• 05 Mar

    SILENZIO E PREGHIERA

     

    SILENZIO E SOLITUDINE

    Il nostro rapportarci con gli altri, e quindi anche con Dio è costituito soprattutto da parole.
    Ma esiste un rapporto, un dialogo, più profondo, ed è quello che fa a meno delle parole perché queste vengono rimosse dal silenzio pregno di significato.
    Nella misura in cui progrediamo nell’intimità di una persona, e perciò anche di Dio, spariscono le parole perché non più necessarie in vista dell’incontro: il dialogo si attua attraverso il volto, lo sguardo.
    L’incontro è permeato di una sola parola pregna di amore e di silenzio. E’ un silenzio non vuoto né sterile, ma estremamente fecondo.
    Purtroppo viviamo in un contesto culturale in cui prevale l’esteriorità che si vuole creativa, ma che è solo proliferazione di stimoli di immagini e parole perché l’interiore è vuoto e fa paura.
    Questa proliferazione rivela il disagio della persona a rimanere con se stessa nel silenzio.
    Ma nello stesso tempo occorre che prendiamo coscienza di come spesso viviamo in un silenzio sterile, vuoto, triste, carico di rancore e risentimento verso noi stessi, gli altri, l’ambiente.
    Si tratta di un silenzio negativo, che ci ripiega su noi stessi: è una fuga dalla realtà e rivela l’incapacità di dialogo.
    Il silenzio autentico e fecondo non ci spinge al ripiegamento su noi stessi, ma ci apre alla realtà di noi stessi, agli altri e a Dio.
    E’ un silenzio che parla, che si pone in dialogo e ascolto, è fatto soprattutto di amore.
    Ogni vera parola è avvolta dal silenzio meditativo, la vera parola non è mai solo esteriore, ma promana dal silenzio del profondo del cuore.
    Solo a questa condizione essa è feconda. Tanta predicazione è vuota perché la parola non attinge alla fecondità del silenzio.
    Comprendiamo che il silenzio è indispensabile alla vita spirituale ve desideriamo porci in ascolto autentico, dialogico con la Parola che nel silenzio ci raggiunge: “La ricerca dell’intimità con Dio porta con sé la necessità veramente vitale di un silenzio di tutto l’essere, sia per coloro che devono incontrare Dio perfino in mezzo allo strepito, sia per i contemplativi” (Ev. Test. 46). 

     CONTEMPLAZIONE E COMBATTIMENTO

    Di Mosè il libro dell’esodo dice: “Il signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con un altro” (Es. 33,11).

    Mosè è la figura di colui che “contempla faccia a faccia” il mistero di Dio. Tra lui e Dio intercorreva un dialogo intimo di amicizia e amore.
    Potremmo affermare che ogni orante quando si lascia “prendere”, “afferrare”, “mettere in catene dallo Spirito” (cf At 20), dalla vicinanza con Dio che è sempre travolgente, si trasforma, viene trasformato in un essere forgiato dalla forza, dalla purezza e dal fuoco dello Spirito (cf Detti: “Diventa tutto di fuoco”). E di questo i santi sono tutti testimoni.
    E’ significativo di come Dio esiga nei suoi incontri con Mosè una solitudine assoluta:
    – “Mosè avanzerà solo verso il Signore” Es 24,2
    – “Mosè salì dunque sul monte e la nube coprì il monte. La Gloria di JHWH venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube. La Gloria del Signore appariva agli occhi degli israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna. Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte. Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti” Es 24,15-18
    Dall’incontro con questo “fuoco divoratore” Mosè esce col volto trasfigurato e abbagliante: è il segno dell’incontro avvenuto con l’inaccessibile: “Quando Mosè scese dal Monte Sinai… non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui” Es 34,35.
    La prima considerazione allora è data dal fatto che Mosè “estremamente impegnato” nella sua opera a favore del popolo fu un uomo che come pochi coltivò una contemplazione fatta di silenzio e di solitudine.
    Così Elia, il profeta di fuoco, fiamma devastatrice e purificatrice, dalla tradizione è chiamato l'”Uomo di Dio”. Anche per lui è indispensabile entrare nel silenzio e nella solitudine per incontrare JHWH: “Vattene di qui, dirigiti verso oriente, nasconditi presso il torrente Kerit” (1Re 17,6).
    Caratteristica sua sarà il non avere una dimora, una casa di pietra: sua abitazione è la solitudine del deserto come per san Giovanni battista.
    Ed è nel deserto del Monte Oreb che egli farà l’esperienza del Dio terribile che si manifesta nella brezza (cf 1Re 19,8-18).
    L’unica sua preoccupazione ed interesse è la gloria di Dio. Ed è per questo che la potenza, la forza, la determinatezza del Signore si manifestano nei suoi gesti e nelle sue parole.
    Profeta di JHWH diviene strumento docile nelle sue mani perché la sua vita è un continuo ritirarsi nella solitudine per dimorare con Dio, e un andare agli uomini per essere annunciatore della vera fede. 

    IL VERBO SILENZIOSO

    Anche la venuta del Verbo nel mondo contempla fasi di grande silenzio.
    – L’Incarnazione è il momento dell’umiltà, del nascondimento, del silenzio.
    – La sua nascita avviene di notte, “mentre il silenzio avvolgeva ogni cosa e la notte era a metà del suo corso”.
    – Nazaret: trent’anni di inspiegabile e sconcertante silenzio  e nascondimento (solo un versetto nel vangelo!)
    – Il suo ministero: un alternarsi di parole e di silenzio contemplativo e adorante.
    – La sua passione: Gesù accusato tace
    – la sepoltura: il silenzio della morte
    – la risurrezione: avviene nel silenzio del primo mattino. “Beata sei tu o notte che sola conoscesti l’ora” (Preconio pasquale).
    Possiamo aggiungere il silenzio del sacramento eucaristico: un povero segno che rimanda alla fede, all’apertura degli occhi del cuore come per i discepoli di Emmaus. 

    CONTEMPLAZIONE

    Nel silenzio consapevole che ci pone dinanzi a Dio e a noi stessi la nostra vita viene trasformata, rettificata. La presenza di Dio dissipa tutto ciò che vi si oppone.
    La contemplazione fa sì che tutto ciò che era oggetto di una fede, in un certo senso staccata da noi (quae creditur), diventi oggetto di un’esperienza vitale, totalizzante, misteriosa ma realissima (qua creditur).
    E’ a questo livello che si comprende. Si tratta di una comprensione del cuore più che di intelletto.
    Nella contemplazione ci rendiamo consapevoli di come la nostra stessa esperienza di Dio sia sempre parziale, mai posseduta: essa è spesso presentimento e pregustazione.
    Impariamo così a porci dinanzi al Padre nel silenzio umile e adorante limitandoci a guardare con amore sapendo di essere a nostra volta guardati con amore attraverso gli occhi del Figlio crocifisso.
    Potremmo definire la contemplazione come una operazione spirituale sintetica, totalizzante, affettiva e unificante. 

     CHIAMATI ALLA CONTEMPLAZIONE

     Ogni uomo è chiamato in forza della sua natura di creatura intelligente alla contemplazione. Afferma a questo proposito la Gaudium et Spes 18: ” Dio chiama l’uomo ad aderire a lui con tutta intera la sua natura, in una perpetua comunione con l’incorruttibile vita divina“.
    Chiamati ad aderire a Dio! E questo tramite l’amore, la conoscenza, l’impegno e l’abbandono in lui.
    E quando parliamo di contemplazione dovremmo sempre unire due termini: l’adesione del cuore e la conoscenza ella mente.
    Nella Scrittura  il “conoscere” non equivale al semplice sapere, ad una cognizione puramente intellettuale; esso esprime sempre una relazione esistenziale fra chi conosce e l’oggetto o la persona conosciuta.
    Conoscere Dio comporta l’entrare in relazione con lui, l’immergersi nella corrente della sua vita, che procede da Dio e a lui ritorna.
    Paolo VI in un discorso pronunciava queste parole: “Che Dio esiste, che è reale, che è vivente, che è personale, che è provvido, che è infinitamente buono, nostro creatore, nostra verità, nostra felicità; in tal modo che lo sforzo di fissare in lui lo sguardo e il cuore, ciò che chiamiamo contemplazione viene ad essere l’atto più alto e più pieno dello spirito, l’atto che oggi può e deve gerarchizzare l’immensa piramide dell’attività umana”.
    Nella contemplazione l’immagine di Dio è estremamente semplificata, riducendosi ads un accostarsi al suo mistero in purezza essenziale di fede.
    Le parole meditative, discorsive, della nostra preghiera portano con sé frammenti, particelle di dio, solo la contemplazione silenziosa che non si serve di parole, ma è puro sguardo totalizzante, può tentare di abbracciare l’infinito e l’incomprensibile.
    Il Siracide domanda: “Chi lo ha contemplato e lo descriverà? Chi può magnificarlo come egli è?” (43,32). 

    IN PIENEZZA

    Dio “chiama l’uomo ad aderire a Lui con tutta intera la sua natura” (GS).
    Il nemico della contemplazione è dunque ciò che vi è contrario, ovvero la dispersione, la molteplicità.
    Dispersione è il frantumarsi dell’io in mille direzioni contrastanti. Il suo contrario è la “con-centrazione”, l’essere tratto in un sol luogo, è ciò che permette di ritrovare se stessi, cosa impossibile nella dispersione.
    Attraverso la concentrazione ci è possibile incontrare Dio al centro di noi stessi, come nostra sorgente. Infatti l’uomo percepisce il suo essere, il suo esistere quando diviene consapevole di se stesso.
    Ma il più delle volte non siamo in noi stessi, perché spezzettati in mille direzioni.

    Sintesi di: I. Larannaga, Mostrami il tuo volto

    Posted by attilio @ 14:22

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