dato un nome, JHWH, ma si tratta di un puro appellativo che non richiama nessuna nozione e nessuna immagine. E’ il sacro tetragramma, impronunziabile, assolutamente aperto ad ogni progressiva rivelazione che culminerà nell’ultima frase della preghiera sacerdotale di Gesù: Gv 17,26 “E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro”.

    TEOFANIA IN TRE ATTI

    Una progressiva e triplice rivelazione dell’immagine di Dio:

    La nube ed il fuoco

    La Gloria, per Israele (Kabod da Kabed=pesante), evoca un peso, una realtà incombente e sovrastante alla quale non si può sfuggire:

    Es 19,16-18: “Appunto al terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni, lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di tromba: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore.

    Allora Mosè fece uscire il popolo dall’accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del monte.

    Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto”.

    Solo Mosè può penetrare nella nube e nel fuoco, il popolo deve stare lontano: pena la morte (cf 33,11; Nm 12,6-8; cf Sal 18).

    Nel fuoco e nella nube JHWH non ha forma: vi è solo un “folgorio accecante”: l’uomo non può rappresentarsi Dio.

    L’uomo mell’arcobaleno

    650 anni dopo Ezechiele sulle rive del Chebar ha una visione:

    Ez 1,4-5.22.25-28: “Io guardavo ed ecco un uragano avanzare dal settentrione, una grande nube e un turbinìo di fuoco, che splendeva tutto intorno, e in mezzo si scorgeva come un balenare di elettro incandescente.  Al centro apparve la figura di quattro esseri animati, dei quali questo era l’aspetto: avevano sembianza umana …Al di sopra delle teste degli esseri viventi vi era una specie di firmamento, simile ad un cristallo splendente, disteso sopra le loro teste… Sopra il firmamento che era sulle loro teste apparve come una pietra di zaffiro in forma di trono e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane.  Da ciò che sembrava essere dai fianchi in su, mi apparve splendido come l’elettro e da ciò che sembrava dai fianchi in giù, mi apparve come di fuoco. Era circondato da uno splendore il cui aspetto era simile a quello dell’arcobaleno nelle nubi in un giorno di pioggia. Tale mi apparve l’aspetto della gloria del Signore. Quando la vidi, caddi con la faccia a terra e udii la voce di uno che parlava”.

    Vi troviamo due elementi nuovi:

    1. La figura d’uomo

    2. L’arcobaleno

    A distanza così di anni l’uomo ricomincia ad apparire nella sua somiglianza con Dio. Le varie prove e sofferenze hanno fatto sì che il cuore di Israele si sia purificato ulteriormente.

    L’arcobaleno è segno dell’alleanza (cf Gn 9,12-13).

    La visione di Ezechiele è così promessa di riconciliazione a partire dalla restaurazione dell’immagine divina nell’umanità.

    L’Agnello sgozzato ritto sul trono

    Ancora 650 anni: una nuova visione nell’isola di Patmos.

    Qui vi è un trono su cui siede “qualcuno”, vi è l’arcobaleno, un mare trasparente, quattro animali. Al centro qualcosa di nuovo: un agnello sgozzato e ritto con sette corna e sette occhi:

    Ap 4,2-3 “Subito fui rapito in estasi. Ed ecco, c’era un trono nel cielo, e sul trono uno stava seduto. Colui che stava seduto era simile nell’aspetto a diaspro e cornalina. Un arcobaleno simile a smeraldo avvolgeva il trono.”

    Ap 5,6 “Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato. Egli aveva sette corna e sette occhi”.

    Si tratta di una nuova figura dotata di pienezza di potere e di sapere: ucciso e vivo. E’ degno di lode (5,12); è liberatore (5,9).

    Certamente vi è il richiamo all’agnello muto di Isaia 53,7-8: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;  chi si affligge per la sua sorte? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte”.

    L’agnello è Gesù suppliziato e risorto: il Signore. In Lui non vi più somiglianza (“come”), ma “è” incarnazione: lui è “esegesi del Padre”: “Dio nessuno l’ha mai visto, lui l’unigenito del Padre ce l’ha rivelato” (Gv 1).

    Sono questi tre sondaggi, equidistanti nel tempo, circa la rivelazione della Kabod divina, sondaggi che permettono la decifrazione progressiva dell’autentica immagine di Dio

    TRASFORMATI NELL’IMMAGINE

    Dio ha proibito le immagini perché l’umanità è predestinata a divenire conforme all’immagine del Figlio suo” (Rm 8,29).

    Il fulgore della gloria sarà trasfigurante non più accecante, farà penetrare nella notte oscura della croce e nella luce mattutina e dolce del mattino di pasqua.

    Gesù servo è “veramente Figlio di Dio” e così Dio si è identificato col povero, con l’oppresso, perché lui stesso si è fatto schiavo e servo (Fil 2,6-7).

    Se Dio invitava alla misericordia e alla giustizia è perché il cuore dell’uomo si preparasse ad accogliere lo scandalo dell’incarnazione e della croce: mistero di una giustizia e di una misericordia assolutamente divine.

    L’immagine di  Dio va ricercata agli antipodi della filosofia e dell’estetica e del sacro.

    La proibizione dell’immagine ha lasciato il posto all’icona del Cristo incarnato, umiliato, crocifisso e risorto: è lì che vi è rivelazione piena e definitiva del volto di Dio: “Gli disse Filippo: Signore, mostraci il Padre e ci basta. 9 Gli rispose Gesù: Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre”.

     

    Posted by attilio @ 07:50

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