• 01 Mar

    La terra

    Gn 12,10-13,18

    di p. Attilio Franco Fabris

    Sembrerebbe che l’adempimento della promessa della discendenza sia il più urgente. Abramo e Sara invecchiano! Quindi non c’è tempo da perdere.

    Ma ecco che il testo prende tutt’altra direzione, lasciando in sospeso quest’aspetto così essenziale.

    L’abbandono della terra: 12,10-13,1

    Il testo biblico menziona un grave problema: la carestia. E proprio in quella terra che dovrebbe essere quella promessa. Il tema dominante è dunque quello della terra. Come vive questo Abram? Come una smentita? Cosa fare in un frangente tanto grave?

    Abram “discese”, si tratta di una nuova partenza che terminerà alla fine con una risalita (13,18).

    La discesa in Egitto: v.10


    Abramo non discende in Egitto per solo comprarvi di che sopravvivere, ma per soggiornarvi. Il verbo sta a dire l’intenzione di stabilirsi lì come immigrato, forse per sempre (cfr Gn 47,4).

    Questa scelta mette seriamente in discussione l’adempimento della promessa. Abram non parte seguendo un invito da parte di Dio. Prende una decisione in base alle circostanze in cui si viene a trovare.

    Il discorso di Abramo: vv. 11-13


    Tutto il contesto è imperniato sulla bellezza di Sara (75 anni!). Bellezza che è gioia per l’uomo e orgoglio per la donna. Ma questo dono ora diventa pericoloso, e il pericolo provoca paura.

    Ecco allora la proposta di Abram di dichiarare Sarai sua sorella.

    Quel che le chiede è di rinnegare la sua stessa identità, di vivere nella menzogna. E Abramo chiede questo per il proprio interesse, per la propria vita. Di ciò che accadrà a Sara non si preoccupa.

    Si sente depositario delle promesse ma le vuole difendere con la propria paura, e attraverso direzioni ambigue.

    Quel che dice Abram è ancor più grave: Quel “a causa tua” si potrebbe tradurre con “Al prezzo di te”. Vuole addirittura ricavar profitto economico dalla sua menzogna.

    La donna diviene oggetto di cui ci si serve e ci si approfitta, di cui si dispone e ci si sbarazza.

    Abramo mette ancor più in pericolo la promessa della terra abbandonando la terra e mette in pericolo la promessa della discendenza consegnando Sara agli egiziani.

    A causa dell’azione di Abram l’impossibile si rende ancor più certamente impossibile. Si è cacciato in un vicolo cieco da cui non si sa come uscirne.


    L’arrivo in Egitto: vv. 14-16


    Sara è oggetto degli sguardi degli egiziani, degli ufficiali che non trovano di meglio che decanatare (a quale scopo?) la bellezza di Sara al faraone. Lo sguardo allora non basta più; Sara “fu presa”.

    Sara non è più chiamata per nome, è “la donna”. Non è altro che oggetto di desiderio e di piacere. Ricchi e potenti possono appropriarsi delle donne che vogliono, abusarne, per poi scaricarle.

    Anche Davide non sfugge alla tentazione (Cfr. 2Sam 11,2-4).

    La storia continua che Abram “fu trattato bene per causa di lei”. Non solo si abusa di Sara, ma il marito si arricchisce a spese sue, come si arricchiscono i protettori delle prostitute.

    L’intervento del Signore: v. 17


    L’intervento di Dio è breve, ma determinante nell’evolversi del racconto, e ne costituisce la svolta. Colpisce “con piaghe” (cfr Es 7,8-11,10) il faraone e la sua casa.

    Per quale motivo interviene?

    Il testo dice: “per il fatto (dbr) di Sara”. Dbr può essere inteso come per l’accaduto, la faccenda, ecc. ma significa anche parola. Il senso potrebbe anche perciò essere che Dio interviene “per la parola di Sara”.

    Una preghiera, una supplica, forse un grido di disperazione da parte di questa donna (cfr Es 2,23: “Ho udito il grido…”).

    Per JHWH Sara è e deve essere moglie di Abramo. Non è la “sorella”, né “la donna”: ella è la “moglie di Abramo”, dell’uomo benedetto da Dio.

    La maledizione riservata ai nemici di Abramo ricade dunque sugli egiziani che ne subiscono le conseguenze a loro insaputa. E’ il tema della benedizione.

    Certo è il comportamento di Abramo che non diviene benedizione per gli egiziani.

    Il discorso del faraone: vv. 18-19


    Ora tocca ala faraone muoversi. La sua parola è un’accusa, una scusa e un ordine.

    L’accusa è di averlo ingannato: “Perché?”

    Non si capisce come il faraone sia giunto a scoprire la cosa: ha fatto un’inchiesta? Ha interrogato Sara? Ha avuto una rivelazione?…

    L’atteggiamento assunto dal faraone è stato dovuto comunque all’inganno di Abramo: “in modo che io me la sono  presa in moglie”. Ecco la sua scusa. Ma chi si scusa si accusa. Il faraone ha preso Sara invaghito della sua bellezza e in forza del suo potere e della sua forza, perché è il re. Il fatto che Sara sia sorella o moglie non gli dà alcun diritto su di lei. (cfr Davide e Uria: 2Sam 11,14-15).

    Segue l’ordine: “Vattene!”. Parole che esprimono rigetto e disgusto.

    Ma questo ordine perentorio rimette in moto il cammino di Abramo e il progetto di Dio! Una parola che assomiglia molto all’ordine iniziale di Dio dato ad Abramo: “Vattene” (12,1).

    Il Faraone, colpito dalle piaghe, non accetta il giudizio divino e rifiuta il mediatore. Perché le piaghe, come “segno” vogliono richiamare il re a riconoscere l’opera di Dio e la sua presenza: ovvero un appello alla fede. Qui il Faraone riconosce l'”effetto”, ma non la causa, e si chiude. Qui la mediazione di Abramo resta senza effetto.

    Questo racconto ci mette dinanzi all’ambiguità della coscienza dell’uomo. Un racconto iniziale poco incoraggiante! Un’armonia iniziale che viene disturbata, deturpata dalla paura, dal sospetto, dall’interesse dell’uomo. La paura di Abramo lo porta a mentire e a mettere in pericolo la promessa della discendenza e della terra, che lui vuole salvare attraverso meschine strategie umane in quanto si sente solo lui depositario delle promesse e non Sara. Ma questo non è il pensiero di Dio.

    Un comportamento comunque inescusabile.

    Abramo non ne viene castigato a differenza del faraone, ma non per questo ne esce indenne. E’ talvolta più facile accettare il castigo che vivere con le conseguenze dei propri atti criminosi. Un castigo dà per lo meno la consapevolezza di aver “espiato”, “pagato” per il reato liberando dal complesso di colpa. Senza castigo la coscienza viene logorata.

    Abramo ha ripreso sua moglie Sara: ma come salvare ora, dopo simili trascorsi, la relazione tra i due irrimediabilmente compromessa? Cosa si saranno detti? Che scuse e accuse vicendevoli?

    L’offerta del paese: 13,2-18

    Ci aspetteremmo che ora l’autore proseguisse con il racconto della promessa della discendenza, quella più urgente. Non è così. Il tema trattato continua ad essere quello della terra.

    Verso Betel: vv. 2-5


    Abramo torna alla terra arricchito dall’Egitto. Vi era andato attanagliato dalla carestia. L’ebraico usa lo stesso termine: la carestia “era pesante” sul paese, ora Abramo torna “pesante” di ricchezze.

    In ritorno, risalita, avviene esattamente in senso inverso alla discesa.

    Abramo torna a Betel, il luogo più vicino in cui trovare un altare da lui costruito, e come la prima volta qui “Abramo invocò il nome del Signore”. Cosa avrà detto Abramo al Signore? Il testo non lo dice. Proviamo ad immaginarcelo.

    Ciò che è sicuro è che Abramo vuole ritrovare il rapporto con Jhwh, il suo Dio.

    Si parla ora di Lot, anche lui disceso in Egitto con Abramo e tornato anch’egli arricchito. Ma si sa, quando si tratta di averi si vuole sempre più e il sodalizio sta per aver fine.

    Il racconto verte sulla relazione tra Abramo e nipote.

    La lite: vv. 6-7


    Il territorio non basta più ad entrambi “perché avevano beni troppo grandi per poter abitare insieme”.

    Il verbo “abitare” è la parola chiave del brano (cc 6.7.12.18). Assistiamo ad un capovolgimento strano. Prima i due non potevano abitare il territorio a causa della carestia, adesso non lo possono fare perché troppo ricchi. Va sempre male! Come mai? Una volta non c’è abbastanza, un’altra c’è troppo? Dove sta il problema? Nelle cose che non ci sono e che sono o nel cuore dell’uomo incapace di condividerle?

    Una simile situazione inevitabilmente sfocia in conflitti e così accade tra i pastori di Abramo e Lot.

    La soluzione proposta: vv. 8-9


    Come risolveremmo noi il problema? Saremmo forse portati a risolverli con la forza.

    Non è questa la scelta di Abramo. La lite non viene risolta con le armi ma attraverso un’intesa pacifica, un’alleanza (21,27.32; 26,28; 31,44).

    Dal momento in cui si stipula l’alleanza Lot è chiamato “fratello” di Abramo e non più nipote: il loro è un patto di fratellanza, tra pari.

    Si opta per la divisione del paese. Ma come dividerlo? Con quale criterio? Vi sono zone fertili e altre brulle? Che fare?

    Con stupore vediamo Abramo, il più anziano, il depositario della promessa, lasciare a Lot la scelta.

    E’ un capovolgimento! In Egitto Abramo aveva pensato solo al proprio interesse a scapito degli altri, qui si mostra generoso, liberale, disinteressato.

    Potrebbe essere lui a scegliere pere primo: “Non sta davanti a te tutto il paese?”

    La scelta di Lot: vv. 10-13

    Il testo sottolinea che la scelta di Lot è un atto puramente umano.

    “Alzò gli occhi” il che significa desiderare, bramare di possedere. “Osservò” “scelse” il testo dice “per sé”. Per poi passare subito all’azione “risiedette”.

    Cosa lo spinge? E’ solo la bramosia. “Osservò tutta la valle del Giordano, perché era tutta irrigata… scelse per sé tutta la valle del Giordano”. Egli in fin dei conti cuole riconquistare “il giardino del Signore” tutto irrigato (cfr Gn 3,23-24). Quel che vede Lot gli ricorda “il paese d’Egitto”.

    Quale il suo principio di vita? Tutto e il meglio per me!

    Un atto molto simile a quello di Eva nel giardino dell’eden (cfr 3,6), del faraone nei confronti di Sara (12,15).

    Queste scelte manifestamente egoistiche allontanano da Dio e conducono al male. Sarà così per Lot che passo passo andrà incontro al male. Lot ha preso la direzione dell'”oriente” che è una direzione pericolosa: è la direzione di Adamo ed Eva (Gn 3,42), quella di Caino (Gn 4,16) dopo il peccato, dei costruttori di Babele (Gn 11,2).

    Lot crede di scegliere la parte migliore mentre sceglie la propria rovina. La coscienza di Lot ha avuto un cambiamento radicale, finora è stato l’uomo “con Abramo”. Da questo momento allontanandosi da lui si allontana dal portatore delle promesse: ha scelto la sua strada non rimproverato da nessuno.

    La promessa ad Abramo: vv. 14-17


    Il Signore parla ad Abram “dopo che Lot si fu separato da lui”.

    Il parallelo tra l’invito fatto ad Abram e l’atteggiamento di Lot è degno di nota: “Alza gli occhi, e… spingi lo sguardo”. E’ un invito da parte di Dio e non frutto di bramosia umana.

    Tutto il paese Io lo darò a te”. La terra promessa, ricorda Abram, è dono non una conquista umana!

    Poco importa che Lot abbia scelto tutto per sé, perderà tutto e tutto sarà dato ad Abramo.

    Il dono di Dio è “per sempre”.

    Questo rinnovo delle promesse avviene dopo il gesto disinteressato e generoso di Abram. E Dio precisa ancor più le sue promesse: “Tutto il paese che tu vedi, io lo darò a te e alla tua discendenza per sempre“.

    Promessa dunque non solo della terra, ma di una discendenza con cui Dio farà alleanza per sempre.

    Verso Ebron: v. 18


    “Abram acquistò il diritto di pascolare e di andarsi a stabilire alla Quercia di Mamre, che è ad Ebron, e vi costruì un altare al Signore”. Ripete i gesti compiuti a Sichem e a Betel. Ad Ebron Abram possederà il suo primo pezzetto di terra e lì saranno seppelliti tutti i patriarchi e le matriarche.

    Il brano dunque pone la sua attenzione sulla promessa della terra.

    Abram ha accettato il rischio di lasciare la scelta all’altro. Si è dimostrato generoso e fiducioso nella promessa di Dio. Accetta di perdere quella terra promessa che ha appena raggiunto. Questa situazione assomiglia molto al racconto del sacrificio di Isacco il primogenito (Gn 22).

    Abram è pronto a sacrificare le promesse. E’ stato difficile ad Abram lasciare dietro di sé il suo passato (12,1), ma è ancor più difficile e impegnativo sacrificare l’avvenire.

    Si tratta di un vero e proprio “sacrificio del paese”.

    Il paese e il figlio risultano veramente quali dono di Dio e non frutto di espedienti umani: da ciò il permanere del dono.

    Posted by attilio @ 10:45

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