• 14 Mar

    La discendenza: L’offerta del figlio della promessa

    Gn 22,1-24

    di p. Attilio Franco Fabris

    Il ciclo non ha esaurito il tema della promessa della discendenza: nel nostro testo viene ancora una volta ripreso drammaticamente.

    Dio domanda ad Abramo di sacrificare Isacco che lui stesso gli ha donato contro ogni sua speranza.

    E’ un episodio che segna una tappa fondamentale nell’itinerario di fede di Abramo.

    Infatti “Abramo dal Dio su cui si può contare, di cui si può disporre, passa gradualmente al Dio che dispone di lui, ne dispone continuamente, sempre di più, con prove sempre più sottili, difficili, intercalate da promesse, lo raffina in questa conoscenza e lo porta al Dio della promessa, al Dio al quale bisogna appoggiarsi interamente, totalmente, unicamente, al Dio che ha in mano il destino della sua vita, che lo conosce, ma di cui Abramo non riesce a vedere le realizzazioni concrete, fino al punto che la conoscenza precedentemente acquisita con tanta fatica sembra di nuovo scoppiare” (C.M. Martini).

    Che ciò che accade ad Abramo sia una prova lo sa il lettore, ma non Abramo.

    Introduzione: v. 1a

    “Dio tentò Abramo”: una tentazione, una prova serve a dimostrare il valore di una persona, allo stesso tempo le è utile, malgrado la sofferenza che procura, per il raggiungimento di un bene più grande..

    La prova di Abramo è, come ogni prova seria, un mettere l’uomo di fronte al caso limite, dove l’uomo mostra veramente ciò che è, ciò che c’è in lui. Un po’ come Giobbe: anch’egli è portato al caso limite affinché si dimostri ciò che è.

    In altri racconti Dio inizia a parlare dando subito il suo comando senza preamboli. Qui procede in modo diverso. Chiama anzitutto per nome Abramo, e lui risponde che la solita prontezza: “Eccomi!”.

    Dio prosegue: “prendi tuo figlio”. Di quale figlio parla? Abramo ne ha tre: Eliezer, Ismaele e Isacco. Dio specifica: “il tuo diletto”, quello che è pienamente tuo figlio. Specifica ancor più: “quello che tu ami: Isacco”. E’ di Isacco allora che Dio parla! Che cosa Dio domanderà?

    Cosa ci aspetteremmo noi?

    Passo passo, Dio giunge all’ordine. Come mai si procede così lentamente?

    “Va’!”: è lo stesso verbo dell’inizio della storia di Abramo (12,1). Ma dove ora? Dio specifica: “nel territorio di Moria”. La tradizione l’ha identificato con la collina di Gerusalemme dove sorgerà l’altare dei sacrifici del Tempio.

    Solo a questo punto la parola giunge inaspettata, come una pietra che sprofonda nel cuore di Abramo: “e lì offrilo in sacrificio su di un monte che io ti indicherò”.

    Ascoltiamo le risonanze di Abramo? Che fa? Che dice? Cosa faremmo noi?

    La prima volta che Abramo incontrò Dio si sentì fare la richiesta, in virtù di una promessa, di sacrificare il suo passato. Qui gli viene chiesto di sacrificare il suo futuro: e senza che vi sia una promessa! Se Dio gli avesse chiesto di sacrificare se stesso, questo comando sarebbe stato più “comprensibile” in un certo senso: il frutto della promessa infatti rimane.

    Deve offrire il figlio che rappresenta l’adempimento della fedeltà di Dio alle sue promesse.

    Abramo ha già perduto da poco Ismaele, ora deve perdere anche Isacco. La coscienza di Abramo vive un dramma senza pari. Questa richiesta è incomprensibile da ogni punto di vista.

    Da un Abramo così portato al limite della provocazione della fede non possono che sorgere tremendi interrogativi: ma chi è questo Dio che sembra contraddirsi? Questo Dio che dopo avermi portato per un certo cammino ora mi chiede il contrario? Dov’è allora la benedizione e la promessa del Signore?

    Cosa farà Abramo?

    L’esecuzione: vv. 3-10

    “Abramo si alzò di mattino per tempo”: non tarda, non indugia a mettersi in viaggio. Abramo si comporta esattamente come fece quando mandò via il figlio Ismaele con Agar (20,8).

    E’ da notare l’assenza di Sara in tutto il racconto: come mai?

    Il viaggio dura tre giorni: si vorrebbe non terminasse mai… Ma “al terzo giorno” Abramo e Isacco giungono al monte. Tre giorni come Israele nel deserto per giungere al Sinai (Es 3,18; 19,11.16).

    “Abramo, alzando gli occhi, vide da lontano il luogo”: al che lascia indietro i servi e con Isacco sale.

    Le parole di Abramo sono ambigue: “Io e il ragazzo andremo fin là, faremo adorazione e poi ritorneremo a voi”. Sorprende quel “ritorneremo”. Abramo ha forse deciso di non sacrificare Isacco? Vuole nascondere ai servi quel che accadrà? E’ certezza che Dio non potrà contraddire alle sue promesse? Oppure è un po’ tutto questo che si avvicenda nella sua coscienza?

    I due iniziano a salire: Abramo ha il fuoco, la legna è caricata sulle spalle di Isacco. Il testo lascia intuire un pesante silenzio. Un silenzio che è rotto dalla domanda di Isacco: “padre mio”. E Abramo: “Eccomi, figlio mio”; c’è tanto affetto in questa espressione: “Ecco qui il fuoco e la legna: ma dov’è l’agnello?”. Risponde Abramo con la morte nel cuore: “Dio si provvederà l’agnello”. Quest’ultima espressione è oscura, sarà sembrata evasiva per Isacco: non inizia forse a sospettare qualcosa? Ma non insiste.

    Giunti alla cima: Abramo compie tutte le azioni preparatorie al sacrificio: non una sola parola viene detta tra i due.

    La sospensione: vv. 11-14

    All’ultimo istante Jhwh, il Dio vicino e delle promesse, interviene: “Non stendere la mano! Ora so che rispetti Dio e non mi hai risparmiato il tuo figlio, il tuo unigenito”.

    Abramo non ha sacrificato il suo figlio, ma lo ha effettivamente e veramente offerto a Dio. Il Signore ha conosciuto la sua obbedienza.

    “Ora so che tu temi Dio”: sappiamo perciò ora che ciò che è avvenuto era una prova, una prova che ha toccato Abramo nel profondo, nel suo rapporto con Dio, nel suo rapporto di obbedienza e di fede. La prova è stata sul timore di Dio, su come Abramo accoglie il Dio della promessa dalla quale ormai dipende tutta la sua vita.

    Infine come Agar e Ismaele sfuggono la morte quando l’angelo indica la sorgente vicina, così ora Abramo vede l’ariete impigliato a loro vicino pronto al sacrificio. Abramo potrà chiamare a ragione quel luogo: “Il Signore provvede”.

    La promessa: vv. 15-18

    L’angelo di Dio riprende tutte le promesse e dice: “Giuro per me stesso”.

    E’ molto di più che promettere. Dio qui si impegna con giuramento (cfr Gn 24,7; 26,3; 50, 24; Es 13,5.11; Dt 1,8.35).

    Abramo ha ricevuto nuovamente in dono Isacco: la promessa è gratuita. La grande sorpresa per Abramo è che Dio non vuole nulla in cambio della promessa: gli basta la fiducia accordatagli. “in compenso del fatto che tu hai ubbidito alla mia voce”.

    La tradizione biblica darà diverse angolature di letture all’episodio pur sempre esaltando la fede incondizionata alla parola di Abramo: Ebr 11,17-19; Ebr 6,15; Gc 2,21;  Sap 10,5.

    Il gesto di Abramo rimane talmente esemplare che nel nuovo testamento, i testi, parlando del sacrificio di Cristo sulla croce non potranno che rifarsi al sacrificio di Isacco.

    Conclusione: v. 19

    Il nostro racconto è imperniato sul tema della promessa della discendenza. Di Abramo si vuole sottolineare la piena fiducia accordata alla parola contro ogni ragionamento e calcolo umano. Un uomo pronto a sacrificare, a giocarsi, non solo il passato ma anche il suo futuro sulla parola.

    Abramo ha superato la prova. Ha conosciuto ancor più profondamente Jhwh, il Dio della promessa. E’ chiamato ancor più a riconoscerne la gratuità, e la gratuità di colui che le fa.

    Vi sono anche per noi prove che come frecce infuocate del nemico che tendono a colpire quella che è la nostra stessa identità di fede e che arrivano all’intimo di noi. Sono prove che fanno percepire in modo drammatico lo scarto tra promessa divina e realtà.

    La prova come tale, proprio perché prova, ha qualcosa di imprevedibile, incomprensibile, assurdo. Prova suprema è l’esperienza della morte: essa è tutto il contrario della promessa della vita di Dio.

    La morte mostra degradazione, decadenza, tutto il contrario di ciò che Dio ci ha promesso.

    Ma perché la prova è necessaria? Forse proprio perché Dio è Dio. Nel cammino della fede si suppone il superamento di una idea originaria di Dio per lo più sbagliata, almeno in parte, e quindi da correggere e per conseguenza questo comporta delle crisi successive della nostra idea di Dio e della nostra identità di fronte a lui. Dio è il Dio della promessa, della salvezza, della parola; noi invece vogliamo istintivamente un Dio della sicurezza, dai fondamenti chiari ed evidenti, di cui sappiamo tutto, di cui possiamo prevedere e programmare tutto a nostra misura. Lo scontro tra queste due cose è la prova: cioè capire che Dio è diverso da come l’avevo capito.

    Dove sta il kerygma nella prova? Di che tipo è: consolatorio? Appello alla volontà? All’eroismo?…

    Il vangelo più fondamentale è : la prova è prova di Dio nelle cui mani io sto. Anche nel colmo dell’oscurità di Dio so con certezza che la promessa di Dio non mi ha abbandonato: sono nella prova ma Dio mi ha nelle sue mani. Mi abbandono con fiducia all’obbedienza alla Parola.

    Un brano straordinario di commento potrebbe essere Rm. 8,35-39.[1]

    Appendice: La nascita di Rebecca: 22,20-24

    Nacor fratello minore di Abramo è felicemente sposato e il testo avvisa con ben dodici figli, otto dalla moglie Milca e quattro dalla concubina Reuma. Questi dodici figli sono i capostipiti della dodici tribù aramaiche.

    Abramo ha un solo figlio: Nacor dodici: non è forse lui manifestamente padre di una moltitudine? Il granello di senape che Abramo ha tra le mani rischia di scandalizzarlo e di spegnere  la fiducia. Ma dopo la prova dell’Oreb Abramo non vacillerà più.

    Ora uno dei figli: Betuel, generò Rebecca che andrà sposa ad Isacco.

    Così la discendenza di Abramo potrà realmente iniziare a moltiplicarsi.


    [1] Romani 8:35-39 Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.

    Posted by attilio @ 10:18

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