• 25 Gen

    Storia della Parrocchia di Sambuceto
    Tratta principalmente da
    “Nel Bacino Imbrifero dell’Entella.
    Val di Graveglia”

    di don Luigi Biagio Tiscornia

    La chiesa parrocchiale, col suo coro ad oriente, sorge quasi a metà del versante occidentale del monte S. Giacomo. E’ dedicata ai SS. Cipriano e Giustina che furono un tempo titolari di due chiese separate, cioè S. Giustina, titolare della parrocchiale, e S. Cipriano, titolare dell’oratorio, resi contitolari della parrocchia odierna nel 1836. Anticamente la Chiesa di Sambuceto dipendeva dalla Pieve di Lavagna, successivamente passò alla Pieve di Sestri, quindi al Vicariato di Libiola. In documenti assai antichi è ricordata la villa, la chiesa e l’oratorio di Sambuceto. Pare che i monaci benedettini, governanti la Prioria di Graveglia e l’Abbazia di Borzone, siano stati i fondatori della Chiesa di Sambuceto. Nel 1582 il Visitatore Apostolico Mons. Bossio propose la traslazione della cura parrocchiale nell’oratorio di S. Cipriano, avendolo trovato più bello del tempio parrocchiale, il che in seguito venne fatto dall’Arcivescovo di Genova. Ecco il decreto di Mons. Bossio: Ecclesia parrochialis S. Iustinae Sambusae – Oratorium S. Cipriani Sambusae – “Cum hoc Oratorium sit pulchrius Ecclesia parrochiali, deservire poterit loco ipsius ecclesiae; modo ab Ordinario potestas fiat etc.”. Verso il 1600 la popolazione di Sambuceto fu distrutta dalla peste e, non essendovi rimaste che due sole famiglie, la chiesa parrocchiale perdette la cura, passando aggregata alla parrocchia di S. Giacomo di Loto, che allora era sottoposta alla Pieve di Sestri Levante. Anche Domenico De Paoli (che fu custode della Chiesa di Sambuceto e poi nel 1835, ricostituita la parrocchia da Mons. Tadini arcivescovo di Genova, ne fu nominato primo parroco) riferisce che la Chiesa di Sambuceto dapprima era succursale di Zerli, quindi, in epoca ignota, lo divenne di Loto, da cui fu smembrata. Infatti il 14 luglio 1834 Mons. Tadini arcivescovo di Genova, nella visita pastorale fatta a Loto, vide questa succursale uffiziata come parrocchia; intese pure che il suo custode per consuetudine aveva il titolo di rettore, eletto dal popolo col consenso delparroco, e accolse l’istanza dei Sambucesi, e dopo otto mesi, cioè con suo decreto del 31 marzo 1835, la dichiarò parrocchia. Va notato che allora S. Giustina fu tramutata in cimitero e l’oratorio di S. Cipriano, tramutato in parrocchia, d’allora in poi ebbe la denominazione dei due titolari, cioè S. Cipriano e S. Giustina di Sambuceto. La chiesa nei suoi muri porta visibili tracce della sua antichità, che si vedono specialmente nella parte esteriore dell’abside, che è tutta di pietre quadre all’uso antico, ma internamente scialbate alla moderna. Vi sono tre altari: il maggiore e due laterali che sotto la reggenza del parroco Cuneo furono incavati nei rispettivi muri per oltre un metro. La cancellata del presbiterio è d’ardesia e nel coro i sedili di pietra secondo l’antico costume degli oratori. La vasca del fonte battesimale reca la data 1578. Sul campanile, oltre l’orologio, posano tre campane. La casa canonica fu costruita nel 1915. La festa principale è quella di S. Cipriano, che dal 26 settembre è trasportata alla prima domenica di agosto.

  • 22 Gen

    Note relative al Monastero di S. Andrea di

    Borzone desunte dai documenti notarili del

    notaio Andrea de Cairo, A.S.Ge –


    anni 1445-1451


    di Giovanni Ferrero


    Alcuni documenti notarili conservati presso l’Archivio di Stato di Genova nelle filze del Notaio Andrea de Cairo tramandano oltre alle notizie tecniche relative ad acquisizioni, vendite, ed a quanto il mondo notarile disponeva per la legalità e la veridicità documentata anche alcuni rilievi di carattere cronachistico e toponomastico. Sono questi piccoli elementi che aiutano, in alcuni casi, a ricomporre la storia di uomini e di cose del nostro passato. Elementi inseriti nella formulazione documentaria che potrebbero non necessariamente farne parte ma che estrapolati dal contesto nel quale sono stati posti arricchiscono e migliorano le nostre conoscenze. È il caso delle brevi notizie relative al Monastero di San Andrea di Borzone. Ampi studi sono stati dedicati a questo importantissimo centro monastico sia per quanto riguarda le interessantissime vestigia architettoniche sia per quanto riguarda la sua funzione quale punto di riferimento per la diffusione religiosa nelle vallate appenniniche. Il lettore viene quindi indirizzato per gli approfondimenti a questi studi specifici di settore 1. Quanto di seguito riportato si propone lo scopo di trasmettere alcune notizie storiche riguardanti il complesso monastico e la sua conduzione tra il 1442 ed il 1451. Un documento datato 1 ottobre 1442 (Filza 781, doc.193) stipulato in Genova nella chiesa di S.Maria di Castello alla presenza di Fre Michele de Bandelis, priore della chiesa di Santa Croce, e Fre Filippo de Palagio, monaco del monastero di S.Maria di Castello, riferisce la presenza di Fre Cristoforo Ravaschieri Abate titolare del Monastero di S.Andrea di Borzone e di Fre Galzebart de Ulma, della diocesi de Alemania, monaco nello stesso monastero. Il documento datato 12 novembre 1442 (Filza 781, doc.198) rogato “in strada o platea” della chiesa di S.Maria di Castello di Genova con testimonianza di Fre Michele de Bandelis, priore della chiesa di Santa Croce, e di Gaspare Strata de Clavaro figlio di Pellegro e Benedetto de Vallario di Monelia, laici della diocesi di Genova, vede il Dom. Fre Cristoforo Ravaschieri Abate del Monastero di S. Andrea di Borzone dell’ordine di San Benedetto disporre l’incarico al suo procuratore Fre Filippo de Perago dell’Ordine di San Benedetto per il ricavo di alcuni suoi redditi. Il Venerabile Presbitero Dn. Fre Cristoforo Ravaschieri Abate del Monastero di S.Andrea di Borzone dell’Ordine di S. Benedetto della diocesi di Genova appare nel documento del 10 marzo 1442 (Filza 781, doc.121) rogato nella chiesa di S.Maria di Castello. La consequenzialità dei documenti porta ad ipotizzare che il Venerabile si fosse stabilito in città e tale ipotesi viene confermata dalla documentazione datata 1443 al 12 dicembre (Filza 781, doc. 316) con atto rogato in Genova “in via pubblica juxta hospitalis St. Antoni Jan.”che vede testimoni i Ven. Viri Dns.Gregorio de Anchona archidiacono della chiesa savonese e Fre Benedicto de Nigrono priore del priorato di S.Antonio di Genova. Nella documentazione viene chiaramente espresso che il “reverendo in Cristo Padre Dns. Fre Cristoforo de Ravaschieri Abate del Monastero di S. Andrea di Borzone è dimorante in Genova”. In questa occasione egli nomina Fre Gregorium de Verdura rettore della chiesa di San Quirico “de Pulcifera” suo procuratore con ampio mandato. Il 1 febbraio 1444 (Filza 782, doc. 11) con atto rogato in “Claustro” del Monastero di San Siro con le testimonianze del Presbitero Bartolomeo Ferrufinis de Alexandria e Damiano de Pastino notaio, viene posto in evidenza la presenza di un’altro Ravaschieri cioè Thebaldo de Ravaschieri 2. Nella documentazione appare il Reverendo in Cristo Fre Quirinus Bondenariis Abate del Monastero di San Siro di Genova che dispone la convocazione e riunione dei confratelli cioè: Fre Obertus Benvenuti, priore claustrale, Fre Bartolomeo de Florentia, Fre Gregorius Bondenariis, Fre Raffael de Capriata, Fre Jeronimo de Podio tutti monaci professi. In questa occasione viene discussa una controversia relativa ai beni di spettanza al monastero appartenenti a Fre Thebaldo de Ravaschieri monaco in detto monastero. Con il documento datato 3 febbario 1445 (Filza 782, doc 138) rogato in Genova in “contrada S.Antonio in quandam domo priore S.Maria de Tario” con le testimonianze del Presbitero Guglielmo de Bonoynis Cappellano della chiesa di San Luca di Genova e Battista de Vignolo q.dam Inofri e Jacobo Scarpa de Sigestro vengono segnalate le difficoltà nelle quali veniva a trovarsi il complesso monastico di Borzone. La consuetudine di disporre le dotazioni e le donazioni agli enti monastici di terreni e di beni immobili aveva costituito l’insieme di possedimenti sparsi nel territorio ed in qualche caso anche ubicati ad una significativa distanza dalla sede monastica stessa 3. La documentazione mette in evidenza che il Monastero di S.Andrea di Borzone era proprietario di possedimenti e terre poste nella Villa Colleralli nella Valle Sturla (Ora Corerallo, Isola di Borgonovo, nel Comune di Mezzanego) coltivate con vigna ed altre essenze arboree e con due case contigue ed altri piccoli appezzamenti che erano appartenuti al q.dam Bartolomeo de Collerallo padre di Domenico di Collerallo “pia ipsorum largitive a prefato monastero”. Questi beni si trovavano in cattive condizioni a causa di “guerrarum turbines et calamitates” in quanto queste terre ed i beni subirono delle devastazioni ed “afflicte fuere”. Il Reverendo in Cristo Fre Cristoforo Ravaschieri Abate del monastero di S.Andrea di Borzone in qualità di responsabile proprietario del bene dispone per la riedificazione delle case esistenti in questo bene. Nella documentazione viene pure segnalato che in quel periodo il monastero non aveva più monaci. Le proprietà secondo la documentazione vennero locate a Domenico di Collerallo q.dam Bartolomeo a livello perpetuo affinchè il fondo potesse essere rimesso in ordine. Il 20 maggio 1445 (Filza 782, doc. 206) viene rogato un documento nel Monastero di San Siro “in camera cubiculari” alla presenza del Presbitero Jacobo de Pinu de Sigistro, cappellano nella chiesa di questo monastero, e Philippo de Zuchareto cittadino genovese. La documentazione è riferita all’esame della petizione espressa da Thebaldo Ravaschieri monaco del monastero in “sacerdozio constituito” per l’ottenimento del trasferimento ad altro monastero. Licenza che gli venne accordata. Il 7 agosto 1445 (Filza 782, doc. 267) con atto rogato a Genova nella chiesa di S. Antonio nella cappella della Beata Maria e San Martino “contigua” alla presenza dei testimoni Ven. Fre Lanfranco de Squassis rettore della chiesa di S. Nazaro e Celso di Arenzano, Fre Bartolomeo de Quarina rettore della chiesa di S.Fede e il Presbitero Jacobo de Pinu di Sestri (Levante) cappellano della chiesa del monastero di San Siro venne stipulato il documento col quale Fre Gregorius de Bondenaris Abate del monastero di San Siro concedeva il trasferimento di Fre Tebaldo Ravaschieri al monastero di S. Andrea di Borzone. I FIESCHI dovevano essere informati della disastrosa situazione nella quale si trovava la storica istituzione sia per i fortissimi legami che li collegavano ai Ravaschieri sia per l’importanza della istituzione in un territorio che da sempre faceva parte del loro presidio di controllo e di espansione 4. Nel documento datato 18 settembre 1445 (Filza 782, doc. 289), fatto in “ecclesia priorato S. Antoni” appare in qualità di testimone il Ven. Fre Peregrino de FLISCO di San Vittore e Fre Johanni de Venturini di San Sixto “Prioratum Prioribus”. Nella documentazione appaiono Cristoforo de Ravaschieri Abate di S. Andrea di Borzone e Fre Tebaldo de Ravaschieri monaco “in sacerdotio constituito”. Viene in questa sede evidenziata la sistuazione precaria nella quale si trova il complesso monastico di S. Andrea di Borzone” guerrarum turbinis calamitatis ….. distructum et inabitabile existet”. Viene evidenziato che i monaci non vi possono più vivere. Nella documentazione viene paventato il loro possibile trasferimento presso il monastero di “Sancti Donini de Placentia” dello stesso ordine . Il 2 agosto 1447 (Filza 783, doc.151) con documento rogato in “Claustro maiori eccl.e Januense” con testimoni il Presbitero Antonio de Mazascho cappellano della chiesa maggiore e Andrea de Bonaparte de Carascho cappellano nella chiesa “nova” di San Salvatore di Lavagna viene nominato Cristoforo de Ravaschieri “Abbas”. Anche in questo caso la documentazione prevede la alienazione dei beni appartenenti al Monastero. Appare Johanni de Federicis a cui vengono ceduti dei possedimenti terrieri cioè delle terre coltivate con alberi di castagne ed altre essenze poste nella podesteria di Varese (Ligure) “loco dicto Valleti” confinante in parte “superioris cacumina Montis Verujole, per aliis terre illorum de Lagoraria, et terre eccl.e St. Marie de Tario, et ad alio latere costa de Bissa Lanza” (Tenute Valleti, oggi, in Comune di Varese Ligure). Si assiste in questo caso alla permuta con più sicuri e fruttuosi “locorum septe comperarum St. Georgii”. Il documento 152 (Filza 783) del 4 agosto trasmette ulteriori notizie e le ragioni relative a questa cessione o permuta. Viene evidenziata la presenza del monaco Fre Ludovici de Alemania monaco professo in questo monastero di S.Andrea de Borzono “cum nulli alii monaci dicti monasterii existant” e che il ” Monasterio St. Andree de Borzono quandamodo destituito, propter guerrarum turbines, calamitates”. Per tali ragioni viene decisa l’alienazione dei possedimenti che non producono reddito sostituendoli con più certi luoghi di San Giorgio. L’Arcivescovo di Genova concede la licenza per questa procedura. Due documenti delineano la figura del compratore. 1447, 11 agosto (Filza 783, doc. 156) con atto stipulato in”sala super. palatii causarum” testimoni Antonio de Magistris e Jacobo Rondanina di Antonio cittadino genovese, appare il “Magnificus Comes Dns. Johanni de Federicis” cittadino genovese che revoca il mandato ai procuratori che agiscono a suo nome in “Sicilia et ultra farum” e nomina suo agente e procuratore il Nobile Andream de Auria del Dn. Petro de Auria. Trattasi di una procura relativa alle contrattazioni svolte a suo nome nel regno di Sicilia ed alle trattative nel territorio del “Serenissimo Principe e Dns. Alfonsus Dei Gratia Aragonensem”. La trattativa relativa alla permuta ebbe ulteriori sviluppi con il documeno 179 (Filza 784) del 27 luglio 1448 nel quale appare Fre Cristoforo de Ravaschieri ormai “residens in civitate Janue”e la trascrizione del benestare della curia romana a questa operazione. Nel documento 302 (Filza 784) appaiono anche i FIESCHI che si presume concordi nella operazione di permuta o alienazione. 1448, 26 novembre. Atto in Genova in “Claustro super.” della maggiore chiesa di Genova con la testimonianza del Ven. Dom. Dominico Folieta cappellano in detta chiesa e Thoma Cassinello de Carascho chierico della diocesi di Genova. Nella documentazioni appaiono il Dn. Antonio Tarigo canonico nella maggiore chiesa di Genova ed il “legumdoctoris” Dns. Cristoforo de Burgarolis in qualtà di procuratore del Magnifico Dn. JohanniLudovico de FLISCO, “Palatini et Lavania Comites” e del Dn. JohanniPhilippo de FLISCO suo figlio. Viene fatto riferimento ad una Bolla Pontificia di Papa Eugenio V ottenuta dall’Abate del monastero di Borzone relativa alla vendita dei terreni posti nella podesteria di Sestri (Levante) a Johanne de Federicis. I procuratori nominati sono Spineta Malaspina “magiscola” nella maggiore chiesa di Genova, Antonio de Cruxilia Preposito della chiesa di S. Adriano di Trigoso e Nicolau de Pontremoli canonico nella chiesa di S. Maria in Vialata. Il 27 novembre del 1448 (Filza 784, doc. 290), secondo anno di pontificato di Papa Nicolò V, con il documento rogato “apud St. Atonii” avente testimonianza del Venerabile Vesconte de Cella de Clavari figlio di Pietro e Baptista de Gazio de Boliascho “vitrerio” abitante in Genova vede Fre Cristoforo de Ravaschieri Abate di S. Andrea di Borzono approvare le rendite del priorato della Beata Maria de Monte Mulacij istituzione il cui priorato era condotto da Fre Lanzaroto de Marchesolis de Mulatio della diocesi lunense permettendo di rilevare che il priorato è al momento vacante. Che i possedimenti terrieri appartenenti all’Abbazia di Borzone fossero diffusi nel territorio se ne ha ulteriore notizia dal documento 146 (Filza 785) del 16 maggio 1449. Atto rogato in “claustro” superiore della maggiore chiesa di Genova con testimonianza del Presbitero Jacobo de Calestano e Jacobo de Matheo di Rapallo cappellani in questa chiesa maggiore. Appaiono il Ven.Vir Dn. Marcus de Franchis de Burgaro Preposito, Ludovico de FLISCO Archidiacono, Spineta Malaspina magiscola, Domenicus Folieta, Bartholomeus de Senis, Laurentio de Morelo de Rapallo, Antonio de Multedo, Antonio Tarigo de Rapallo, Franciscus de Peregrinis de Novis, Paulus Justinianus Canonici del Capitolo della maggiore chiesa di Genova nonché patroni dell'”Hospitalis Sancti Cristofori de Clavaro Jan.dioc.” e Frater Sthephanus de Mathia anconitano “Hospitalarius seu rector dicti Hospitalis St.Cristophari”. La documentazione è relativa alla locazione di proprietà terriere appartenenti all’Hospitale poste nella Villa di Rij a Theramus de Robo. Nella descrizione dei limiti confinari viene specificata la terra appartenente al monastero di S. Andrea di Borzono. La conclusione della transazione tra l’Abate Ravaschieri e Johanni de Federici relativamente ai beni posti “in loco Varisi e Lagorarie” detta “Valleti” venne stipulata con atto del 21 giugno 1449 (Filza 785, doc. 222). Se ne deduce che l’Abate risulta ormai “dimorante a Genova” ed il documento rogato in “plateali juxta hostium monasterio S. Antonii” con testimonianza dell’Abate del monastero di S. Antonio Fre Benedicto de Nigrono ed ancora un FIESCHI cioè Fre Peregrino de FLISCO priore della chiesa di San Vittore. Si può presumere che l’Abate Ravaschieri avesse posto la sua residenza presso il monastero di S. Antonio del suo stesso ordine. Una più specifica indicazione relativa al Dn. Johanni de Federicis viene suggerita dal documento 313 (Filza 785 del 4 dicembre 1449) nel quale viene chiaramente indicato quale “Martorane Comes”. L’elevata posizione sociale del compratore dei beni di “Valleti”viene chiarita in questo documento nel quale egli nomina suo procuratore il Nobile Salvagiu de Vivaldis del Dn. Lazari cittadino genovese “mercator Neapolis presentiler comorante” affichè possa esigere e ricevere dal Serenissimo Principe e D.no Aloiso “Dei Gratia Regi Aragonense” i beni prestati. Il doc. 54 (Filza 786) alla data 1450, 10 febbraio, vede la risoluzione di una controversia sorta tra il Ven. Dn. Ludovico de FLISCO “Prepositus” e Spineta de Malaspinis “Canonicus” della chiesa di San Salvatore di Lavagna in qualità di rappresentanti del Capitolo di questa chiesa nei confronti di Andrea Bacigalupis erede per la sua parte di beni del q.dam Sthephani Bacigalupis de Clavari. Vengono fatti dei riferimenti confinari tra i beni dei Bacigalupis e quelli di pertinenza al canonicato di Augustino de FLISCO. Si tratta di beni posti in “Villa de Mezanego ubi dicitur in Porcili”. Questi beni indicati con il toponimo “lo pastine” alberati con alberi di castagne confinavano con la terra apprtenente al monastero di S. Andrea di Borzone. Il documento 218 (Filza 786) del 21 ottobre 1450 vede Fre Cristoforo de Ravaschieri rappresentante il priorato di S. Eufemiano di Graveglia revocare il mandato ai precedenti procuratori e nominare al loro posto il Ven.Vir Dn. Johanni de Serra Presbitero “accolitu Sanctissimi Dn. Nostri Pape”. Carica di breve durata in quanto con il documento 128 datato 16 aprile 1451 (Filza 787) l’Abate Cristoforo Ravaschieri sempre abitante a Genova col consenso ed a nome del priorato di S. Eufemiano di Graveglia dipendente dal monastero di S. Andrea di Borzone annulla la procura concessa a Johanni Serra. Nella documentazione riappare Fre Ludovico de Ulmo de Alemagna che è ora monaco in S. Eufemiano. Anche in questo caso tra i testimoni è presente un FIESCHI, cioè Fre Peregrino de FLISCO priore del priorato di San Vittore. Queste brevi note possono indicare l’estesa ramificazione dei beni del monastero di S. Andrea di Borzone ed una ampia giurisdizione che lo vide avere la sovranità di S. Eufemiano di Val Graveglia ma anche quella del più lontano monastero di Mulazzo. I documenti notarili esaminati mettono altresì in evidenza una grande crisi nel territorio appenninico dovuta alle devastazioni derivanti dal passaggio di truppe, di razzie, di incuria e dalla diffusione di malattie. Molti beni appartenenti ad ordini ecclesistici ridotti in rovina anche da eventi metereologici ed abbandonati dai coltivatori affidatari vennero ceduti o permutati con luoghi di San Giorgio che promettevano un rassicurante rendita. Note [1] Quale punto di riferimento aggiornato relativamente alla storia ed alla architettura dell’Abbazia vengono suggeriti i riferimenti contenuti nelle relazioni che appaiono in: “Atti del Seminario di Studi ‘L’Abbazia di Borzone’ Memoria e Futuro. Chiavari 20 Ottobre 2001. Società Economica di Chiavari. Sala Ghio Schiffini”, Edizioni Accademia dei Cultori di Storia Locale (Via Ravaschieri, 15 – 16043 Chiavari), aprile 2002 [2] I Ravaschieri nobili Conti di Lavagna ed i Fieschi sono stati i maggiori detentori del titolo di Abate [3] L’Abbazia già dalle sue origini (1184) venne dotata dagli istitutori di estesi beni terrieri, e benefici, le dotazioni vennero poi ampliate particolarmente con le donazioni dei Fieschi che imponevano il loro controllo sul territorio del levante e nell’entroterra. Tale espansione di possedimenti si ebbe particolarmente grazie alle donazioni dei papi Innocenzo IV e Adriano V [4] I Fieschi iniziando dal secolo XIII avevano contribuito alla istituzione di numerose entità monastiche in particolare all’inserimento nel territorio tra mare e pianura di numerosi “hospitali” per la sicurezza e rifugio di pellegrini e viandanti. L’Abbazia di Borzone è posta ad incrocio tra le vie dell’entroterra e quelle per raggiungere i centri della Lunigiana e Toscana

  • 24 Apr

    Alcuni accenni di arte altomedievale/longobarda

     

    Con il termine Altomedioevo si indica il periodo storico compreso fra il VII secolo e la metà dell’XI secolo d.C. Inizialmente il territorio dell’Italia è diviso tra Longobardi e Bizantini, in continua lotta fra loro. Con l’intervento di Carlo, re dei Franchi, il dominio longobardo viene abbattuto. Egli riunisce sotto di sé il territorio francese, l’Italia settentrionale e parte dell’Italia centrale. La civiltà romana del tardo impero diventa il modello da imitare: nell’arte si recuperano le forme espressive del mondo classico e cristiano: questo periodo, infatti, viene comunemente definito «rinascita carolingia». In questa complessa realtà l’arte, ovviamente, non può manifestare caratteri unitari. Pur nel generale disordine e nella profonda crisi economica, rimangono vive ed operanti le tradizioni artistiche locali, che vengono arricchite, soprattutto nell’Italia del Nord, dagli influssi dell’arte longobarda, carolingia ed ottoniana. La parola «barbaro» significa letteralmente «straniero» ma, per estensione, è entrata nel linguaggio corrente come sinonimo di «incolto, rozzo, ignorante, di civiltà inferiore». Certamente la cultura barbarica appare, rispetto a quella del tardo impero e bizantina, ancora a livello primitivo; tuttavia le opere d’arte a noi pervenute, pur nella loro semplicità e ripetitività di temi, sono certamente il risultato di un lavoro accurato, dovuto ad artigiani specializzati. La cultura barbarica è una cultura rurale e per il barbaro l’arte è soprattutto decorazione ed ornamento. Acquistano una notevole importanza i centri culturali religiosi. L’artigianato, nel convento, è regolato da norme e organizzato in fasi e tempi di lavoro: la vita operosa diviene un valore positivo ed una forma di preghiera. L’arte non serve più a produrre oggetti che, per quanto ricchi ed elaborati, sono rivolti essenzialmente alla vita quotidiana; essa è finalizzata nuovamente alla costruzione di opere destinate alla collettività e realizzate per la gloria di Dio. Molte di queste opere non recano la firma del loro autore e ciò ha fatto ritenere che fossero il risultato di un’attività collettiva spontanea, non sottoposta alla guida di un «direttore dei lavori». In realtà, però, qualcuno che si curasse di suddividere i compiti dei singoli e controllasse l?interno svolgimento del lavoro doveva necessariamente esistere. E’ vero invece che, in questo periodo, è considerato fondamentale svolgere bene un mestiere e non tanto esprimersi in modo personale. All’artigiano si richiede soprattutto di dimostrare la sua abilità tecnica, mentre non si valuta importante la sua originalità espressiva: quindi firmare l’opera non ha, per l’autore, alcun significato. Alto medioevo: architettura Le testimonianze dell’arte medioevale si riferiscono essenzialmente a costruzioni ed opere di carattere religioso. A Roma, ed in tutta l?Italia Centrale, gli edifici della tarda romanità (templi, terme, basiliche) vengono consacrati al culto cristiano e vengono decorati in modo da assumere l’aspetto di chiese vere e proprie; marmi romani (capitelli, architravi, fusti di colonne, ecc.) vengono largamente impiegati nelle chiese. Caratteristica dell’architettura di questi secoli è, appunto, il reimpiego di elementi di spoglio dagli antichi edifici di epoca romana. Anche gli ordini monastici (soprattutto Benedettini) fondano, ampliano e restaurano opere di carattere religioso. Alcune di esse sono simili, come a Borzone, alle costruzioni ravennate; altre sono più semplici, con pianta rettangolare. Hanno muri spessi e finestre molto strette; all’interni, le colonne sono talvolta sostituite da pilastri. Nel territorio sorgono insediamenti isolati, di suo sia civile (rocche, castelli) sia religioso (abbazie). Essi sorgono in posizione strategica, tale da garantire il controllo a vista del territorio circostante. Con il passare del tempo, attorno a questi insediamenti si sviluppa un borgo, realizzato dapprima con costruzioni in legno, che diviene successivamente un agglomerato di case in pietra e mattoni. Nelle abbazie, i monaci svolgono un’intensa attività culturale e di sviluppo agricolo.

  • 04 Feb

     

    Origini del monachesimo in Irlanda 

     

    L’ l’Irlanda fu la prima area esterna all’Impero romano nella quale venne adottato il monachesimo, in una forma strettamente collegata alle tradizionali relazioni di clan.

    La diffusione del cristianesimo nell’isola era avvenuta nel corso del V secolo, principalmente ad opera di san Patrizio (431-432), su incarico di papa Celestino I. Secondo alcune tradizioni, tuttavia, san Patrizio sarebbe stato preceduto da un san Palladio, primo vescovo degli Irlandesi[1]. Lo stesso san Patrizio avrebbe fondato nel 444 un monastero ad Armagh (Ard Macha), nell’omonima contea in Irlanda del Nord. Altri vescovi, contemporanei di san Patrizio, o secondo alcune tradizioni a lui precedenti, avrebbero contribuito all’evangelizzazione dell’isola e all’inizio della sua tradizione monastica. San Declan, di origini irlandesi e formatosi a Roma, sarebbe stato rimandato nel suo paese di origine su incarico di papa Ilario (461-468). Qui avrebbe convertito la tribù celtica dei Decies o An Déise, stanziati nell’attuale contea di Waterford e vi avrebbe fondato il monastero di Ardmore. Sant’Ailbe (che tuttavia secondo alcune fonti sarebbe morto nel 528), anch’egli ordinato vescovo a Roma, avrebbe fondato in quest’epoca il monastero di Emly, nella contea di Tipperary e un altro monastero sarebbe sorto presso la cella in cui sant’Ibar si era ritirato in eremitaggio, a Begerin, nel porto di Wexford.

    Ancora nella seconda metà del V secolo santa Brigida, co-patrona d’Irlanda, fondò ad Ardagh il primo convento femminile e si dedicò in seguito alla fondazione di altri monasteri, tra i quali nel 470 quello doppio, maschile e femminile, di Kildare, nei quali l’attività era organizzata al servizio dei poveri.

    Un’altra fondazione del V secolo è ritenuta quella dell’abbazia di Killeaney (Kill-Enda), nell’isola di Inishmore (isole Aran nella baia di Galway), ad opera di sant’Enda di Aran.

    In segutio San Finnian di Clonard, che si era formato presso i centri monastici già presenti nel Galles, si ritirò in una piccola cella nella contea di Meath, raccogliendo progressivamente intorno a sè numerosi seguaci e fondando intorno al 520 il monastero di Clonard. L’abbazia fu il primo grande centro monastico dell’Irlanda, dove si formarono i suoi “dodici apostoli”, che a loro volta fondarono altri monasteri:

    san Brendano di Birri fu il fondatore nel 540 del monastero di Birr, nella contea di Offaly;

    san Ciarán di Clonmacnoise fu il fondatore nel 545 del monastero di Clonmacnoise, ancora nella stessa contea;

    san Columba di Terryglass fu il fondatore nel 548 del monastero di Terryglass, nella contea di Tipperary;

    san Columba di Iona, evangelizzatore della Scozia, in precedenza fondò l’abbazia di Durrow nel 553, sempre nella contea di Offaly, quella di Kells, nella contea di Meath, probabilmente nel 554 e infine un altro monastero a Derry;

    san Brendano di Clonfert, protagonista della leggenda della Navigatio sancti Brendani, fu il fondatore nel 559 del monastero di Clonfert, nella contea di Galway;

    san Cainnech compagno di San Colomba in Scozia, fondò in Irlanda l’abbazia di Aghaboe nella contea di Laois;

    san Ciarán di Saighir fu il fondatore del monastero di Seir Kieran (o Saighir), nella contea di Offaly;

    san Mobhi fondò il monastero di Glasnevin;

    san Senan fondò un monastero nell’isola di Scatttery (Inis Cathaigh), alla foce del fiume Shannon e l’abbazia dell’isola Inishmore;

    Anche altri monasteri vennero fondati in Irlanda nel corso del VI secolo:

    san Finnian di Moville fu il fondatore, intorno al 540 del monastero di Druim Fionn e di una famosa scuola monastica a Moville.

    san Comgall fondò nel 559 l’abbazia di Bangor, nella contea di Down in Irlanda del Nord, che divenne anch’essa una famosa scuola monastica e dove si formò san Colombano.

     

     

     Caratteristiche del monachesimo irlandese 

     

    Inizialmente i monasteri irlandesi dovettero essere costituiti semplicemente da capanne in legno, costruite dagli stessi monaci, raccolte intorno ad una chiesa, circondati da una palizzata. Solo in seguito furono costruiti in muratura, in particolare nell’Irlanda occidentale, dove il legno era più scarso. I monaci provvedevano essi stessi al proprio sostentamento e conducevano una vita dura, fatta di lavoro manuale, studio, preghiera e pratiche di mortificazione. Ogni monastero aveva la sua regola e i monaci erano tenuti all’obbedienza nei confronti dell’abate.

    I monasteri vennero fondati a partire da una donazione di terre ad un religioso proveniente da una nobile famiglia locale, il quale ne diveniva abate. Il monastero diveniva quindi il centro spirituale della comunità e del clan. Gli abati che gli succedevano erano generalmente membri della medesima famiglia del fondatore, mantenendo dunque le terre monastiche nell’ambito della sua giurisdizione, secondo la tradizione irlandese, che prevedeva il trasferimento del possesso fondiario solo all’interno della medesima famiglia.

    Furono anche centri culturali e di insegnamento anche per i laici. Furono centri di diffusione per la lingua latina e tramandarono le locali tradizioni celtiche, elaborando la scrittura per la lingua irlandese e introducendo melodie e strumenti celtici nel canto gregoriano, secondo la tradizione dei bardi . Uno dei principali lavori dei monaci consisteva nella copiatura dei manoscritti e vi si sviluppò lo stile insulare nella decorazione miniata.

    Nella società irlandese, priva di una vera organizzazione urbana, anche la figura del vescovo, legato alla città ebbe un’importanza minore. Secondo la tradizione cristiana egli svolgeva infatti un importante ruolo religioso, ma in Irlanda era spesso residente nel monastero e subordinato o pari grado all’abate. La diocesi monastica corrispondeva al territorio del clan.

    La vita monastica si svolgeva in comunità, sebbene l’eremitaggio fosse considerato la forma più alta di monachesimo. Nelle vite dei santi irlandesi si fa spesso menzione di monaci e persino di abati che si recavano a qualche distanza dal monastero a cui appartenevano per vivervi in isolamento.

    Le regole monastiche si basavano sulla preghiera, la povertà e l’obbedienza. I monaci apprendevano la lingua latina, che era la lingua ufficiale della Chiesa e leggevano testi di autori sia pagani che cristiani, facendo dei monasteri degli importanti centri culturali. Entro la fine del VII secolo le scuole monastiche irlandesi accolsero studenti provenienti dall’Inghilterra e dal resto dell’Europa.

     

     Diffusione in Europa 

     

    Il monachesimo irlandese fu un fenomeno di grande importanza per la diffusione del cristianesimo nell’Inghilterra anglosassone e nei regni merovingi nel VI e VII secolo.

    Il monastero di Iona dal mareLe missioni irlandesi iniziarono con quella di san Columba di Iona, o Colum Cille, co-patrono d’Irlanda e uno dei dodici apostoli d’Irlanda. In seguito alla battaglia di Cooldrumman (Cúl Dreimhne, 561), che egli stesso aveva causato, per penitenza si recò missionario in Scozia, con dodici compagni, con il proposito di convertire altrettanti pagani di quella regione quanti erano stati i caduti durante il combattimento. Ottenne delle terre nell’isola di Iona, sulla costa occidentale della Scozia, dove fondò un monastero. Da qui condusse un’energica opera di evangelizzazione dei Pitti, allora ancora pagani, e un’intensa attività diplomatica di mediazione tra i diversi clan scozzesi, facendo inoltre dell’abbazia un importante centro culturale.

    Già nei due secoli precedenti le coste occidentali della Scozia erano state colonizzate da genti provenienti dall’Irlanda. Il termine latino di Scotti si riferiva alle popolazioni di lingua celtica stanziate sia in Irlanda che in Scozia. I monasteri irlandesi che si diffusero nell’Europa continentale, ad opera di monaci provenienti da entrambe le regioni, sono pertanto in alcuni casi indicati con il termine di “monasteri scoti” (Schottenklöster in Germania).

    Sant’Aidano fondò nel 635 il monastero di Lindisfarne in Northumbria e negli anni seguenti i missionari irlandesi convertirono la maggior parte dell’Inghilterra anglosassone: l’ultimo re anglosassone pagano, Penda di Mercia, morì nel 655.

     

     San Colombano

     

    Dal 590 san Colombano fu attivo nei territori merovingi, fondando numerosi monasteri.

    Per primi fondò nella Franca Contea, nel 591-592 il monastero di San Martino ad Annegray, sul sito di un’antica fortezza romana, poi quello di San Pietro a Luxeuil, a circa 8 miglia a sud-est, nell’odierna Luxeuil-les-Bains, dove si stabilì nel 593 e infine quello di San Pancrazio a Fontaines, vicino ai primi due. Dopo essere entrato in contrasto con l’episcopato locale e con i re burgundi fu costretto a ripartire e riprese a viaggiare. Nel 611 fondò a Bregenz sul lago di Costanza il monastero di Sant’Aurelia.

    Abbazia di San Gallo nel 1769Decise in seguito di recarsi a Roma per ottenere l’approvazione della propria regola da papa Bonifacio IV, ma lungo la strada il suo compagno san Gallo fu costretto a fermarsi per una malattia e fondò nel 613 l’abbazia di San Gallo. Colombano arrivò quindi fino a Bobbio dove fondò l’abbazia di San Colombano e dove morì nel 615.

    La regola monastica stabilita da san Colombano fu approvata da un concilio a Mâcon nel 627, ma venne in seguito affiancata da quella benedettina, più moderata a partire dal 643, difatti a Bobbio furono ospitati i monaci benedettini e poi negli altri monasteri colombaniani italiani ed europei, successivamenti per miticare l’austera regola venne scelta quella benedettina per la vita cenobitica pur rimanendo inalterato l’ordine e la parte di regola dedita allo studio alla scienza e all’insegnamento. Molti monasteri colombaniani esteri furono tra il IX secolo ed il X secolo tolti ed assegnati ai benedettini sotto l’autorità dei vescovi locali perdendo quindi la loro autonomia. Successivamente ciò avverrà anche in Italia tranne a Bobbio dove opererà l’ordine di San Colombano fino al 1448, dopo tale data subentreranno anche li i monaci benedettini, anche se dopo il processo di Cremona l’autorità abbaziale dovrà dipendere dal vescovo di Bobbio e non rimanere autonoma.

    Nel corso del VII secolo i discepoli di san Colombano continuarono a fondare monasteri. Uno dei suoi compagni, san Deicolo (o san Deisle), fondò nel 610 a Lure, ancora nella Franca Contea]], l’abbazia di Lure. Un monaco di Luxeuil, sant’Amé fondò, insieme a san Romarico un duplice monastero, maschile e femminile a Remiremont nel 620. Nel 654 san Filiberto fondò secondo la regola di san Colombano l’abbazia di Jumièges in Normandia, e nel 675 un’altra a Noirmoutier su un’isola presso la costa della Vandea.

     

     Dopo san Colombano 

     

    L’attività dei monaci irlandesi in Europa, declinò poco dopo la morte di san Colombano. Nel 664 il sinodo di Whitby aveva riunito il cristianesimo celtico con la Chiesa cattolica romana. Dal 698 fino a Carlo Magno lo sforzo missionario venne compiuto da missioni prevalentemente anglosassoni.

    Altri monaci tuttavia partirono dall’Irlanda e fondarono monasteri nell’Europa continentale: san Disibod, arrivato sul continente nel 640, fondò il monastero di Disibodenberg, alla confluenza del fiume Glan nel fiume Nahe, presso Bad Sobernheim. E intorno alla metà del VII secolo san Feuillen fondò il monastero di Fosses-la-Ville, presso Namur, nel Belgio. Ancora nell’VIII secolo san Pirmino nel 724 fondò l’abbazia di Reichenau sull’omonima isola del lago di Costanza.

    In Germania le fondazioni monastiche di origine irlandese, in particolare quelli benedettini, agli inizi del XIII secolo si riunirono in una vasta congregazione, approvata nel 1215 da papa Innocenzo III, ill cui abate generale era quello a capo del monastero di San Giacomo (detto anche “Monastero scoto”) di Ratisbona, fondato da monaci irlandesi nel 1090 circa. Il più antico di essi era stato comunque il monastero di Säckingen, su un’isola sul Reno presso Basilea in Svizzera, fondato da san Fridolino in data incerta, ma attestato dall878. Tra i monaci irlandesi insediati nell’Europa centrale furono importanti teologi prima Giovanni Scoto Eriugena (815-877) e poi Mariano Scoto (1028 –1082 or 1083)

    Nel XIV e XV secolo molti antichi monasteri irlandesi erano in declino, sia per carenza di disciplina religiosa o per difficoltà economiche, sia per mancanza di monaci scoti: per questo motivo a volte i conventi vennero ripopolati con monaci di altra origine, mentre altri furono soppressi. In conseguenza della Riforma protestante in Scozia, molti benedettini scozzesi si rifugiarono presso i monasteri irlandesi in Germania. Questi però non riuscirono a sopravvivere a lungo e nel 1862 papa Pio IX soppresse l’ultimo monastero irlandese in Germania.

     

    Bibliografia 

     

    L. Dattrino, Il primo monachesimo, Roma 1984 (capitolo su “Il monachesimo celtico”, p.64 e ss.).

    M. Pacaut, Monaci e religiosi nel medioevo, Edizioni del Mulino, 2007 (capitolo su “Il monachesimo celtico”).

     

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