• 05 Mar

    Dall’aurora io ti cerco

    Lectio del Sal 62

    di p. Attilio Franco Fabris

    Per un desiderio, che venga appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti; inoltre, la brama dura a lungo, le esigenze vanno all’infinito… Nessun oggetto del volere, una volta conseguito, può dare appagamento durevole, che più non muti: bensì rassomiglia soltanto all’elemosina, la quale gettata al mendico prolunga oggi la sua vita per continuare domani il suo tormento. Quindi finché la nostra coscienza è riempita dalla nostra volontà; finché siamo abbandonati alla spinta dei desideri, col suo perenne sperare e temere; finché siamo soggetti del volere, non ci è concessa durevole felicità né riposo”. E’ un brevissimo testo che traggo dal filosofo tedesco Schopenauer (da “Il mondo come volontà e rappresentazione”) che ben si addice ad introdurci alla meditazione del salmo 63. Il nostro filosofo riconosce un’impossibilità nell’uomo di trovare appagamento pieno al suo desiderio che è fatto a misura dell’infinito. Ciò che cerchiamo a volte è solo spesso un’elemosina. Il salmo 63 ci invita ad un balzo straordinario di consapevolezza: il nostro riposo è solo in Dio: lui solo potrà saziare la fame e la sete che albergano sempre insoddisfatti nel profondo di noi stessi. E un salmo che produce vita, tensione, allontanandoci dal grigiore di una religiosità fredda, moralistica. Nei “Racconti dei Chassidim” si narra che il “rabbi Kobryn diceva: Pensa a ciò che Davide dice nel salmo: La mia anima è assetata di te e poi così ti ho cercato nel santuario. Davide prega Dio di concedergli di provare nel luogo santo lo stesso fervore che l’assaliva quando era nel deserto, senz’acqua, esausto. Perché prima Dio pietoso risveglia gli uomini alla santità, ma poi, quando Dio comincia a fare qualcosa, gli ritoglie quanto gli ha dato, affinchè egli agisca da solo e sa solo arrivi ad un pieno risveglio”.


    Lectio

    Vogliamo fermare la nostra contemplazione sul Salmo 63. E’ un salmo che conosciamo molto bene perché la Liturgia delle Ore ce lo propone spesso. Per questo è utile approfondirlo perché l’abitudine della recita, la ripetizione delle stesse parole, non rischi alla lunga di svuotarlo nel suo splendido contenuto.

    Diciamo anzitutto che tra gli esegeti non vi è accordo sul caratterizzare in modo preciso il genere letterario a cui appartiene il nostro salmo: per alcuni è un salmo di fiducia, per altri di ringraziamento o liturgico, per altri ancora un salmo regale. Tuttavia una sua attenta lettura dovrebbe forse portarci a considerarlo fondamentalmente come un salmo di lamentazione individuale, a cui si affiancano gli elementi degli altri generi letterari sovracitati.  L’esegeta tedesco Kraus propone un’interpretazione che ci sembra plausibile: il salmista è perseguitato da nemici (vv. 10.12). Nella prova ardentemente desidera trovare aiuto stando alla presenza di Dio (v. 2). Rifugiatosi perciò nel santuario, sentendosi protetto da JHWH (v 8), il perseguitato sente di aver finalmente raggiunto un sicuro rifugio. Tuttavia il giudizio divino di condanna contro i suoi nemici non è stato ancora pronunziato, ma l’orante, con grande fiducia, vede in anticipo la rovina definitiva dei suoi persecutori. Può dunque innalzare a Dio la sua lode e il suo ringraziamento per la salvezza ricevuta che si augura tutti possano sperimentare. Circa la data di composizione del salmo sembrerebbe da doversi collocare verso il  597 a.C., sul finire dunque della dinastia davidica, poco prima della tragica deportazione a Babilonia.

    Ma veniamo al testo.

    Anzitutto troviamo il titolo del salmo che, come da tutta la tradizione biblica, rimanda come suo autore al re Davide: viene precisato anche il contesto in cui egli l’avrebbe composto; esso ci riporta all’episodio in cui il futuro re di Israele, braccato dal re Saul che cercava di ucciderlo, “dimorava nel deserto di Giuda”(v.1; cfr 1Sam 22-26). Il salmista, facendo memoria di questo triste precedente, compone la sua lamentazione in cui invoca JHWH affinché, come liberò Davide, salvi anche lui dalle mani dei nemici.

    Il salmo vero e proprio inizia con un forte movimento di attesa, di desiderio e di speranza: troviamo subito all’inizio la calda invocazione del nome di Dio, con premesso l’aggettivo “mio”: “O Dio, tu sei il Dio mio” (v.2).Essa esprime una relazione intensa, nella quale sembra di risentire le parole della sposa del Cantico dei Cantici: “Il mio amato è mio e io sono sua” (2,16).

    Viene immediatamente esplicitato da parte dell’orante l’urgente bisogno di raggiungere Dio come unica roccia di salvezza: “dall’aurora ti cerco” (v.2). Anche qui il “cercare dall’aurora” assume il significato di cercare ardentemente senza perdere tempo: è la cosa più urgente da fare perché il nuovo giorno permetterà al salmista di contemplare la salvezza che Dio opererà per lui. Non per nulla la tensione verso Dio viene paragonata alla ricerca dell’acqua da parte di un uomo sperduto nel deserto (“in terra arida, assetata, senz’acqua”) che rischia di morire: “di te ha sete l’anima mia” (v.2). Come l’uomo ha bisogno dell’acqua per sopravvivere “in terra arida” così il salmista sa che solo in Dio egli potrà trovare la vita: lontano da lui andrebbe incontro inesorabilmente alla morte. La sete di Dio è lo stesso tema ricorrente che troviamo ad esempio nel salmo 41: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?” (vv.2-3). È tutto l’uomo che ha bisogno di Dio per vivere; non solo l’anima, ma anche la sua stessa carne: “Ha sete di te l’anima ( ebr nèfesch)  mia, desidera te la mia carne (ebr. basàr)”(v.2); tutto il suo essere è proteso verso il Signore sorgente di vita (cfr Ger 2,13). Nel salmo vedremo che oltre all’anima e alla carne  anche gli occhi, la bocca, le labbra, le mani sono chiamati a sperimentare la presenza “saziante e dissentante” di Dio.

    Alla gola riarsa dalla sete subentra al v.3 l’occhio: nel santuario il salmista può sperare il dono della visione di Dio. Lì si spegnerà la sua sete quando potrà finalmente “contemplare nel tempio il volto di Dio” (v.3; la forma verbale più che al passato andrebbe letta al futuro: “Nel tempio vorrei  contemplarti”). Ma che cosa precisamene spera di contemplare il salmista visto che Dio è invisibile all’occhio? Al salmista sarà accessibile la contemplazione degli attributi di Dio che sono la sua “potenza” e la sua “gloria”, dove “potenza” e “gloria” comportano la manifestazione di Dio negli eventi della storia della salvezza. Il salmo non parla dunque di una contemplazione spiritualistica di stampo platonico, ma di una contemplazione di Dio a partire da ciò che egli farà concretamente per l’orante al fine di salvarlo.

    Il v.4 riveste notevole importanza; vi si dice: “perché il tuo amore (ebr hèsed) vale più della vita”. Per l’orante la gioia di vivere sta nello sperimentare la mano amorosa di Dio. Senza questa conoscenza la vita gli apparirebbe vuota, spenta. Alla luce di questa straordinaria esperienza egli giunge a stabilire una nuova gerarchia di valori in cui l’unità di misura è l’hesed (amore) divino.  Si tratta di un’affermazione che segna un notevole progresso nella visione biblica della salvezza perché, se finora si poneva l’esistenza terrena come bene supremo, ora questo bene supremo, superiore alla vita stessa, appartiene alla sfera divina: è sentirsi raggiunti dal suo amore di fronte al quale tutto passa in second’ordine. Al salmista preme perciò maggiormente non il salvarsi dalla persecuzione e dalle minacce di morte nei suoi confronti, quanto il poter toccare con mano ancora una volta che Dio è salvatore. Come non riandare a ciò che molti secoli dopo l’Apocalisse affermerà dei martiri del nuovo Israele i quali hanno vinto per mezzo del sangue dell’Agnello e grazie alla testimonianza del loro martirio; poiché hanno disprezzato la vita fino a morire” (Ap 12,11)?

    Il versetto si conclude con il verbo “celebrare-lodare”: sono le “labbra” ora nella certa attesa della salvezza (cfr Sal 104,33). Una lode e benedizione che vengono estese per tutto l’arco della vita e che diventano la ragione stessa dell’esistenza: “Così ti benedirò per tutta la vita” (v.5).

    Alla benedizione delle labbra si accompagna anche il gesto dell’innalzare le mani al cielo, verso Dio (v.5). E’ la classica posizione dell’orante ripresa anche nelle prime comunità cristiane (cfr 1Tm 2,8) e di cui rimangono parecchie belle testimonianze negli affreschi catacombali.

    L’orante, che come detto all’inizio immaginiamo all’interno del tempio, ha la possibilità anche fisica di saziare la sua fame di comunione con Dio (v.6). Questo suo “sfamarsi” della presenza del Signore viene espresso attraverso l’immagine della sazietà delle sue “labbra gioiose” perché piene di cibo. L’aggancio concreto è sicuramente desunto dal rituale del sacrificio denominato “di comunione” in cui il grasso veniva offerto a Dio perché segno di abbondanza e benedizione, mentre la carne veniva consumata tra l’offerente e il sacerdote. Si esprimeva così attraverso il segno del banchetto sacro una comunione tra JHWH e il suo fedele. Banchetto che prefigurava la perfetta comunione con Dio promessa per i tempi messianici. Isaia in tal senso profetizza il convito escatologico e messianico imbandito da Dio stesso alla fine dei tempi: “banchetto di grasse vivande, di vini eccellenti, di cibi succulenti e di vini raffinati” (25,6) nel quale tutti sarebbero stati sfamati.

    Come possiamo constatare il salmo 63 ci aiuta ad entrare in uno stile di preghiera biblico che coinvolge tutto l’uomo e non solo la sua sfera mentale e/o affettiva interiore. L’uomo bisognoso di salvezza ci viene presentato come affamato e assetato che trova solo presso Dio l’acqua viva e il cibo sostanzioso per la sua vita (cfr Sal 36,8-10). E tutto questo attraverso un’esperienza di Dio reale, palpabile, fisica, non relegata alla sola sfera intima, individuale e invisibile.

    Nel tempio è calata ormai la notte. Sul suo giaciglio l’orante “ricorda” e “ pensa a Dio” (letteralmente “medita muovendo le labbra” v.7). Egli nel silenzio della notte “fa memoria” delle opere salvifiche di Dio che gli assicurano che non sarà abbandonato in mano dei nemici, perché il Signore è fedele per sempre alla parola data: egli “è stato il suo aiuto” (v.8).  Certo di questo sostegno il salmista non può non “esultare di gioia” (v. 8) in anticipo sentendosi “all’ombra delle sue ali” ovvero protetto da Dio (v.8; cfr Sal 17,8). È bella e tenera questa immagine delle ali che proteggono il fedele. Fu usata anche da Gesù stesso (Mt 23,37). Essa è legata alla simbologia materna che esprime la protezione premurosa sui piccoli. È una simbologia che nella bibbia viene estesa simbolicamente all’area del tempio con la figura dei cherubini che con le loro ali si stendono sull’arca quasi proteggere il popolo intero.

    Se la comunione con Dio è la cosa più importante da ricercare non ci meraviglia che tutto l’essere (nefesch) dell’orante voglia “stringersi” (v.9;  lett. “Rimanere attaccato dietro a te”) a lui, non volendosene separare per alcuna ragione. L’espressione è ricavata probabilmente dal linguaggio nuziale a cui attinge la terminologia dell’alleanza. Sia l’orante che JHWH vivono una indissolubile reciproca fedeltà, una mutua e  incrollabile adesione dettata dalla fede e dall’amore. Ciò è anche dall’immagine dell’intreccio delle mani. La “destra” (v.9) di Dio – che ha il primato – stringe saldamente la mano dell’orante, dove la mano destra è simbolo di forza, di potenza, e sicurezza (cfr Os 11). È la destra di Dio che “sostiene” il suo fedele impedendogli di abbattersi.

    Il testo liturgico purtroppo non ci propone i successivi  vv.10-11 che sono stati “censurati” (ma non dimentichiamo che Gesù stesso pregava anche queste parole!). Certamente si tratta di parole violentemente imprecatorie contenenti un augurio di morte per i nemici che dobbiamo immaginare fuori dal tempio mentre cercano in tutti i modi un espediente per “rovinare” l’orante. Il contrasto con le immagini tenere e serene espresse poco prima serve ad illuminare la fede del salmista che comporta inesorabilmente una lotta e uno scontro contro il male in tutte le sue forme. La speranza di quest’ultimo è che “gli empi siano consegnati in mano alla spada” (v.11), ovvero al giudizio insindacabile della parola di Dio. Il risultato di questo giudizio sarà la loro definitiva scomparsa ed eterna maledizione (sono menzionati gli “sciacalli” che, divorando i cadaveri, impediscono la loro sepoltura e quindi ogni speranza di sopravvivenza nello “scheol”).

    Il tutto si conclude col v. 12, anch’esso omesso nella versione liturgica, che contiene un augurio e una benedizione per il re. Probabilmente si tratta di una formula stereotipata che veniva aggiunta come finale al salmo vero e proprio e che veniva affidata alla proclamazione di tutta l’assemblea (un po’ come il nostro “Gloria”). Questa benedizione per il re è importante perché ha permesso alla tradizione sia giudaica che cristiana una lettura messianica del salmo: mentre infatti i nemici sprofondano nello “scheol” il re messia celebra la sua gioia per la vittoria finale accordatagli da JHWH.

    Si parla infine della “gloria” che sperimenta “chi giura in lui” (v.12). Per chi giura l’orante? Per Dio o per il re? Il giuramento classico è fatto nel nome di Dio. In questo caso si glorierà, ovvero sarà beato, chi si è affidato interamente al Signore. Ben diversa sarà la fine degli avversari che sono “mentitori”; differenza abissale tra chi giura nel nome di Dio credendo in lui, aderendo in lui e amandolo e chi invece, attraverso la menzogna e la malvagità, crede di sfidarlo.

    Possiamo concludendo ben dire che il salmo 63 ci appare come un salmo che canta la speranza incrollabile del credente. Speranza che trova la sua sorgente unicamente nella fedeltà di Dio che è salvatore, capace di sconfiggere definitivamente tutto il male che circonda il suo fedele.

    Collatio

    Propongo per la nostra “collatio” un esercizio per imparare a pregare i salmi che la Scrittura e la Chiesa ci offrono con abbondanza. Vi propongo quando pregate un salmo di compiere semplicemente tre passi ponendo le parole che pronunciate sulle labbra di Cristo, della Chiesa, e infine sulle nostre stesse labbra. È un metodo molto elementare ma che ci può aiutare ad approfondire, interiorizzare e attualizzare queste preghiere antichissime ma sempre nuove. È un metodo che ci insegna a pregare i salmi alla luce di Cristo superarando il rischio spesso inconsapevole ma estremamente deleterio per la nostra vita spirituale di ridurre i salmi ad una semplice… “recita”, un ripetere meccanico di parole lontane e staccate dalla vita che risultano alla fin fine incapaci di produrre frutti spirituali.

    Prima di compiere correttamente i tre passi occorre però cogliere anzitutto il genere letterario del salmo. In questa prima fase ci aiutano sia il titolo come anche la citazione biblica o patristica che nel breviario vengono premesse al testo del salmo vero e proprio. Lasciamo perciò un congruo spazio di silenzio tra un salmo e l’altro evitando la recita a… raffica! (perché ci sono tante cose da fare a parer nostro più importanti!).  Questo ci aiuterà a pregare i salmi di lamentazione applicando le loro parole a Gesù durante la sua passione, poi alla Chiesa perseguitata poi sulle labbra di chi vive persecuzione, prova e sofferenza. I salmi regali li pregheremo invece più facilmente ponendo le loro parole sulle labbra del Cristo glorioso assiso sul trono di Dio, circondato dalle schiere dei salvati. I salmi di lode e ringraziamento li potremo invece applicare a Gesù risorto il mattino di Pasqua, alle quali ci uniamo insieme a tutta la Chiesa. E così via. Ricordiamo che Gesù risorto apparendo ai discepoli nel cenacolo la sera di Pasqua li introdusse alla comprensione del suo mistero tenendo sullo sfondo, come in filigrana, non solo i testi profetici bensì anche gli stessi salmi: “Poi disse: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi»” (Lc 24,44). Essi perciò ci aiutano ad entrare nel mistero di Cristo.

    Cerchiamo ora di calare quanto detto al salmo 63.

    Essendo un salmo di lamentazione a cui però non mancano temi di lode, benedizione e ringraziamento per la salvezza ottenuta, possiamo ben applicarlo a Gesù durante la sua passione e nella gloria della sua resurrezione all’alba del primo giorno della settimana. A questa lettura ci invita la stessa liturgia che pone il salmo 63 durante la preghiera delle lodi del mattino della domenica. Gesù anche nel terribile crogiuolo della prova è certo di gustare la salvezza promessagli dal Padre: la sua speranza è riposta unicamente nel suo amore fedele che in lui perseguitato e ucciso rivelerà la sua  “potenza” e la sua “gloria”(cfr Gv 17,1). Durante la passione tutto l’essere di Cristo, la sua ”anima” e la sua “carne”, rimane teso unicamente alla volontà del Padre. Fame e sete di Cristo sono compiere pienamente questa volontà: “Gesù disse loro: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,34); “Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete»” (Gv 19,28): “ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne”. Fare la volontà del Padre per Gesù vale per lui “molto più della vita”: Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora!” (Gv 12,27) . E’ nel mattino di pasqua che Gesù sperimenta “con esultanza” che la destra di Dio “l’ha sostenuto”, che egli è “stato il suo aiuto”, rialzandolo “dal giaciglio” del sepolcro. I suoi nemici sono definitivamente condannati “dalla spada” del giudizio divino, “sprofondati sotto terra” preda di sciacalli, ovvero definitivamente annientati (cfr Ap 21,1). A lui, re e messia, Dio ha concesso la vittoria: egli può perciò eternamente “esultare di gioia” entrando “nel santuario” del cielo (cfr Ebr 9,24) in una perenne liturgia di lode e ringraziamento. Con braccia alzate al cielo non possiamo che unirci al crocifisso risorto nel suo canto di ringraziamento e di lode al Padre.

    Dopo aver compiuto questo primo passo nella preghiera, possiamo ora accedere al secondo.

    Sappiamo che il mistero pasquale di Cristo è dato da vivere anche alla Chiesa intimamente unita a lui in un vincolo strettissimo di alleanza. La Chiesa avverte il bisogno di “cercare  Dio fin dall’aurora”, di ripararsi all’”ombra delle ali di Dio”, d’essere “sorretta dalla sua destra”, perché lasciata a se stessa ha coscienza di non aver la forza sufficiente di sostenersi. Anche la Chiesa, come Cristo nella passione, non cessa d’essere minacciata e perseguitata. Essa camminando in un mondo “arido, senz’acqua”, in cui Dio spesso sembra assente o lontano, sperimenta la croce ma nello stesso tempo si alimenta alla speranza della fedeltà di Dio che non l’abbandonerà. Guardando al suo Signore essa prevede già il giudizio e la sconfitta finale del nemico. Nella speranza e nell’amore ardente la spinge ad “aderire strettamente a lui” tocca già con mano la “potenza” e la “gloria” con cui il suo Sposo crocifisso e risorto sta operando la salvezza del mondo attraverso di lei (cfr Ap 12,10). In questo faticoso cammino verso il “santuario”, il Regno di Dio, la Chiesa si nutre “con labbra gioiose” del “cibo succulento” della Parola di Dio; si disseta al calice del sangue di Cristo, saziandosi anticipatamente nel segno sacramentale al banchetto della vita eterna.

    E dopo aver applicato il salmo a Cristo e alla Chiesa possiamo applicarlo infine anche alla nostra vita. Il salmo ci invita a domandare al Signore la grazia di desiderarlo prima di ogni altra cosa “sin dall’aurora”, di avvertire “fame” e “sete” di lui nella consapevolezza che solo lui può colmare il nostro bisogno più profondo. Come consacrati chiediamo soprattutto di volerci “saziare” della sua presenza sapendo che la sua grazia (hesed) “vale per noi molto più della vita”. Come oranti vogliamo tenere “alzate le mani” al cielo come Cristo sulla croce intercedendo per il mondo intero, con le nostre “labbra” vogliamo sempre pronunciare la “lode” e la “benedizione” per quanto Dio fa per noi. Gli domanderemo infine di “sostenerci con la sua destra” affinché non soccombiamo nella tentazione, nella lotta contro tutti quei nemici, visibili ed invisibili, che vogliono la nostra rovina. Ci uniremo infine a Cristo vincitore e nostro re perché ci renda partecipi fin d’ora e per tutta l’eternità del banchetto del suo Regno in cui saziarci della sua presenza.

    Ecco dunque un piccolo esempio di come potremmo pregare i nostri salmi che la Liturgia delle Ore pone abbondantemente ogni giorno sulle nostre labbra. Impariamo soprattutto ad “unire”, come ci chiede il Concilio Vaticano II (SC n. 99) e tutta la tradizione “le labbra al cuore”: solo così potremo pregare veramente, sapendo che il Signore  “fa dono della preghiera a colui che prega” (Evagrio Pontico).

    Oratio

    Terminiamo con un testo, una preghiera, composta dal grande mistico fiammingo Jean Van Ruysbroeck (1293 –1381) che ben esprime l’ardente e “famelico” bisogno di sfamarsi di Dio:

    Signore, tu sei per me cibo e bevanda:più mangio e più ho fame,
    più bevo e più ho sete
    più possiedo e più desidero.
    Sei più dolce al mio palato di un favo di miele,
    più di qualsiasi dolcezza che sia possibile misurare.

    Sempre rimarranno in me la fame e il desiderio,
    perché sei inesauribile.

    Sei tu che mi divori, o sono io? Non lo so.
    Perché nel profondo della mia anima sento l’una e l’altra cosa.

    Tu esigi che io sia una cosa sola con te,
    e questo per me è molto difficile,perché non voglio abbandonare le mie pratiche
    per addormentarmi tra le tue braccia.
    Non posso non ringraziarti, lodarti e renderti onore:
    per me questo è la vita eterna.
    Trovo dentro di me una certa impazienza, e non so cosa sia.
    Se potessi raggiungere l’unità con Dio
    senza lasciare le mie opere,
    smetterei subito di lamentarmi.
    Dio sa ciò di cui abbiamo bisogno: faccia di me quello che vuole!
    Mi rimetto interamente nelle sue mani,
    e così attraverserò con coraggio ogni sofferenza.

    Posted by attilio @ 09:18

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