• 24 Giu

    Spunterà un germoglio dal tronco reciso
    Una rinascita insperata: Is 11,1-10

     

    Messaggio centrale

    L’orizzonte descritto è segnato amaramente da un tronco ormai irrimediabilmente reciso. Eppure inatteso e insperato un piccolo germoglio per volontà divina vi spunta nuovamente. In esso è riposta ogni speranza di un futuro diverso: sarà un virgulto destinato a crescere e a produrre frutti di pace e di giustizia per il mondo intero.

    Davide, e tutto Israele con lui, ha ricevuto da JHWH la promessa di una discendenza che avrebbe portato nel regno pace e giustizia. La storia sembra smentire la promessa: essa ripresenta puntualmente una serie di governanti inetti o tirannici che usurpano il loro ruolo a vantaggio di interessi personali e tornaconti egoistici. Isaia è deluso del re Acaz che dal 721 regna su Giuda: egli non ripone la sua speranza in JHWH per cui il profeta intravede inevitabile nel futuro la catastrofe di tutto il popolo: Dio attraverso l’opera distruttrice degli Assiri, preannuncia il profeta, castigherà la casata di Davide.

    In Israele scaturisce così man mano per il ministero dei profeti la speranza di un re finalmente diverso che avrebbe adempiuto finalmente le promesse e le attese: si tratta di una speranza che conduce alla consapevolezza sempre maggiore che potrà solo Dio stesso portare a compimento tutte queste attese. In Ez. 34 ad esempio JHWH personalmente dice di voler riprendere in mano l’esercizio dell’autorità mandando una persona di totale sua fiducia togliendo di mano lo scettro a guide incapaci e corrotte: tale personaggio sarà un discendente di Davide secondo la promessa.Susciterò per loro un pastore che le pascerà, Davide mio servo. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore;  io, il Signore, sarò il loro Dio e Davide mio servo sarà principe in mezzo a loro: io, il Signore, ho parlato. Stringerò con esse un’alleanza di pace e farò sparire dal paese le bestie nocive, cosicché potranno dimorare tranquille anche nel deserto e riposare nelle selve” (Ez 34,23-25)

    Anche nel nostro brano Isaia annunzia l’arrivo di questo re-messia che porterà un’era di giustizia e di pace. La promessa fatta a Davide non può essere ritratta perché Dio non può venir meno alla sua parola. Nonostante il castigo comminato alla discendenza di Davide che sarà estirpata, una radice umile del suo tronco abbattuto sarà preservata; proprio da tale radice un nuovo germoglio verrà alla luce portatore di nuova speranza.

    1 Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,

    un virgulto germoglierà dalle sue radici.

    Viene affermata anzitutto la provenienza umile del re messia: spunterà nuovamente come Davide stesso “dal tronco di Iesse” (v.1).  Ora l’immagine del “germoglio” per descrivere il nuovo Re-Messia è presente anche in altri profeti: in Gr 23,5 ad esempio è detto: “Ecco verranno giorni – dice il Signore – nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra”. Anche il Servo sofferente nel terzo Isaia viene raffigurato come un germoglio: “crescerà come un virgulto… com una radice in terra arida” (Is 53,2). E ancora in Zc: “manderò il mio servo Germoglio… spunterà da se… ricostruirà il Tempio del Signore, riceverà la gloria, siederà da sovrano sul suo trono” (6,12s). La simbologia ricorrente del germoglio è ricca di significati: il germoglio è essenzialmente promessa di vita lì dove si vedrebbe solo sterilità e morte, nella sua piccolezza e umiltà possiede un’energia strepitosa. Dalla sua piccola e insignificante presenza fuoriescono rami, foglie e frutti. La gemma dice il miracolo della vita che vince ogni morte!

    Ora per Isaia la stirpe di Davide è stata castigata a causa della sua infedeltà: il suo tronco (l’albero genealogico) è stato reciso alla radice: Tutto sembra ormai distrutto! Ma proprio da questa radice Isaia promette lo spuntare di un nuovo germoglio completamente nuovo ed inatteso: questo virgulto sarà dono gratuito di Dio, frutto della sua grazia in quanto Israele (l’umanità) da se stesso è assolutamente incapace di farlo spuntare dal suo interno. Si tratta in certo qual modo di un nuovo principio operato dalla potenza vitale di Dio: ci sarà un nuovo Davide uomo “secondo il cuore di Dio

    Isaia riafferma la volontà salvifica da parte di Dio che non si arrende dinanzi al fallimento causato dal peccato dell’uomo: il castigo non può essere definitivo perché lui è il Dio della vita (Nm 27,16).  Questo germoglio dono di Dio è per la tradizione biblica vetero e neo testamentaria il Messia atteso.

    Nel v. 2 Isaia descrive l’azione e la concentrazione della “Ruach”  di Dio sul “virgulto”:

    2 Su di lui si poserà lo spirito del Signore,

    spirito di sapienza e di intelligenza,

    spirito di consiglio e di fortezza,

    spirito di conoscenza e di timore del Signore.

    Come lo Spirito all’inizio si posò su Davide (1Sam 16,13), così su questo secondo Davide scende in pienezza il dono di Dio affinché egli possa adempiere alla perfezione la sua missione. Lo “Spirito” viene invocato sul “Germoglio” dai quattro punti cardinali per quattro volte (=in pienezza): immagine che sta a significare come il dono di Dio vi si concentra interamente e stabilmente. E’ in certo qual modo una riedizione della creazione e della storia della salvezza: “Mandi lo Spirito, sono creati e rinnovi la faccia della terra” (Sal 104,30; cfr Nm 11,17; Gdc 3,10; 6,34; 11,29; 1Sam 11,6; “Sam 23,2; 2Re 2,9).

    I doni e gli effetti dello Spirito vengono descritti mediante tre coppie di concetti (il dono della pietà sarà aggiunto successivamente dai traduttori greci e latini per raggiungere il numero sette indicante ancora la pienezza). I doni elencati abbracciano tre diversi livelli dell’esistenza: intellettuale, governativo, religioso.

    Anzitutto è Spirito “di sapienza e intelligenza”: la sapienza darà la capacità di agire in modo adeguato alle circostanze cogliendone i profondi risvolti, mentre l’intelligenza offrirà al Re la chiara conoscenza della situazione.

    Lo Spirito porta anche il dono del “consiglio e della fortezza”: lo Spirito sarà perfetto “consigliere” del re indicandogli mete e mezzi appropriati, mentre il dono della fortezza farà sì che abbia il coraggio e la costanza nel portare a termine le decisioni prese.

    Infine lo Spirito è di “conoscenza e di timore del Signore”: la “conoscenza” del Signore è rapporto vivo e autentico con Dio riconosciuto, confessato attraverso le opere di amore e di giustizia. Il “timore” di Dio sta invece ad indicare la fiducia, l’obbedienza nel riconoscere Dio quale unico Signore.

    Nei vv.3-5 viene descritta l’attesa più profonda che la venuta del re Messia dovrà realizzare e finalmente instaurare dopo ripetuti fallimenti e tradimenti da parte della precedente dinastia davidica: è il compimento di un regno di giustizia autentica e dunque di pace (cfr Sal 72 e 101 rispettivamente ritratto del re perfetto e lo specchio del principe modello).

    3 Si compiacerà del timore del Signore.

    Non giudicherà secondo le apparenze

    e non prenderà decisioni per sentito dire;

    4 ma giudicherà con giustizia i miseri

    e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese.

    La sua parola sarà una verga che percuoterà il violento;

    con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio.

    5 Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia,

    cintura dei suoi fianchi la fedeltà.

    Il “Re-Messia” sarà anzitutto il giusto giudice che difenderà il diritto di ciascuno distruggendo ogni forma di ingiustizia. Mentre i giudici umani dipendono da ciò che vedono e da ciò che viene loro esposto, il re promesso riceverà dalla Ruach di JHWH la capacità di vedere le cose come Dio stesso ovvero in profondità e non in apparenza, saprà leggere infatti nel cuore (2Sam 16,7). Il suo giudizio è perciò emesso in perfetta giustizia ed equità

    Una seconda caratteristica del nuovo Re sarà la sua incorruttibilità, in altre parole la sua ferma volontà di prendere le parti di chi non può far valere il proprio diritto: i poveri (Is 1,17).

    Gli sfruttatori e i violenti saranno di conseguenza distrutti dalla “verga” del giudizio emesso dalla sua bocca e “con il soffio delle sue labbra”. (Giovanni riprenderà tale immagine: “dalla bocca del Figlio dell’uomo uscirà una spada affilata a doppio taglio”: Ap 1,16).

    Anche la fascia  e la cintura, insegne regali assunte nel giorno dell’investitura, divengono qui simboli trasparenti della “giustizia e della fedeltà” del re Messia nell’adempiere alla sua missione.

    Con i vv.6-10 inizia la seconda parte del carme. Quali conseguenze emergeranno da un regno retto da tal sorta di Re-Messia?

    6 Il lupo dimorerà insieme con l’agnello,

    la pantera si sdraierà accanto al capretto;

    il vitello e il leoncello pascoleranno insieme

    e un fanciullo li guiderà.

    7 La vacca e l’orsa pascoleranno insieme;

    si sdraieranno insieme i loro piccoli.

    Il leone si ciberà di paglia, come il bue.

    8 Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide;

    il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi.

    Inizierà un tempo di pace universale! Questa pace si colloca a diversi livelli progressivi: anzitutto pace e armonia tra gli animali, poi tra animali e uomo, tra uomo e uomo, infine tra gli uomini e Dio. Il denominatore comune è il definitivo superamento di ogni stato di violenza, paura, diffidenza, ingiustizia.

    Le scene presentate sono un idillio di pace: in esse si prospetta la possibilità di un ritorno al paradiso perduto a causa del peccato, nel ripristino conseguente di quell’armonia originaria della creazione infranta. Nel regno del futuro re sarà cancellata la maledizione comminata all’uomo e alla creazione a causa del peccato (Gen 3,15). Si tratta di un nuovo ordine di rapporti in cui coppie antitetiche di animali selvatici e domestici si ritrovano in un’armonia inedita e durature (anche i loro piccoli… v. 7). Non ci saranno più “carnivori”! Anche il grande nemico il serpente, simbolo di ogni idolatria e peccato (Gn 3), ritrova una sua nuova collocazione all’interno della creazione rinnovata in cui l’uomo non dovrà temere alcuna conseguenza di male e di morte: “Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide; il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi” (v.8). Da notare come in tutto il “Libretto dell’Emmanuele” è sottolineata la presenza allusiva al “bambino”: è l’essere più debole ed indifeso che tuttavia “guida” la nuova creazione (Mt 21,16; Mc 10,14).

    9 Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno

    in tutto il mio santo monte,

    perché la saggezza del Signore riempirà il paese

    come le acque ricoprono il mare.

     

    Il centro di questa nuova creazione, di questo nuovo Eden sarà il monte di Sion, il “mio santo monte” (v. 9) ove Dio ritorna a dialogare familiarmente con l’uomo (Gn 3,8), luogo in cui l’uomo riscopre la vera “conoscenza“ di Dio da cui scaturisce “saggezza” di vita offerta a tutti gli uomini in una pienezza sconfinata tale da evocare la sterminata distesa del mare: “Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte” (v.9).

    Infine dalla pace con Dio scaturirà la pace fra tutti gli uomini. Cesserà ogni violenza e ogni lotta. Il debole non dovrà temere il forte: le lance saranno trasformate definitivamente in vomeri.

    Questa nuova armonia e questo ritorno alla pace paradisiaca trova la sua motivazione ultima nell’alleanza rinnovata tra Dio e gli uomini: la pace col creato e con i propri simili dipende dalla pace con Dio.

    10 In quel giorno

    la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli,

    le genti la cercheranno con ansia,

    la sua dimora sarà gloriosa.

     

    L’ultimo versetto che fa da chiusura e cerniera con quel che segue assume un’intonazione universale: la presenza e l’opera del germoglio-discendente di Jesse diventeranno benedizione per tutti i popoli, non solo per Israele. A lui tutte le genti guarderanno come unica e vera sorgente di speranza e di pace, perciò la “Radice di Jesse” la si “cercherà con ansia” e la sua dimora, Gerusalemme, diverrà punto di incontro e di attrazione per tutti i popoli.

    La promessa fatta attraverso le labbra di Isaia non si è realizzata nell’antica alleanza. Questo testo di Isaia è ripreso nel nuovo Testamento. Gesù a Cafarnao inaugurando il suo ministero presso i suoi concittadini di Nazaret citerà appunto Is 61,1-2: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato ad annunziare ai poveri il lieto messaggio” (Lc 4,18s). E’ lui il retto giudice che “vede nel cuore dell’uomo”, è lui che sta dalla parte dei poveri ed indifesi, ed è ancora lui che si presenterà come “Figlio dell’uomo” ovvero come giudice finale della storia ad emettere un giudizio secondo verità: “La sua parola sarà una verga che percuoterà il violento; con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio.”.

    Vi è in Gesù la chiara consapevolezza di essere lui l’atteso Re-Messia sul quale si posa-rimanendo lo Spirito di Dio ed è ancora lui che con autorità annuncia la presenza del Regno: “Il Regno di Dio è in mezzo a voi”.

    Nella notte a Betlemme gli angeli annunzieranno ai poveri una buona notizia: “Pace in terra agli uomini che Dio ama” (Lc 2,14b). Con Gesù è dunque entrata la pace di Dio nel mondo, è stato inaugurato il regno promesso da Isaia. Perciò la fede cristiana riconosce nel germoglio di Davide profetizzato Gesù di Nazaret.

    Tuttavia tale compimento della promessa del regno non ha raggiunto la sua pienezza: siamo nell’economia del “già e non ancora” per cui la nostra profezia rimane un messaggio attuale capace di offrire orizzonti di speranza.

    Ora sperimentiamo sì la verità e la presenza del Regno di pace ma ancora in germe, nei piccoli segni che rimandono ad un al di là che attende ancora compimento. Tutto questo costituisce l’attesa-promessa neotestamentaria dei cieli e della terra nuova: “Ecco io creo cieli nuovi e terra nuova… si godrà e si gioirà per sempre” (Is 65,17-18: Ap 21,1.27; 2Pt 3,13). Si tratta dello stesso gemito paolino che si fa voce dell’anelito a quella nuova creazione liberata finalmente dal veleno della violenza e della morte: “Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza” (cfr Rm 8 22-25).

    Per la riflessione

    La delusione attanaglia la nostra esperienza, siamo spesso scoraggiati perché senza speranza: tutte le attese e speranze sembrano disintegrarsi tra le mani dell’uomo di oggi. E’ difficile credere alla nascita di un nuovo mondo, di un inatteso “germoglio” capace di cambiare una storia che sembra precipitarsi nella voragine di una drammatica conclusione.

    Eppure la rivelazione biblica apre alla possibilità di una ripartenza, di una rinascita che rappresenti un ritorno al progetto iniziale del Creatore.

    La fede cristiana riconosce in Cristo questo “germoglio” donato all’umanità gratuitamente. La sua presenza e la sua azione, attraverso la continuità della sua comunità,  sta crescendo e sviluppandosi al di là di tutti i nostri meriti e capacità. In Lui il Regno di Dio è impiantato saldamente nella storia e ne possiamo già godere in pegno i frutti i di pace e di vittoria su ogni paura da cui scaturisce ogni sorta di male e di violenza.

    Preghiera conclusiva

    Quanto a me, Signore,
    tutta la mia fiducia è la mia fiducia in te:
    quella fiducia che non deluse nessuno;
    nessuno sperò nel Signore e rimase deluso.
    Io sono dunque certo che sarò eternamente felice,
    perché spero fermamente di esserlo
    e perché è da te, mio Dio, che lo spero:
    in te, Signore, ho sperato,
    non sarò mai deluso in eterno.
    Infine sono certo che posso sperare totalmente in te
    e non posso avere meno di ciò che avrò sperato da te.
    Spero che tu mi amerai sempre
    e che io ti amerò senza interruzione.
    E per portare in una parola
    la mia speranza il più avanti possibile,
    io spero te, te stesso da te stesso,
    mio Creatore e nel tempo e nell’eternità. Amen.

    Jean Guitton, filosofo

     

    Posted by attilio @ 09:52

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