MEDITAZIONE

 

enzo bianchi

 

Il carattere proprio della meditazione cristiana è stato colto dal cristianesimo antico nella sua applicazione e nel suo rapporto con la Bibbia. Spezzato, o affievolito, questo rapporto nei secoli dell’esilio della Scrittura dalla chiesa, si è assistito, nell’epoca della devotio moderna, e particolarmente nell’epoca barocca, a un fiorire di molteplici forme di metodi di meditazione, sempre più schematici e complessi, isolati e assolutizzati, che si applicavano a temi di meditazione sempre più dettagliati (vite dei santi, dottrine dei teologi ecc.), fino a cadere nell’artificiosità, nella macchinosità, nella razionalizzazione e intellettualizzazione, nella ginnastica psicologica.

Del resto, ci si trovava nel momento storico dell’emergere e dell’affermarsi della coscienza riflessa.Per la Bibbia «meditare» (in ebraico hagah) significa «mormorare», «sussurrare», «pronunciare a mezza voce», e si applica alla Torah, cioè alla rivelazione scritta della volontà di Dio. La meditazione biblica si propone infatti come fine la conoscenza della volontà di Dio, per poterla praticare, vivere, obbedire. Il latino meditari rinvia etimologicamente all’idea di esercizio, di ripetizione che conduce alla memorizzazione, all’assimilazione di una Parola che non deve semplicemente essere capita, ma vissuta, incarnata.

La meditazione è dunque organica a un atto di lettura che sia «incarnazione» della Parola. Non a caso la terminologia biblica e poi della letteratura cristiana parla di manducazione della Parola, di masticare e ruminare le Scritture. E se l’uso linguistico è arrivato a riservare exercere alle attività fisiche e meditari a quelle dello spirito, è però vero che la meditazione era intesa come applicazione di tutto l’essere personale: «Per gli antichi meditare è leggere un testo e impararlo a memoria nel senso più forte di questo atto, cioè con tutto il proprio essere: con il corpo poiché la bocca lo pronuncia, con la memoria che lo fissa, con l’intelligenza che ne comprende il senso, con la volontà che desidera metterlo in pratica» (Jean Leclercq).

Questo legame tra corpo e meditazione, tra lettura orante e gestualità è ben visibile nei molti atteggiamenti motòri e nei dondolii del corpo e della testa che ritmano la recitazione dei versetti in scuole coraniche o in scuole talmudiche. Ma anche nei monasteri cristiani la prassi della lectio divina ha sempre cercato di legare corpo e lettura: la parola deve imprimersi nel corpo! Ugo di San Vittore (XII secolo) distingue la cogitatio, che è analisi concettuale delle parole, dalla meditatio, che è invece immedesimazione.

La meditazione dunque muove dalla lettura, ma evolve verso la preghiera e la contemplazione. Capiamo perché la meditazione cristiana ci porti inevitabilmente a far riferimento alla lectio divina, cioè alla prassi di lettura-ascolto della Scrittura condotta non con intento speculativo, ma sapienziale e rispettoso del mistero, che tenta di farne emergere la Parola di Dio per portare il credente ad applicare se stesso al testo e il testo a se stesso in un processo dialogico che diviene preghiera e sfocia nella condotta di vita conforme alla volontà di Dio espressa dalla pagina biblica.

Questo processo è stato elaborato come cammino in quattro tappe definite rispettivamente lectio, meditatio, oratio, contemplatio.La meditazione è l’operazione spirituale (mossa cioè dallo Spirito santo e attuata da tutto l’uomo, corpo e intelligenza) che dall’ascolto della parola conduce alla risposta di preghiera e di vita al Dio che esprime la sua volontà attraverso la parola scritturistica.

Questa centralità della Scrittura nella meditazione cristiana non è casuale, ma deriva direttamente dal carattere proprio del cristianesimo: Dio si rivela parlando, e la sua rivelazione definitiva è la Parola fatta carne, Gesù Cristo. Perciò la meditazione cristiana sarà sempre la ricerca di appropriazione e interiorizzazione della Parola di Dio. Se di questa Parola la Scrittura è sacramento, è però anche vero che essa raggiunge l’uomo attraverso le vie dell’esistenza, degli incontri umani, degli eventi della vita. Ma anche allora il credente sarà chiamato a leggere e ascoltare, quindi ad approfondire, a interpretare pensando e riflettendo, a meditare, cioè a dar senso a eventi e incontri, per poi discernere la presenza, la Parola di Dio nel mondo e nella storia, e quindi a vivere conformemente ad essa. Del resto la lettura del libro della Scrittura deve accompagnare quella del libro della natura e del libro della storia.

La meditazione cristiana non consiste perciò in una tecnica, né mai può assegnare come fine al soggetto la sua stessa soggettività, ma sempre cerca di aprire il soggetto all’alterità, alla carità e alla comunione guidandolo ad avere in sé lo stesso sentire e lo stesso volere che furono in Cristo Gesù.