• 14 Giu

    Lode alla donna forte
    Lectio di Giuditta 8,1-35 (passim)

     

    di p. Attilio Franco Fabris

    La città di Betulia è assediata dall’esercito di Oloferne generale delle truppe assire. Gli abitanti sono angosciati perché sono all’estremo e prevedono ormai imminente la catastrofe, non c’è più acqua! L’angoscia percorre le strade e i cuori di tutti e fa prendere decisioni insensate. La fede vacilla e si giunge a voler mettere alla prova Dio stesso. Solo una donna rimane ferma e sicura di sé; la sua vita poggia tutta nel Signore salda roccia che mai vacilla.

    Anche oggi esistono nella Chiesa e nel mondo tante “Betulie”: ovvero situazioni in cui ci si sente assediati, finiti e rischiamo di fare a nostra volta scelte sbagliate dettate dalla paura. Occorre una saldezza e un coraggio che il nostro cuore da solo non può darsi.

    Domandiamo lo Spirito di fortezza e di sapienza per i tanti assediati di oggi e invochiamo nuovi profeti che sappiamo intraprendere vie nuove di salvezza che la nostra cecità non riesce a vedere:

    Io so, o Padre, che mi stai vicino: con tutto lo slancio del mio essere ti supplico di accordarmi il tuo Spirito santo. Grazie a lui, sarò liberato dalla mia fragilità. Il tuo Spirito mi farà amare Te con tutta la mia vita: egli è la radice di ogni vero amore. Se tu non vegli su di me, io sono una creatura perduta! Ti supplico, Padre amato: riversa nel mio cuore lo Spirito santo, perché la sua presenza mi ristori e mi riscaldi con l’Amore. Allora potrò con fermezza rischiare la mia vita su di te, amarti con tutto il cuore, con la mia anima, con il mio respiro e con tutte le mie forze” (s. Tommaso Moro, scritta nella Torre di Londra pochi mesi prima della sua esecuzione capitale 1535).

    Lectio

    Difficile è datare storicamente il nostro autore e definire il genere letterario a cui appartiene il libro da lui composto. I dati cronologici presentati nel testo sono inconciliabili con quelli della storia: nel personaggio nemico di Israele che è il re Nabucodosor re degli assiri il nostro autore vuole concentrare simbolicamente tutto ciò che sempre rischia di distruggere l’opera di Dio e la fede del suo popolo.

    Per ben sette capitoli il nostro autore si dilunga a narrare la drammatica situazione in cui il popolo di Betulia (città inesistente!) si trova a dover far fronte. L’assedio dell’esercito nemico diviene giorno per giorno sempre più insostenibile. La penuria d’acqua in città ha ridotto i suoi abitanti allo stremo e in questa situazione disperata hanno costretto i capi ad un ultimatum di cinque giorni rivolto a Dio stesso: o egli interverrà donando l’acqua oppure si consegneranno tutti al nemico (7,30-31). Tale prova a cui i capi, stretti dalle proteste del popolo, vogliono sottomettere Dio, fissandogli un termine per essere liberati è naturalmente una pretesa assurda dettata da una mancanza di autentica fede.

    È in questo momento così teso che entra all’improvviso in scena una donna: Giuditta (il nome significa “giudea”). Dal nostro testo ci viene presentata come un’autentica figlia d’Israele, alla pari di altre grandi donne che l’hanno preceduta e che hanno operato salvezza per il loro popolo quali  sono state Giaele e Debora (Giudici 5). La genealogia di Giuditta – la più lunga riservata ad una donna nella bibbia – risale fino al patriarca Giacobbe-Israele (v.1). Suo marito, grande proprietario terriero morto per un’insolazione durante la mietitura, era della sua stessa tribù (v 2-3). Un tale matrimonio denota una stretta osservanza della Legge tipica del post esilio (cf Tb 5,11). Giuditta dunque è rimasta vedova repentinamente e in giovane età e senza discendenza di figli: la sua maternità si eserciterà nei confronti dell’intero popolo di Israele. Nei vv. 4-8 Giuditta viene presentata come donna dedita ad una saggia amministrazione dell’eredità del marito, la sua vita di fede è intensa, fatta di ritiro, penitenza, digiuno e preghiera. In pochi tratti è dipinta magistralmente nel ritratto ideale della donna israelita che unisce fascino e spiritualità, ricchezza e bellezza, benessere e fede.

    Giuditta, viene a conoscenza della decisione dei capi della sua città e con un’autorevolezza inusuale per una donna, li convoca a casa sua per discutere la stolta decisione che hanno preso. Le sue parole, dettate dalla sua “sapienza” (v.29) e dai toni che possiamo rintracciare nei testi profetici, sono anzitutto di rimprovero e ammonizione: “Ora, chi siete voi che avete tentato Dio in mezzo ai figli degli uomini? Certo, voi volete mettere alla prova il Signore onnipotente, ma non comprenderete mai nulla” (vv. 12-13). Essi sono caduti nell’insipienza di voler tentare Dio, quasi sfidandolo, mettendolo alla prova affinché operi nei termini e nei modi da loro prestabiliti: l’uomo di fede al contrario deve confidare senza condizioni nel Dio che salva: “Voi non vogliate ipotecare i disegni del Signore, nostro Dio, perché Dio non è come un uomo cui si possano fare delle minacce, o un figlio d’uomo sul quale si possano esercitare delle pressioni” (v. 16).

    Le sua parole vogliono riconfermare e ribadire ai capi e al popolo il primato del Signore che dona la sua salvezza nella sua liberalità e non secondo “ultimatum” dell’uomo dettati dalla sfiducia: “Se non vorrà aiutarci in questi cinque giorni, egli ha pieno potere di difenderci i giorni che vuole” (v.15).

    Giuditta nel suo discorso fa leva anche sul tema della responsabilità della gente di Betulia nei confronti di tutto il rimanente popolo di Israele: la loro resa o la loro resistenza avrà una ricaduta su tutti: “Perché se noi saremo presi, resterà presa anche tutta la Giudea e sarà saccheggiato il nostro santuario e Dio chiederà ragione di quella profanazione al nostro sangue” (v. 21)  Le scelte operate dall’uomo non sono mai senza conseguenze né per sé né per gli altri.

    Quello che il popolo di Betulia sta vivendo è una grande e dolorosa prova ma è necessario leggere tale situazione alla luce della parola per non cadere nella disperazione: le prove a cui si va incontro non sono che una purificazione da accogliere umilmente: “Ringraziamo il Signore nostro Dio che ci mette alla prova, come ha già fatto con i nostri padri” (v. 25). Giuditta rinvia dunque alla memoria dei patriarchi (v.27); tutti costoro infatti sono stati provati da Dio rimanendo fedeli. Così sul loro esempio, tutti sono invitati alla fiducia sostenendo la prova purificatrice permessa da Dio: “È a scopo di correzione che il Signore castiga quelli che gli sono vicini” (v. 27; cfr Dt 8,2-5).

    Una cosa è certa: se Israele si manterrà fedele all’alleanza Dio non potrà non intervenire a salvare il suo popolo donandogli ancora salvezza e colpendo l’oppressore.

    La reazione dei capi al discorso della donna è enigmatica. Il capo politico della città che è Ozia reagisce in modo ambiguo: anzitutto scarica la colpa della decisione sul popolo (v. 30) poi dice di affidarsi alle preghiere e alla saggezza di Giuditta (v.32) ma non si comprende se queste parole sono dette con convinzione oppure con ironia. Da parte dei capi c’è ancora la pretesa che la salvezza giunga da Dio nel modo da loro già prestabilito (v.31).

    A questo punto Giuditta trova il coraggio di staccarsi da queste esitazioni e compromessi che denotano solo calcoli umani. Per ben otto volte (nei cc. 8-16)  ripeterà l’espressione: “per mano mia il Signore visiterà Israele” indicando che attraverso di lei Dio donerà la salvezza al suo popolo. L’espressione ha un senso profondo: la “mano” di Mosè, nel libro dell’esodo, è lo strumento che Dio usa per agire (“visiterà”) nella storia (Es 9,22-23;…). Ora Dio usa la mano di una donna per ripetere le gesta gloriose di un nuovo esodo. Sappiamo dal proseguo del racconto che Giuditta “uscirà” (v.33) dalla città per entrare nell’accampamento nemico. Con uno stratagemma tutto femminile sedurrà il generale Oloferne, e al momento propizio, nella notte, gli mozzerà il capo con una spada. Le truppe senza più comandante si disperderanno e la città di Betulia e tutto Israele ritroverà la sua libertà.

    Questo piano d’azione non è rivelato da Giuditta a nessuno, è un segreto! Il che sta ad indicare che ella vi vede una collaborazione col nascosto disegno divino. Ai capi della città domanda solo fiducia.

    Meditatio

    L’istituzione, nel brano biblico commentato, fa una ben magra figura. I tre capi di Betulia  sono disposti a tradire il fondamento della fede israelita quando sono messi di fronte a scelte difficili e rischiose per la loro posizione: tra assalitore e assaliti essi cercano in ogni modo di salvare se stessi e la situazione a scapito dei valori più sacri. Per far fronte al malumore e all’insoddisfazione dei più l’istituzione corre sull’onda del “political correct” che non scontenta nessuno mancando tuttavia allo scomodo servizio alla verità.

    Certamente non è facile la situazione dei capi di Betulia che li porta ad una decisione inaccettabile e che non esitano a scaricare sul popolo (v. 30). D’altra parte il popolo è disorientato, in preda al terrore dell’imminente assalto dei nemici. Ma quel che vale la pena sottolineare è che qui si assiste all’ennesimo palleggio delle responsabilità in cui man forte e ultima parola l’ottiene la paura e più precisamente la paura di perdere. Quell’ultimatum posto a Dio non è certo atto di fede ma estremo e disperato tentativo di rimandare il problema al fine di mantenere lo “status quo” il più a lungo possibile a costo di piegarvi addirittura il Signore.

    La parola, mediata da Giuditta è quella che sempre i profeti hanno annunciato ad Israele quando si è trovato in situazioni simili: un invito alla fiducia, alla speranza, “facendo memoria” delle liberazioni-esodi operate ripetutamente da Dio: “attendiamo fiduciosi la salvezza che viene da lui” (v. 17).

    Giuditta appare donna determinata, sicura, anticonformista, autorevole, saggia. Ha del “carisma” si direbbe oggi! Pur vedova e senza figli non è una donna che si è lasciata trascinare nel rimpianto e nel dolore a causa della sua triste situazione, non ci appare ripiegata nella sofferenza come sarebbe naturale attendersi da chi improvvisamente si trova a dover far fronte alle improvvise “disgrazie” della vita. Si direbbe in termini psicologici che abbia attraversato brillantemente la fase dell’elaborazione del suo lutto riaprendosi alla vita e a nuovi valori. Punto di forza è sicuramente il suo agganciarsi ad una fede autentica in cui essa trova una sicurezza e un’audacia inusuali: Giuditta è donna di preghiera e di penitenza, e dotata nel medesimo tempo anche di un forte senso pratico (vv 7-8) che saprà dimostrare anche in questa situazione. Dimostra in effetti di aver mantenuto un sano rapporto con la realtà che la circonda, il suo sguardo e il suo cuore abbracciano la sorte del popolo di Betulia  e anche di tutto Israele (v. 24), e in questo “prendersi a cuore” il suo popolo essa vive una nuova maternità e sponsalità più allargata e spirituale. Per questo suo “figlio” e “sposo” sarà disposta a mettere a repentaglio la sua stessa vita perché se ne sente responsabile a differenza dei capi.

    Il suo discorso assume i toni forti della profezia e in questa libertà di “spirito” Giuditta non teme di criticare aspramente la decisione presa dall’istituzione definendola stolta ed insensata e andando coraggiosamente, unica fra tutti perché unica “saggia” (v. 29) controcorrente.

    Dobbiamo riconoscere la grande valenza che assume all’interno della rivelazione biblica il racconto di Giuditta: il nostro autore non teme di affidare ad una donna un ruolo così determinante e inusuale. D’altra parte il genio femminile è legato all’intuizione, è attento ai profondi risvolti della realtà e della vita, sa cogliere una diversa verità nella realtà che il più delle volte ci sfugge ed è dotato di un senso pratico immediato che a volte all’uomo manca. La donna, fatta per accogliere e donare la vita, è più portata al dono di sé, al coraggio di perdersi per il bene dell’altro. L’uomo, che simbolicamente raffigura l’istituzione e la legge, è più portato alla prudenza, al calcolo, alle attente valutazioni, nelle situazioni complesse rischia di perdersi nei suoi interminabili ragionamenti. Giuditta non si pone a far calcoli elaborando strategie di autodifesa ma si pone totalmente in gioco con quello che è ed ha; più disarmata di Davide perché senza fionda e di Giuda Maccabeo perché senza armate ella ritenendo con certezza che Dio può operare salvezza e giustizia anche attraverso di lei si rende disponibile usando l’unica “arma” che possiede ovvero la sua femminilità unita alla fede (v.33).

    L’incontro tra istituzione e profezia nella scrittura e nella storia appare quasi sempre conflittuale.  Questa tensione irrimediabile assume tuttavia un valore pedagogico per entrambe. Le spinte sono  diverse: l’istituzione è conservatrice per natura e compito, la profezia è tensione in avanti, al nuovo anche a costo di veder distrutto quel che si è faticosamente realizzato. La profezia, con il suo “occhio spirituale” vede già realizzato quel che l’occhio “carnale” non vede ancora o ritiene impossibile. Una sana dialettica tra entrambe queste tensioni è necessaria ad un discernimento corretto e prudente dinanzi ai problemi a cui occorre dare risposta.

    L’incontro tra Giuditta e i capi non si risolve apparentemete in conflitto, ma a ben vedere sembra che ben volentieri i capi vedano la responsabilità della situazione ricadere finalmente su altri (v.35). E’ questo un altro infelice modo di risolvere la tensione tra istituzione e carisma! Solo alla fine – come d’altronde quasi sempre avviene – l’istituzione riconoscerà l’opera di Dio: “Appena furono entrati in casa sua, tutti insieme le rivolsero parole di benedizione ed esclamarono al suo indirizzo: «Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu magnifico vanto d’Israele, tu splendido onore della nostra gente. Tutto questo hai compiuto con la tua mano, egregie cose hai operato per Israele, di esse Dio si è compiaciuto. Sii sempre benedetta dall’onnipotente Signore». Tutto il popolo soggiunse: «Amen!»” (15,9-10).

    Come non ribadire a questo punto che nella rivelazione biblica Dio si compiace sempre di scegliere strumenti umanamente inadeguati perché poveri e deboli. Qui sta la sapienza divina che fa risplendere la sua potenza nella debolezza dell’essere umano, in questo caso di una donna (cf 1Cor 1,27). In Giuditta appare la forza dirompente della profezia nei confronti dell’istituzione (sia israelita come assira!) che vorrebbe preservare o allargare il proprio potere (i capi attraverso uno stolto ultimatum a Dio, Nabucodonosor attraverso le sue strategie politiche e militari). La donna debole esce vincitrice dal confronto con entrambe queste logiche ristrette. Ella infatti si pone su un altro livello e su un orizzonte più vasto ovvero quello della fede nel Dio sposo fedele e liberatore del suo popolo. Per l’uomo e la donna carismatici vi è sempre un’alternativa alla soluzione dei problemi dettata dalle visioni spesso difensive dell’istituzione. A quest’ultima l’umiltà di riconoscere umilmente l’indicazione coraggiosa del profeta, anche se apparentemente e umanamente stolta e debole. Al profeta l’umiltà del dialogo e il coraggio della parola scomoda unita all’obbedienza allo Spirito vagliato nel discernimento attento della comunità e dei suoi responsabili.

     

    Oratio

     

    Difficile giocarsi la vita per il bene altrui, prendersi a cuore concretamente l’altro, avere una parola forte e coraggiosa, affidarsi unicamente nella forza che proviene dall’alto. Più facile rifugiarsi nella sicurezza del già stabilito, nel culto della legge che rassicura la coscienza e premunisce dal rischio di giocarsi la libertà su strade nuove e rischiose. Giuditta è la “donna forte”: audace nella parola, energica nell’iniziativa, capace di rischio. Dio si è servito proprio “della sua mano per visitare il suo popolo”. E Giuditta generosamente gliel’ha offerta.

    Chiediamo al Signore la grazia di renderci disponibili alla sua opera con al stessa generosità. Sono tante le situazioni problematiche e umanamente insolubili nel mondo, nella Chiesa, nelle comunità da cui ci sembra d’esser inevitabilmente schiacciati. Ma Dio vuole ancora farci compiere nuovi esodi e per far questo ha bisogno di profeti che indichino strade nuove e siano strumenti nuovi.

    Con forza Teresa d’Avila ribadiva che Dio nella sua sapienza può scegliere modi e mezzi dinanzi ai quali il “mondo” sarebbe portato a scuotere la testa perplesso fosse anche la debolezza sapiente della donna: “Signore dell’anima mia, tu, quando pellegrinavi quaggiù, non aborrivi le donne, anzi le favorivi con benevolenza e in loro trovavi tanto amore e maggior fede che negli uomini. Tra loro vi era anche la tua santissima Madre. Perché, allora, non dovremmo riuscire a fare qualcosa di valido per te in pubblico? Perché non dovremmo osare di dire apertamente alcune verità che piangiamo in segreto? Perché tu non dovresti esaudirci quando ti rivolgiamo una giusta richiesta? Tu sei giudice giusto e non fai come i giudici del mondo, tutti uomini, per i quali non esiste virtù di donna che non ritengono sospetta. O mio Re, dovrà pur venire il giorno in cui tutti  vengano riconosciuti solo per quel che valgono!” (Cammino di perfezione).

     

     

     

     

    Posted by attilio @ 13:45

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