• 18 Feb

    di p. Attilio F. Fabris 

     

     

    La predicazione del regno di Dio per cui Gesù spende tutta la sua vita appare fallimentare: farisei ed erodiani lo vogliono uccidere, i parenti lo ritengono pazzo, gli scribi indemoniato. Il suo ministero non è segnato dal successo, anzi! strada facendo raccoglie sempre più incomprensioni, fraintendimenti, rifiuto (cfr. 3,6).

    Gesù sperimenta che la proclamazione gioiosa del regno che si fa presente all’uomo non trova una risposta positiva ed entusiasta, ma ostilità e durezza, a volte reazione violenta.

    Lo sfondo della parabola evidenzia questa constatazione di una fatica che appare inutile. Attraverso essa Gesù dà una risposta.  In questa situazione difficile Gesù esprime la sua fede incrollabile nella missione affidatagli dal Padre. Egli afferma la sua fiducia, tra mille difficoltà, nella potenza di Dio. La sua Parola, è come il buon seme: seminato tra mille difficoltà, non potrà non dare quel frutto per cui è stata seminata.

     

    v. 1 : Cominciò ad insegnare

    Gesù è di fronte alla folla nell’atteggiamento del maestro che insegna stando seduto. L’insegnare (imperfetto: azione prolungata “insegnava”)  (didaskein) è una funzione riservata solo a lui. (I discepoli devono annunciare: kerussein Dopo il Regno annunciato mediante miracoli e parole che autenticavano la sua missione, ora Gesù inizia a spiegarne il mistero attraverso l’insegnamento delle parabole.

    Le parabole parlano attraverso immagini. Ora il parlare in immagini non è affatto meno impegnativo; anzi è più impegnativo di ogni parlare diretto, proprio perché esige una certa disponibilità a lasciarsi introdurre in un rapporto diretto con colui che parla. Cosicché la comprensione del messaggio contenuto nella parabola non è così immediato, non perché sia particolarmente difficile dal punto di vista concettuale, ma perché richiede una disponibilità d’animo a lasciarsi interrogare a livello profondo, nelle proprie scelte di vita.

     

    In riva al mare

    L’insegnamento si svolge sulla riva del mare: si tratta di un’indicazione teologico-geografica importante. Gesù come Mosè siede nel mare e si rivolge alla folla che sta a terra alla quale è rivolta una parola che invita ad una nuova esperienza di esodo.

    La parabola infatti si presenterà come una iniziazione al mistero pasquale.

     

    “Ascoltate”

    La parabola inizia e termina con l’invito all’ascolto. “Ascolta Israele” (cfr Dt 6,4-9) è la professione di fede e la preghiera quotidiana del popolo eletto

    Nel linguaggio biblico “ascoltare” è più del semplice sentire, e anche del comprendere. L’ascolto biblico indica il coinvolgimento di tutta la persona. La fede biblica si costruisce e si fonda sull’ascolto; essa crede in un Dio che parla e a cui l’uomo è invitato a rispondere. L’ascolto vero scaturisce nell’obbedienza nella fede. Gesù è modello di questa centralità dell’ascolto: venuto per “fare la volontà del Padre”, non può non essere costantemente in ascolto. Frutto del suo ascolto è la sua Parola (parole e segni).

    L’invito all’ascolto da parte di Dio è costante: la sua Parola è vita e luce per noi. “Ascoltate oggi la sua voce, non indurite il cuore” (Sal 94).

    In quale misura la mia fede si costruisce a partire dall’esperienza dell’ascolto?

      

    Uscì il seminatore:

    La figura del contadino svolge una funzione assolutamente necessaria. La parabola ci racconta il dramma del seminatore che esce a seminare con tutte le speranze e i timori che sono legati a questo atto. E’ il dramma di chi si appresta ad un gesto di cui non conosce ancora i risultati.

    Gesù è il seminatore. Egli è venuto per “seminare” il Regno di Dio nel mondo. Questa seminagione avviene mediante il ministero della Parola. Lui stesso si identificherà alla fine con il seme:In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).

      

    v. 4-6 a seminare

    La parabola si comprende se si tiene presente che in Palestina al tempo di Gesù prima si seminava e poi si arava., ricoprendo il seme in attesa delle piogge. Questo sistema comportava che il seme potesse cadere ovunque: strada, sassi, rovi… e terra buona.

    Tutta l’attenzione della parabola si concentrerà sul seme e sulla sua sorte.

    Le quattro scene che raccontano la sorte del seme non raccontano quattro storie, ma una sola. Quella di un contadino che nello stesso giorno e nello stesso campo getta la sua semente.

    Prima di arare non si conosce se il terreno è profondo o no, se è adatto o no, se non nasconde radici di rovo o no. Occorre seminare ovunque e comunque.

    Il contadino che volesse essere sicuro in precedenza del risultato di ogni chicco non seminerebbe mai. Si mangerebbe in un mese quel sacco di grano che “gettato via”, diventa alimento per tutto l’anno dopo. La sua azione, apparentemente in perdita, conta sulla forza del seme. Sa, e per questo osa.  Occorre il coraggio della semina, sacrificare il grano all’oscurità della terra, così ostile e dura. A lui si adattano le parole del salmo 126: “Nell’andare se ne va e piange, portando la semente da gettare: ma nel tornare viene con giubilo, portando i suoi covoni”.

     

    v. 7 non diede frutto

    Il risultato di questa semina sembra disastroso.

    Il seme non attecchisce perché gli uccelli se lo mangiano, se attecchisce non riesce a crescere a causa del terreno sassoso, se cresce è soffocato dai rovi. Ci sarebbero buone ragioni per disperarsi!

    Eppure il contadino, come Gesù, va avanti nella semina, imperterrito.

    La domanda che sorge è una sola: Ma questa semina porterà frutto?

    L’ampiezza e l’abbondanza dei particolari nella descrizione della prima parte della seminagione rivela che ciò che fa problema è il riconoscere l’esistenza di un forte insuccesso.

    Nella semina l’occhio dell’inesperto non vede che spreco e fallimento, all’occhio esperto del contadino in quella stessa semina coglie una dimensione diversa: quella della certezza del raccolto finale abbondante.

    Lo stesso avviene per la potatura che riduce la vite a un aspetto desolante e spoglio, eppure il potatore in quei rami tranciati vede l’abbondanza dei grappoli e pregusta il vino migliore. Tema fondamentale della parabola risulta perciò essere la speranza, la fiducia. Il contadino, Gesù, vive l’esperienza di Abramo: si tratta di “una speranza contro ogni speranza” (Rm 4,18).

    Meraviglia lo spreco da parte del contadino, come meraviglia ancor più lo spreco da parte di Dio: non potrebbe o meglio non dovrebbe evitarlo? Per dare riposta occorre fissare lo sguardo su Gesù stesso.  Se la semina di Dio non è diversa da quella del contadino è perché all’origine dell’agire di Dio c’è una sovrabbondanza di amore che sembra spreco. In quest’ottica ci appare la passione e la croce di Gesù!

    I gesti del contadino rivelano in tal modo la “filantropia” divina, disinteressata e traboccante, senza calcolo e prudenza.

     

    v. 8 la terra buona

    Ma vi è anche la terra che accoglie il seme. Essa ripaga ogni fatica. Una terra che continua a dare frutto (dava: imperfetto un’azione continuata), in una percentuale strabiliante, assurda (cento per uno! Quando in Palestina si aggira intorno al 7,5 per uno).

    L’abbondanza della risposta della terra buona si contrappone al fallimento precedente. E’ un’abbondanza sorprendete: fuori misura! E’ una rottura dell’ordine naturale, il che sta ad indicare che il frutto del Regno sarà imprevedibile e straordinario. Dono libero e gratuito di Dio.

     

    v. 9 chi ha orecchi…

    E’ una frase di stile semitico. Si fa riferimento all’ascolto attento, all’orecchio proteso con attenzione alla parola. Suggerisce l’importanza ma nello stesso tempo il mistero di ciò che viene detto. Qui “orecchio” sta per intelligenza. Si richiede intelligenza e cuore. E’ una disponibilità che non tutti hanno, si dà infatti l’eventualità del non capire.

    Nella stessa semina e nello stesso tempo fallimenti e successi accompagnano l’opera del seminatore. Di fronte alla medesima Parola c’è contemporaneamente chi l’accoglie e chi la rifiuta.

    Da parte di chi semina non vi sarà la pretesa che il seme seminato debba sempre e comunque dare frutto. Piuttosto vi sarà la certezza che da qualche parte esso sta già dando frutto.

     

     

    Concludendo

     

    1. Il Regno è da Gesù spesso paragonato al seme, la cui forza e vitalità, viene proprio attivata da ciò che apparentemente appare come sua negazione: il suo essere gettato nella terra. Questo suo essere “gettato” è la condizione perché esso possa germinare.

    Nella parabola si cela il mistero della vita, si cela il grande mistero del Regno di Dio: il mistero della morte per la vita, il mistero di morte e risurrezione.

     

    2. La parabola racconta degli insuccessi e dei successi che il Regno di Dio può riscontrare quando entra nel mondo attraverso l’opera e l’annuncio di Gesù (e della comunità cristiana), e si comprende che ciò che costituisce il vero problema è l’insuccesso. Perché accade questo? Che cosa l’ha provocato?

    Di fronte all’insuccesso e all’ostilità Gesù non reagisce colpevolizzando la realtà o se stesso.

    Noi siamo facili alle colpevolizzazioni: colpevolizziamo il mondo che non accoglie e non capisce, oppure colpevolizziamo noi stessi dicendo: “sto sbagliando tutto!”. Di fronte ai nostri insuccessi accade che colpevolizziamo o ci scoraggiamo. Quando constatiamo che la nostra semina non porta tutto il frutto che vorremmo, cominciamo a fare letture aggressive o negative della realtà e delle persone che ci circondano, oppure entriamo in crisi di identità.

    Gesù non cade in questo tranello. Accetta che la storia abbia le sue sconfitte. Si inserisce nel tessuto della nostra storia e del nostro cuore così ambivalente e ambiguo. Accetta la fatica che essa sia dura, ma non per questo demorde dalla sua identità e dal suo messaggio. Non avviene una trasformazione per un atto magico, il regno di Dio si fa strada nel mondo facendo suoi tutti i limiti, le ombre, gli insuccessi. Noi vorremmo diversamente!

     

    3. Le parabole del seme gettato mentre fanno luce sul ministero di Gesù, offrono il criterio di discernimento per essere con lui. Non siamo chiamati a cercare il successo (vv. 3-9), la fama e la rilevanza (vv. 21-25), il protagonismo e la grandezza (vv 26-32).

    La Parola è un seme vivo che non può non produrre ciò per cui Dio l’ha mandata: “così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55,11).

     

    Posted by attilio @ 15:38

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