• 13 Mar

    Li amò sino alla fine  

    Lectio di Gv 13,1-26

     

     di p. Attilio Franco Fabris

    La parola di Dio giunge sempre a rimettere in discussione il nostro modo di leggere e di intendere la realtà, la nostra vita, il nostro stesso modo di essere comunità e di vivere le nostre relazioni all’interno di essa. Corriamo il pericolo che avendo già impostato tutto secondo schemi e modalità, forse un tempo validi, questi alla fin fine divengano però talmente scontati e ovvi da impedirci dal prendere in considerazione l’ipotesi che la storia esiga dei cambiamenti. Questi cambiamenti in linguaggio biblico si chiamano…”conversione”.
    Per ovviare a questo rischio risulta indispensabile una nostra “perseveranza” nell’ascolto della Parola: essa è luce infuocata capace di entrare nella nostra vita e nella nostra storia apportandovi il giudizio di Dio, il più delle volte molto lontano dal nostro: Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is 55,9).
    Lasciando che la Parola “dimori sempre più abbondantemente tra di noi” (Col 3,16) come ci invita Paolo apostolo, invochiamo lo Spirito affinché disponga ora il nostro cuore a ricevere il prezioso dono della Parola, perché essa non cada sulla strada della nostra superficialità, fra i rovi delle nostre ansie o tra i sassi delle nostre durezze di cuore.
    Mandaci, Signore, il tuo Spirito a consacrarci nella verità come tuoi veri discepoli, a liberarci dalla concupiscenza, dalla vanità, dall’orgoglio, dalla distrazione, affinché, invasi dalla tua beatitudine possiamo gioire in te e trovare la forza di essere servi con te” (Bernard Haring).

    Lectio

     Il racconto della Passione nel vangelo di Giovanni viene introdotto con l’inaspettata scena della lavanda dei piedi. Si tratta di una solenne introduzione che offre all’ascoltatore la chiave di lettura di tutto ciò che l’evangelista sta per narrare nei capitoli riguardanti la passione.
    L’episodio si svolge “prima della festa di pasqua“, sembrerebbe, stando alla cronologia di Giovanni, la sera del giovedì santo durante la cena pasquale. Per Gesù è la celebrazione della sua pasqua di passione e morte verso la terra promessa del regno del Padre suo. È una nuova Pasqua, quella definitiva, che segna l’inizio di un mondo nuovo e di un popolo nuovo.
    A Giovanni preme sottolineare che Gesù non è costretto ad entrare nella sua passione, quasi fosse un triste incidente di percorso. Per ben tre volte, nei capitoli che narrano la passione, l’evangelista ricorda all’ascoltatore che Gesù “sa“e “conosce” quello a cui sta andando incontro (13,3; 18,4; 19,28). Proprio per questo Gesù è sovranamente libero, e questo è di capitale importanza considerando che solo una piena libertà può esprimere la grandezza e la gratuità del dono che egli sta per fare della sua vita al Padre e ai fratelli.
    Egli è altresì consapevole del “potere” che il Padre gli ha dato “su ogni cosa“. Per lui “potere e autorità” significano mettere a disposizione dei fratelli la propria vita fino alla morte, non trattenendo nulla per sé. E’ un “potere” che svuota se stesso facendo della vita e della morte un servizio d’amore.
    Tutto il racconto della lavanda dei piedi e della Passione che segue, trova la sua nota iniziale nella formula solenne che descrive Gesù come colui che “avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine“.
    “Sino alla fine“: ovvero si tratta di un amore che non teme di scendere fino alle più estreme conseguenze del perdere se stessi. “Sino alla fine” si potrebbe tradurre con “fino alla morte” il che significa che tra la sua vita e la nostra, Gesù non ha dubbi, sceglie la nostra. Il suo amore è realmente un amore che è disposto a morire per l’altro. Nell’umanità di Gesù, Dio, rinunciando a tutti i suoi privilegi di “potenza” e di “autorità”, viene incontro alla sua creatura ponendosi gratuitamente al suo servizio, incondizionatamente, rivelando allo stesso tempo il mistero del suo “folle” amore per le sue creature.
    Dopo questa intensissima premessa teologica ecco l’evangelista Giovanni descrivere minuziosamente la scena della lavanda dei piedi. Nelle cene rituali ebraiche il capofamiglia presiedeva il rito e le solenni preghiere conclusive. All’inizio il più giovane, o un servo, lavava le sue mani. Gesù capovolge l’uso: lava i piedi anziché le mani ed è lui stesso che compie il gesto. Lavare i piedi era comunque un lavoro proprio dello schiavo o tutt’al più del servo: un maestro non lo poteva richiedere neppure ad uno schiavo giudeo. Agli occhi dei discepoli Gesù compie dunque un gesto sconcertante e incomprensibile, in certo qual modo scandaloso.
    Le azioni di Gesù sono descritte quasi al rallentatore una ad una, minuziosamente, il che significa che, per l’evangelista, esse vanno attentamente contemplate ed interiorizzate. Gesù si alza da tavola, depone le vesti che sono segno della dignità dell’uomo libero, si cinge con un asciugatoio che è la divisa del servo, e in ginocchio inizia a lavare i piedi umilmente e in silenzio ai suoi discepoli. Prendono qui forma visibile i detti di Gesù in Luca e in Marco: “Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve?… Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27), e: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” (Mc 10,45; cfr 1 Pt2,21-24).
    Deponendo le vesti e “assumendo la condizione di servo” (Fil 2,7) Gesù anticipa così l’umiliazione della croce. Egli vuole rappresentare, in una sorta di drammatizzazione, la sua morte di croce. I verbi “deporre” e “riprendere” le vesti rimandano in effetti chiaramente all'”offrire la propria vita” per poi “riprenderla di nuovo” (10,18).
    La reazione di Pietro è significativa: egli rifiuta categoricamente il gesto di Gesù. Il suo “No!” è una negazione assoluta in tutto simile a quel “Non ti accadrà mai!” riferito alla passione preannunciata da Gesù a Cesarea (cfr. Mc 8,31-33). Per lui vedersi lavare i piedi dal Maestro è incomprensibile perché è ancora distante dall’intendere la vita come dono e servizio. Resiste a lasciarsi amare e ad amare incondizionatamente da e come Gesù. Rifiuta il gesto di Gesù nello stesso modo in cui dinanzi alla croce fuggirà. Pietro d’altronde non può capire. E come lo potrebbe? Potrà iniziare ad intendere qualcosa solo dopo l’annuncio e la catechesi postpasquale di Gesù risorto e il dono del suo Spirito che, finalmente, offrirà a lui e agli altri discepoli la giusta interpretazione della passione e morte del Maestro e dunque anche del gesto della lavanda dei piedi.
    Al termine Gesù, tornato al suo posto, rivolge una parentesi ai suoi. Egli invita i discepoli a far proprio il gesto veduto affinché tra loro facciano altrettanto. Se lui “Maestro e Signore” ha fatto così anche loro dovranno assumere il ruolo di servi gli uni degli altri.
    Questa imitazione contiene una promessa di beatitudine (è una delle due sole beatitudini contenute  nel vangelo di Giovanni): “Sarete beati se la metterete in pratica“. E’ un invito esplicito a riportare quello che si è visto e ascoltato nella vita della comunità (cfr. Gc 1,22-26; Mt 7,21-27). Essa però non deve, e non può, scaturire da un modello semplicemente esterno. Sarebbe ancora un imperativo morale dato da una legge esterna dalla quale Gesù ci vuole liberare. Sarà solo alla luce dell’esperienza dell’essere stati amati infinitamente, come prefigurato dalla lavanda dai piedi e realizzato dalla morte di croce, che questo comando potrà trasformarsi in spinta dinamica ed interiore perché anche la vita del discepolo si trasformi in umile servizio agli altri rinunciando ad ogni sorta di potere. 

    Collactio

     “Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27). Questo detto di Gesù trova la sua visualizzazione e realizzazione prima nel Cenacolo e poi, in pienezza, sul Calvario (Gv 19,18).
    Stare in mezzo” per Gesù significa porsi nell’atteggiamento della piena disponibilità agli altri. Lui non rifugge né si nasconde per timore dell’esigenza del servizio. A differenza di noi, non “sta in mezzo” per emergere, per disporre ed imporsi. Nel Cenacolo e sul Calvario “sta in mezzo” facendosi scandalosamente, lui Maestro e Signore, servo di tutti.
    Ciò che ci sconvolge ancor più è il fatto che Gesù lava i piedi ai suoi, “sapendo” che dopo non molte ore lo avrebbero abbandonato. Eppure non per questo rifiuta il dono del servizio della propria vita: anzi egli sa che proprio per questo i discepoli hanno bisogno di toccare con mano il dono della sua vita.
    Inginocchiarsi e mettersi a lavare i piedi degli altri non è facile. Anzi! Anche noi, come Pietro, reagiremmo all’invito di Gesù dicendo: “Questo è troppo! Non è il caso… non esageriamo”. E’ infatti scomodo lasciarci lavare i piedi da Gesù, non tanto per lui che si trova perfettamente a suo agio nelle vesti del servo (“Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” Lc 22,27), quanto soprattutto per noi. Vorremmo non confrontarci con quel che Gesù è e fa in ginocchio davanti ai suoi: va troppo contro il nostro modo di intendere la vita e la relazione con gli altri. Il gesto di Gesù ci fa entrare in una “porta stretta” scomoda ed esigente: per lui autorità e potere significano la piena libertà di porre la propria vita a servizio dell’altro, volere e preferire il bene dell’altro a costo di rimetterci la propria vita. E’ venuto a dirci che Dio è proprio così: è in questo modo che esercita il suo potere sulle sue creature.
    Questo suo modo di intendere il “potere” e il suo essere “Maestro e Signore” contesta in modo stridente i nostri giudizi e criteri. Noi siamo assetati del potere che vorrebbe assoggettare gli altri a noi stessi imponendo la nostra volontà in una sorta di illusione di onnipotenza. Vorremmo ad ogni costo successo, riuscita, realizzazione, vorremmo vivere alla luce della ribalta sempre applauditi e riconosciuti. Questo accade non solo all’esterno, nel mondo, ma anche all’interno delle nostre famiglie, delle nostre stesse comunità religiose; non per nulla Gesù ammonisce la sua comunità conoscendo il perenne rischio: Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo” (Mt 20,26).
    Inginocchiarci a servire l’altro lo avvertiamo come una “perdita” di noi stessi, equivale ad un morire a tutte le nostre pretese di essere al centro, un attentato alla nostra dignità, alla nostra libertà, al  nostro… potere. 
    A questa prospettiva la nostra coscienza intaccata dal nostro egocentrismo, come quella di Pietro, si ribella. Noi non siamo capaci di questa gratuità. Abbiamo perciò bisogno di guarigione nel ripensare e reimpostare le nostre relazioni all’interno delle nostre comunità. Ma perché si operi tale guarigione abbiamo bisogno ogni giorno di recarci al Cenacolo e sul Calvario, di farci lavare i piedi da Gesù. Solo l’esperienza di lasciarci toccare da quelle mani può aiutarci a comprendere, seppur a stento, che il potere è servizio. Nel Cenacolo e sul Calvario non si può più cadere in equivoco nell’interpretare le nostre relazioni e le modalità con cui vivere il potere all’interno della comunità dei discepoli. Scriveva Agostino nella sua “Regola”:  “La superiora non si consideri dominatrice per autorità, quanto piuttosto felice di servire per carità“. E la “Regola di Taizé” definisce il superiore come “servo della comunione“.
    Solo l’aver udito, visto e toccato la misura del servizio di Gesù nella sua passione può far sgorgare improvvisa in noi, come una sorgente inaspettata sepolta nel profondo del cuore e dimenticata, la gratuità che nasce dalla gratitudine.
    Da Gesù impareremo anche noi “a stare in mezzo” alla comunità per servire, per fare della nostra vita un dono gratuito a Dio e ai fratelli in unione alla sua offerta. 

    Oratio

     Signore Gesù, è difficile accettare di farci lavare i piedi da te. Ci sentiamo a disagio, vedendoti lì in mezzo, inginocchiato davanti a noi col grembiule e il catino. Un disagio difficile da comprendere.
    Forse, Signore, la ragione è che facciamo fatica a lasciarci amare da te così come siamo, con i nostri piedi sporchi che hanno calpestato strade di tradimento, egoismo, chiusura.
    Ma è altresì un disagio, Signore, che avvertiamo considerando che quel che tu fai lo domandi anche a noi. Ma troviamo così difficile, a volte impossibile, lavare i piedi al fratello e alla sorella.
    Metterci in ginocchio davanti a loro ci costa, ci sembra di perdere, di morire troppo al nostro orgoglio e al nostro bisogno di emergere e imporci.

    Posted by attilio @ 10:18

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